Sotto la copertura, diciamo, delle elezioni presidenziali Usa e con la complicità ormai evidente della Casa bianca, sia quella uscente che quella che verrà – Harris o Trump – Israele continua a distruggere e allarga il massacro dei palestinesi e la devastazione non solo di Gaza ma anche del Libano. La complicità indiretta o diretta degli Stati Uniti è non solo palese ma forse anche illegale di fronte alla Costituzione americana e rispetto a molte delle leggi Usa. Inviare soldati stelle e strisce su un territorio in guerra, in qualche modo – diretto o indiretto – costituisce un reato anche grave se non approvato dal Congresso.
La stampa Usa racconta e non racconta quello che sta accadendo in Medio Oriente così come è stata profondamente incerta, indecisa, rispetto al suo sostegno dei candidati per la presidenza americana. La stampa europea cerca talvolta di raccontare i fatti ma spesso evita di commentare anche per non mettere in difficoltà la super-ricca industria degli armamenti. La stampa israeliana è in gran parte schierata con il centro destra, appoggia Netanyahu in quello che sempre di più assomiglia a un suo conflitto personale con lo scopo principale di evitare processi vari per reati di corruzione e nello stesso tempo portare avanti il suo sogno, il sogno di suo padre, il sogno del vecchio capo sionista della destra ebraica che sognava un Israele dal Mediterraneo al fiume giordano e anche oltre.
L’unica voce che cerca di raccontare la verità ma senza perdere il suo pubblico resta Haaretz. Sul sito – ricco e polemico – si leggono molti commenti e notizie che la censura militare israeliana filtra e controlla. Come il racconto sulla situazione in Libano pubblicato stamane:
“L’agenzia di stampa ufficiale del governo libanese ha riferito che l’esercito israeliano ha distrutto decine di migliaia di case e più di 30 città nel sud del Libano da quando l’offensiva di terra dell’IDF è iniziata all’inizio di ottobre.
“Come parte della campagna distruttiva condotta dalle forze israeliane contro il Libano, e in particolare le sue regioni meridionali, l’IDF sta deponendo mine e demolendo interi quartieri nelle città e nei villaggi”….Secondo l’agenzia, “Più di 37 città sono state spazzate via, con le loro case completamente distrutte, circa 40.000 unità abitative”.
Propaganda libanese? Haaretz per non essere accusato di tradimento o altro ha voluto sottolineare che “Il New York Times ha riferito la scorsa settimana che le riprese satellitari e video del Libano meridionale mostrano una distruzione diffusa in sei villaggi lungo il confine con Israele, con oltre mille edifici gravemente danneggiati o completamente distrutti”.
Un disastro per il Libano ma niente in confronto a quello che sta accadendo nella striscia di Gaza. Ieri sono stati lanciati nella sua parte settentrionale ancora abitata volantini per sollecitare tutti i palestinesi a abbandonare quel poco che resta delle loro case e fuggire a sud dove sono stati riservati, soprattutto a ridosso della spiaggia mediterranea, alcune località per i profughi. Sono soprattutto aree vicini al confine con l’Egitto.
“Secondo il Ministero della Salute, guidato da Hamas -sottolinea Haaretz – dall’inizio della guerra l’offensiva militare israeliana nella Striscia di Gaza ha causato la morte di almeno 43.391 palestinesi e il ferimento di altri 102.347”.
Mentre Netanyahu e i suoi militari sembrano d’accordo sugli obiettivi delle operazioni contro Hezbollah in Libano, ossia distruggere le capacità militari del movimento sciita alleato dell’Iran e creare una zona cuscinetto libero da “forze nemiche” a ridosso del confine con Israele, regna la totale confusione e incertezza riguardo il futuro di Gaza e della sua popolazione.
Leggendo le dichiarazioni degli uomini al governo e non soltanto, ascoltando le voci di molti commentatori israeliani non solo di destra, e osservando le operazioni militari di Tel Aviv e il potere sempre più forte dei coloni ebraici in Cisgiordania e a Gerusalemme Est emerge il quadro di un vecchio progetto soltanto accantonato: ridurre o possibilmente eliminare la presenza palestinese nei territori occupati.