Tra gli interrogativi di politica internazionale che hanno fatto seguito alla rielezione di Trump, si è scansato quello di maggior rilievo: se e come la presidenza innoverà la natura di un sistema internazionale che, dal 1948, ha funzionato grazie all’invarianza di alcuni fondamentali condivisi dalle potenze, come quelli di evitare il conflitto nucleare e non intervenire nelle altrui dinamiche interne.
Andrew Young, che dal 1977 al 1979 fu ambasciatore Usa all’Onu, spiegò, nel corso della presidenza Carter, perché l’amministrazione tendesse ad astenersi dal sostegno ai regimi politici autoritari che nel centro America si opponevano al castrismo e al comunismo. Sostenne che il lancio di satelliti per le comunicazioni avrebbe condotto i valori americani nelle case e nelle scuole attraverso le televisioni, formando alla democrazia e rendendo obsoleto l’intervento militare.
A distanza di quasi mezzo secolo, in un contesto antipodico (tanto l’amministrazione Carter era iperidealista, tanto quella Trump sarà iperrealista), la tesi torna attuale, salvo aggiornarne l’elenco dei media con i prodotti dell’Information & Communication Technology (Ict): Internet, social, intelligenza artificiale (AI), robotica e certamente satelliti/spazio. Da aggiornare anche la lista degli obiettivi, visto che l’idealismo tecnologico younghiano è stato nel frattempo sostituito da aspettative e valori realisti, collegati alla spasmodica ricerca dell’egemonia economica e militare.
Nella storia, i regimi politici si sono spesso serviti di un supporto tecnologico; vi sono casi esemplari tra gli antichi (Archimede che difende Siracusa dai romani, Leonardo che realizza macchine belliche per il Moro a Milano) come tra i contemporanei (il sostegno di Microsoft a Biden). Mai prima però la tecnologia ha occupato direttamente il potere o presieduto alla riorganizzazione delle funzioni dello Stato, come sembra debba succedere negli Stati Uniti.
Dal che si arriva ad affermare che, dopo il fragoroso ingresso della bomba nucleare negli affari internazionali nel 1945, ottant’anni dopo tocca alle supertecnologie essere attore del sistema internazionale.
Il fattore supertecnologie è in grado di attribuire a chi lo detenga, in termini egemonici o comunque superiori ai competitori, un assetto privilegiato che si avvale di almeno quattro prerogative sconosciute allo strategico potere nucleare. Questo opera solo in condizione di riposo, visto che attivarlo comporterebbe sicura rappresaglia. Non così il potere supertecnologico, che per natura è attivo e pervasivo e può manifestarsi aggressivamente, ad esempio con informazioni mendaci e attacchi ai sistemi informativi dell’avversario o dei nemici interni. Così le interferenze russe nei sistemi informativi, così le azioni letali di Israele su cercapersone e walkie-talkie di Hezbollah. Mentre la natura del potere nucleare guarda alla sfera esterna, il potere tecnologico guarda anche a quella interna, ad esempio in termini di capacità di controllo delle menti dei cittadini. Si ha notizia che, in Cina, sia in stadio avanzato la ricerca sul controllo dei sogni, utile a carpire informazioni per la sicurezza dello stato.
Terzo aspetto: mentre l’uso del superpotere nucleare militare è deciso da mani esclusivamente politiche e pubbliche, il superpotere tecnologico è gestito anche da privati, al punto che l’indistinzione vigente tra pubblico e privato in quanto a produzione e controllo dei prodotti della supertecnologia, fa sì che un Egon Musk sia in prospettiva al tempo stesso fornitore (privato) e fruitore/controllore/utilizzatore (pubblico) di supertecnologia.
Quarto e ultimo: al contrario di un nucleare militare che esprime solo terrore, le supertecnologie Ict, declinabili in applicazioni infinite, godono di potere seduttivo. Dimostrazione recente la boccaccesca ed esilarante dedizione delle migliaia di soldati nordcoreani spediti da Kim Jong-un a Kursk in soccorso di Putin, agli inattesi siti pornografici, con l’intasamento di linee Internet previste per le operazioni di guerra.
Con il gruppo dirigente portato al potere dalle elezioni di novembre, gli Stati Uniti, in scia con quanto da tempo fanno Cina e Russia, utilizzeranno le supertecnologie come fattore chiave della competizione per il primato e il controllo fuori e dentro l’Unione. In quanto a “dentro”, studi condotti da esperti hanno trovato che Musk abbia ottimizzato l’algoritmo del social media che controlla, per farlo lavorare a favore di Trump. Con 203 milioni di follower, e il raddoppio dei post tra giugno e settembre (da 500 a 1000 al mese) che hanno accumulato 1,7 miliardi di visualizzazioni, Musk avrebbe fruttato un bel gruzzolo di voti, benché, secondo fact-checker professionali, in almeno 87 dei suoi post elettorali del 2024 abbia fatto circolare affermazioni false o fuorvianti. Per chi non condivide la sua posizione politica, può risultare confortante il suo forte ritardo nell’Ai. In quanto a “fuori” occorre attendere l’insediamento.
S’ignora, al momento, se una qualche misura legislativa segnerà un confine tra la sfera delle attività imprenditoriali di Mr. Tesla e quelle pubbliche che di fatto sta già irritualmente esercitando, ma l’idea che Starlink, l’internet provider che usa i satelliti per fornire connettività, filiale della compagnia di voli spaziali commerciali SpaceX, insieme ai tweet di X, possa agire in flagranza di conflitto di interessi, è legittimo che inquieti, anche pensando ai 119 milioni di dollari ufficialmente spesi da Musk a sostegno della campagna di Trump.
Poco più di un secolo fa, il giurista Carl Schmitt pubblicava Teologia politica, con la scandalizzante affermazione: “Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione”. Era l’anno della marcia su Roma e il tempo dei dittatori. Qual è il nostro tempo? Non è un tempo di eccezione quello nel quale l’uomo più ricco del mondo (304 miliardi di dollari secondo Forbes), proprietario dei mezzi per condizionare la mente di miliardi di esseri umani nel suo e in altri Paesi, designato (con Vivek Ramaswamy) a rendere efficiente la pubblica amministrazione statunitense, lancia un’Opa gratuita sulle menti con elevato QI offrendo di lavorare gratuitamente 80 ore settimanali sul programma del Doge, Department of Government Efficiency? Previa – e ci mancherebbe! – candidatura presentata a pagamento attraverso X…
Schmitt spiegava che il potere non è legittimo in quanto legale, ma in quanto sia in condizione di potere: ovvero in quanto riesca a imporsi là dove altri non siano in grado di farlo. Un grande giurista a lui contemporaneo, Hans Kelsen diceva esattamente il contrario, e che cioè la sovranità legittima si collega al rispetto dell’apparato normativo. Salvo nel regime d’eccezione, avrebbe osservato Schmitt, nel tempo sovvertito dove le leggi sono accantonate e la storia dà spazio a coloro che saranno chiamati sovrani. Il duo “Trusk”, grazie alla supertecnologia, potrà fare molto per dare ragione a Schmitt.