L’immigrazione, in particolare quella illegale, continua a essere uno dei temi più divisivi e urgenti, che coinvolge oggi sia l’Europa che gli Stati Uniti. In entrambi i continenti, la gestione di questo fenomeno ha assunto una dimensione d’emergenza, spingendo i governi a adottare politiche più rigide. Non è un caso che le soluzioni proposte siano simili, tutte improntate a una logica di tolleranza zero nei confronti degli immigrati irregolari.
L’Inghilterra, che per anni è stata vista come un bastione di tolleranza in tema di diritti, ha recentemente intrapreso una virata decisiva in direzione della linea dura. Sotto la guida del governo di Keir Starmer, pur con il marchio del partito laburista, il paese ha accettato la strategia dei rimpatri forzati, un’iniziativa che richiama apertamente quella già messa in atto in Italia dal governo di Giorgia Meloni. Le critiche, inevitabili, non sono tardate ad arrivare, ma il primo ministro ha ribadito la sua posizione, sostenendo che la necessità di tutelare l’interesse nazionale giustifica tali misure.

La spinta a un approccio più rigido non arriva solo dalle preoccupazioni interne, ma anche dalla crescente influenza del “vento trumpiano”, che si sta facendo sentire anche al di là dell’Atlantico. La storica alleanza tra Gran Bretagna e Stati Uniti sembra oggi rafforzata proprio dal comune obiettivo di arginare l’immigrazione. La retorica del pugno duro, che da tempo caratterizza le politiche americane, ha trovato infatti un riscontro anche in Gran Bretagna, con i laburisti che, in una mossa particolarmente controversa, hanno pubblicato video che mostrano le forze di polizia impegnate a deportare immigrati irregolari, alcuni dei quali in manette, caricati su aerei diretti ai loro paesi d’origine.
Le cifre sono impressionanti: da luglio scorso, oltre 16.400 immigrati irregolari sono stati espulsi, tra cui criminali stranieri e richiedenti asilo respinti. Il nuovo anno ha visto oltre 800 blitz da parte della polizia in cerca di lavoratori clandestini. La novità, tuttavia, sta nel fatto che ora il governo ha deciso di prendere in mano direttamente la situazione, con la ministra dell’Interno, Yvette Cooper, che parteciperà di persona a uno di questi raid. Questo atteggiamento segnala un pragmatismo che non si limita a una risposta alle pressioni politiche, ma rispecchia anche un sentimento diffuso tra i cittadini, preoccupati per l’aumento dell’immigrazione irregolare, incluse frange che storicamente si sono orientate verso la sinistra.
Inoltre, il premier Starmer deve fare i conti con la crescente pressione della destra, rappresentata dalla leader dei conservatori, Kemi Badenoch, che non perde occasione per criticare le politiche laburiste, accusandoli di non fare abbastanza per limitare gli ingressi e aumentare le espulsioni. Ma l’ombra di un altro potente attore, Nigel Farage, si fa sempre più ingombrante. L’ex leader dell’Ukip, che ha alimentato il malcontento popolare e la retorica anti-immigrazione, continua a spingere per una nuova forma di “Brexit” che combini la critica alle politiche umanitarie con la sicurezza nazionale. Il suo linguaggio “trumpiano” si sta rivelando efficace nel catturare l’attenzione di una fetta significativa dell’elettorato.
Anche le politiche di genere, un altro fronte caldo per il governo di Starmer, sembrano seguire la stessa traiettoria. Dopo aver vietato l’uso di inibitori della pubertà per i minorenni che desiderano cambiare sesso, il governo ha recentemente fatto un passo indietro rispetto a una possibile liberalizzazione della legge sul cambio di sesso, simile a quanto fatto dal presidente Biden negli Stati Uniti. In un contesto di crescente polarizzazione politica, la posizione laburista sta cercando di bilanciare i diritti individuali con le preoccupazioni più ampie della società. Starmer, insomma, sta cercando di navigare un periodo particolarmente delicato, mantenendo salda la sua posizione senza cedere alla tentazione di abbracciare apertamente la retorica di destra che sembra sempre più diffusa.