Quando il Segretario Generale dell’ONU annuncia ai giornalisti che terrà uno stake-out (cioè parlerà alla stampa fuori dal Consiglio di Sicurezza), vuol dire che c’è qualcosa che lo preoccupa così tanto, che vuole sottolinearlo leggendo lui direttamente il suo pensiero invece che affidarlo al suo portavoce per il briefing giornaliero. Così quando quello sulla Siria di giovedì mattina è stato annunciato, i corrispondenti si sono fatti trovare puntuali per ascoltare e poi – come accade di solito – fare qualche domanda.
Ma quando giovedì Antonio Guterres ha lanciato un appello per la fine dei combattimenti in Siria, che sta avendo “sviluppi gravi e drammatici”, dopo aver letto la sua dichiarazione è andato subito via senza rispondere alle consuete – anche se sempre poche – domande concesse. Come mai?
Forse la ragione ha molto a che fare con la prima parte della sua dichiarazione, quando ha informato i giornalisti di aver avuto stamattina un colloquio con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
“Ho appena parlato con il presidente Erdoğan della Turchia per discutere delle ultime novità”, ha detto, aggiungendo: “Ho sottolineato l’urgente necessità di un accesso umanitario immediato a tutti i civili bisognosi e di un ritorno al processo politico facilitato dalle Nazioni Unite per porre fine allo spargimento di sangue. Tutte le parti sono obbligate, secondo il diritto internazionale, a proteggere i civili”.
Ma perché, per tentate di far smettere gli accesi combattimenti in Siria, Guterres ha chiamato per primo il presidente turco? Ci arriviamo.
Guterres allo stake-out ha affermato che quest’ultima offensiva è stata lanciata nelle aree controllate dal governo da Hayat Tahrir al-Sham, sanzionato dal Consiglio di Sicurezza come gruppo terroristico insieme a un’ampia gamma di altri gruppi di opposizione armata. Ciò ha portato a cambiamenti significativi in prima linea e decine di migliaia di civili sono a rischio in una regione già in fiamme.
“Stiamo assistendo agli amari frutti di un cronico fallimento collettivo dei precedenti accordi di allentamento nel produrre un autentico cessate il fuoco a livello nazionale o un serio processo politico per attuare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza”, ha affermato, aggiungendo che “questa situazione deve cambiare”.
Il Segretario generale ha quindi riaffermato che, dopo 14 anni di conflitto, è giunto il momento che tutte le parti si impegnino seriamente con il suo inviato speciale per la Siria, Geir Pedersen, per tracciare finalmente un approccio nuovo, inclusivo e globale per risolvere la crisi in linea con le norme di sicurezza.
“È tempo di un dialogo serio”, ha affermato, aggiungendo: ”In altre parole, ripristinare la sovranità, l’unità, l’indipendenza e l’integrità territoriale della Siria e soddisfare le legittime aspirazioni del popolo siriano”.
Dopo aver osservato che la Siria è un crocevia di civiltà e affermato che è doloroso vedere la sua progressiva frammentazione, Guterres ha ricordato il suo lungo mandato come Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, in cui ha potuto constatare l’immensa generosità del popolo siriano, che ha sempre aiutato aprendo le proprie case le ondate di rifugiati provenienti dall’Iraq. “Mi si spezza il cuore vedere crescere la loro sofferenza – insieme alle minacce alla sicurezza regionale e, in effetti, internazionale”, ha detto Guterres. “Invito ancora una volta tutti coloro che hanno influenza a fare la loro parte per il popolo siriano che soffre da tempo”.
A questo punto è andato via, anche se i giornalisti erano schierati e pronti a far le domande. Queste quindi sono state “ritardate” a un’ ora dopo, quando durante il briefing giornaliero con il portavoce Stephane Dujarric, è stato chiesto come mai Guterres, per spegnere il conflitto in Siria, abbia chiamato al telefono il presidente turco e non abbia invece chiamato nessuno dei leader arabi (o anche il presidente iraniano). Lo farà, ha solo voluto iniziare con il presidente turco, ha detto Dujarric. “Questa è stata proprio la prima telefonata del Segretario Generale. Ce ne saranno altre. Si impegna regolarmente con tutta una serie di attori. È normale che interagisca con persone che hanno un’influenza su una situazione. E come ho detto, questa è stata la prima delle telefonate. Come accennato, il signor [Geir] Pedersen [inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria], che rappresenta il Segretario generale, ha parlato con diversi ministri degli esteri, tra cui il signor Sabbagh della Repubblica araba siriana. Si impegnerà con altri ministri del mondo arabo e dell’area più ampia quando sarà a Doha più tardi questa settimana”.
Già, perché è ormai chiaro che l’unico che potrebbe (forse) fermare l’avanzata dei islamisti che oggi hanno preso anche la strategica città di Hama al centro della Siria, è il presidente della Turchia, dato da anni “agevola” la sopravvivenza di queste fazioni di islamisti anti-Assad (e anti curdi). Ma cosa avrà detto esattamente Guterres a Erdogan per convincerlo a “spegnere l’incendio” invece di buttare benzina sul fuoco? E come gli ha risposto Erdogan? Sappiamo, ma non da Guterres, che il presidente turco Erdogan ha detto durante la chiamata che spetta al leader siriano Bashar al-Assad trovare “urgentemente” una “soluzione politica” alla guerra civile del suo Paese. “Il regime siriano deve impegnarsi urgentemente con il suo popolo a favore di una soluzione politica globale”, ha affermato Erdogan nella chiamata con Guterres, secondo la dichiarazione rilasciata dalla presidenza turca. E basta così? E cosa ha risposto Guterres?
Chissà, dalla fretta con cui il Segretario Generale è andato via dallo stake out, si vede che non ci fosse granché alto da dire o, forse, ci fosse eccome ma fosse qualcosa da non “condividere” ancora con i reporter.