E Melania, con il suo libro di memorie sapientemente fatto uscire a un mese dal voto, ha vestito i panni della scudiera liberal-femminista, che aiuta il marito a salvare le chance di vittoria. Scrivendo frasi identiche nella sostanza e nella forma a quelle usate da Kamala Harris nei dibattiti, ha offerto una versione del partito trumpiano decisamente laica e favorevole sull’aborto. Il GOP ha un vitale bisogno di risalire la china dei consensi su questo tema. Il sondaggio Yahoo News/YouGov di oggi mostra una ripresa a livello nazionale del favore verso Trump tra i probabili votanti (47 a 47, mentre Harris era davanti 49 a 45 a settembre), ma sulla specifica questione del diritto di abortire, Harris supera Trump 51 a 29.
I Democratici hanno fatto dell’aborto, dopo la sentenza della Corte Suprema che l’ha cancellato come diritto costituzionale, il jolly con cui sperano di sfondare nell’elettorato femminile, laico e colto. Fanno bene. Ciò che era stato dichiarato dagli osservatori (di sinistra con rabbia e di destra con giubilo) un successo repubblicano, ossia la (fortunata, e sfruttata senza esitazioni) possibilità per Trump di mandare alla Corte Suprema ben tre giudici in un solo mandato, si è rivelata una vittoria di Pirro. Almeno per il più clamoroso risultato che ha prodotto, la fine dell’aborto quale diritto costituzionale.
Alle elezioni di medio termine del 2022, infatti, è stato il muro delle donne a favore della libertà di scelta a frenare l’onda rossa del GOP, prevista dai più come reazione fisiologica della gente al primo biennio del presidente DEM neo-eletto. Eppure Biden era stato una frana su tutto: ritiro vergognoso delle truppe USA da Kabul; 9% di inflazione dall’1,5% di partenza; record di clandestini, a milioni, avendo l’amministrazione Biden-Harris (la “zarina” del confine) voluto fare il contrario di Trump dal primo giorno in carica.
Trump, che di suo aveva già un problema di scarsa (eufemismo) empatia con le donne, ha capito la tempesta dell’aborto in arrivo sulle sue chance ed è corso ai ripari. Si è nascosto dietro il verdetto (6 a 3) della Corte Suprema ‘conservatrice’ del 2022, che ha ridato agli Stati ciò che avevano prima del verdetto “Roe versus Wade” della Corte Suprema ‘liberal’ del 1973 (7 a 2): la capacità di legiferare come credono, a favore o contro l’aborto, con un ampio ventaglio di permessi o di restrizioni che riflettono il sentiment della maggioranza della gente in ogni singolo Stato. Quello di New York e la Virginia hanno da decenni legislazioni che permettono l’aborto fino all’ultimo trimestre, altri come la Florida e la Georgia lo vietano dopo la sesta settimana di gravidanza.
L’irruzione di Melania nello scontro fa pendere la bilancia verso i pro-choice, che sono un’entità cospicua all’interno del GOP. Infatti non sono la maggioranza, tra i conservatori, gli attivisti rigidamente pro-vita che Kamala e la sua campagna bollano come “bigotti” perché propugnano un generale e irrealistico divieto nazionale all’aborto. Peraltro, questa è l’ufficiale posizione di papa Francesco, che ha definito recentemente “hit men” (sicari, killer) i medici che assistono le donne che abortiscono. I DEM, anche i cristiani come Harris e Biden, temono di perdere il vantaggio di passare per i soli difensori del diritto all’aborto e mentono quando sostengono che i Repubblicani sono tutti pro-vita. Lo stesso marito di Melania ha detto più volte che, da presidente, metterebbe il veto a una eventuale legge di divieto nazionale dell’aborto. Ma nei discorsi e negli spot in TV i DEM continuano ad accusarlo di volere tale divieto: una bugia sintomo della paura di perdere.