È durato appena tre mesi il governo del primo ministro francese, Michel Barnier, salito giovedì all’Eliseo di Parigi a rassegnare le dimissioni dopo il voto di sfiducia del Parlamento: il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, ne ha tratto le conclusioni in un discorso in diretta tv in serata assicurando che non si dimetterà nonostante le crescenti richieste da destra e da sinistra. “Il mandato che mi avete democraticamente affidato è un mandato di cinque anni, e lo eserciterò fino in fondo. La mia responsabilità è quella di garantire la continuità dello Stato, il buon funzionamento delle nostre istituzioni, l’indipendenza del nostro Paese e la protezione di tutti voi”.
Quanto al nome del prossimo primo ministro, Macron ha annunciato che lo nominerà “nei prossimi giorni”. “Gli darò l’incarico di formare un governo di interesse generale che rappresenti tutte le forze politiche di un arco di governo che possa parteciparvi o, quanto meno, che si impegni a non censurarlo”, ha aggiunto.
La mozione di censura ha lasciato la Francia senza un bilancio per il 2025, ma il Presidente ha assicurato che “una legge speciale sarà presentata in Parlamento prima della metà di dicembre, e questa legge temporanea garantirà la continuità dei servizi pubblici e della vita del Paese, come previsto dalla nostra Costituzione”.
“L’unico calendario che mi interessa non è quello delle ambizioni, ma quello della nostra nazione”, ha insistito il Capo dello Stato. “Abbiamo 30 mesi davanti a noi, fino alla fine del mandato che mi avete affidato, affinché il governo possa agire.
Contro Barnier, in Parlamento si sono coalizzate le sinistre e l’estrema destra del Rassemblement National di Marine Le Pen. Ma il vero bersaglio è proprio Macron.
La defenestrazione di Barnier – primo governo in sessant’anni ad essere sfiduciato, record negativo di durata – giunge dopo le elezioni parlamentari anticipate di quest’estate. Macron aveva deciso di sciogliere le Camere dopo la brutta sconfitta alle europee di inizio giugno. Ma dopo una campagna frenetica di appena tre settimane il voto politico ha portato a un parlamento dove nessun partito o gruppo di partiti ha una maggioranza complessiva, e l’estrema destra dell’RN detiene la chiave per la sopravvivenza del governo. Quello di Barnier era un esecutivo di minoranza e avrebbe dovuto reggersi su voti esterni a seconda dei provvedimenti.
La mozione di sfiducia, presentata dalla sinistra, era arrivata nel mezzo di una situazione di stallo sui tagli della manovra economica del prossimo anno. L’RN di Marine Le Pen si è unito alla sfiducia anche se evitando accuratamente i trionfalismi: Le Pen ha detto che “avevamo una scelta da fare, e la nostra scelta è quella di proteggere i francesi” da una finanziaria “tossica”. Le Pen ha anche accusato Macron di essere “ampiamente responsabile della situazione attuale”. Ma ha promesso che una volta nominato un nuovo premier “lo lascerà lavorare” per creare “una legge finanziaria accettabile per tutti”.
Ma con un deficit del 6,2 per cento del Pil, la Francia ha già il peggior squilibrio di bilancio della zona euro. Chiunque formi il nuovo governo avrà ora grandi difficoltà a far passare le proposte fiscali e di spesa. Il frammentato parlamento francese rimarrà invariato, poiché non si potranno tenere nuove elezioni legislative almeno fino a luglio.
I candidati alla carica di primo ministro sono pochi, ma il ministro della Difesa Sebastien Lecornu e l’alleato centrista di Macron Francois Bayrou sono possibili contendenti. A sinistra, Macron potrebbe rivolgersi all’ex premier socialista e ministro degli Interni Bernard Cazeneuve, di cui già si era parlato in settembre.
Di sicuro vuole fare molto in fretta: sabato 7 dicembre accoglierà a Parigi decine di capi di Stato e di governo per l’inaugurazione della cattedrale di Notre Dame, restaurata dopo il rogo dell’aprile 2019. Ci sarà anche il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, al suo primo viaggio internazionale dopo le elezioni del 5 novembre, e Macron non intende presentarsi con il manto del perdente.
Ma la crisi francese pone grossi problemi all’Europa tutta: il vuoto politico oltre che Parigi riguarda anche il governo di Berlino del socialdemocratico Olaf Scholz, caduto per disaccordi con il ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner. Scholz ha indetto elezioni anticipate per il 23 febbraio.
Questo significa che il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump si insedierà mentre le due maggiori economie europee sono in un momento di grande debolezza. Fra i paesi fondatori dell’Ue, il più stabile ed influente per dialogare con Washington sarà proprio l’Italia di Giorgia Meloni.