Fuochi d’artificio al Consiglio di Sicurezza martedì sera per la riunione d’emergenza dedicata alla crisi in Siria. Prima dell’atteso intervento in collegamento via video dell’inviato speciale dell’Onu in Siria, Geir O. Pedersen, l’Ambasciatore Robert Wood, vice rappresentante permanente degli USA all’ONU e presidente di turno del UNSC per il mese di dicembre, ha dovuto dare la parola all’ambasciatore russo Vassily Nebenzia che con veemenza ha protestato la presenza, tra gli invitati a parlare alla riunione, di Raed Saleh, leader dei “White Helmets” (elmetti bianchi). La Russia, alleata del regime di Damasco, considera infatti il gruppo siriano una organizzazione terrorista, mentre per gli americani restano un gruppo umanitario che da oltre dieci anni soccorre i civili dopo i bombardamenti del regime di Assad. Dopo essere stato sfidato da Nebenzia che accusava la presidenza USA di non aver avvertito prima gli altri membri del Consiglio della presenza di Saleh, Wood ha rimesso la decisione al Consiglio, mettendo ai voti l’autorizzazione all’intervento del capo dei White helmets. Alla fine su Quindici, in 11 hanno votato sì, due no (Russia e Cina) e due si sono astenuti (Algeria e Mozambico). Essendo solo una votazione procedurale e non una risoluzione, ovviamente il voto negativo di Russia e Cina non avevano il peso di un veto e quindi Saleh ha potuto partecipare e intervenire alla riunione.
Per tutta la durata del dibattito al Consiglio, russi e americani hanno continuato a scambiarsi frecciate e ad un certo punto la riunione è sembrata arenarsi sullo sterile duello retorico tra Russia-USA senza mai dare l’impressione di voler essere un tentativo per cercare di risolvere la crisi in Siria.
Però tutti attendevano l’intervento dell’inviato speciale Pedersen, che esordendo ha detto subito che lo status quo della Siria è stato “radicalmente modificato” nel giro di pochi giorni, con un’ondata di combattimenti che ha portato ad una situazione “estremamente fluida e pericolosa”. “Una vasta fascia di territorio è finita sotto il controllo di attori non statali, tra cui il gruppo terroristico Hay’at Tahrir al-Sham e gruppi di opposizione armata, compreso l’Esercito nazionale siriano”, ha affermato Pedersen. “Questi gruppi ora controllano di fatto un territorio che contiene ciò che stimiamo essere circa sette milioni di persone, inclusa Aleppo – la seconda città più grande della Siria e una metropoli vasta e diversificata di oltre due milioni di persone”.
L’inviato dell’ONU ha aggiunto che le forze governative siriane si sono raggruppate ad Hama, ma le loro difese sono sotto pressione mentre le forze di opposizione avanzano sempre più vicino alla città. Entrambe le parti hanno intensificato gli attacchi, con attacchi aerei filo-governativi contro infrastrutture civili, compresi gli ospedali, e Hay’at Tahrir al-Sham che ha lanciato raffiche di droni e razzi.
Le vittime civili sono da entrambe le parti, ha detto Pedersen agli ambasciatori. Riferendo di crescenti tensioni nel nord-est della Siria, dove le Forze Democratiche Siriane (SDF) sostenute dagli Stati Uniti hanno sequestrato villaggi citando una minaccia imminente da parte dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante (ISIL/Da’esh).
Intanto questa settimana sono stati segnalati attacchi aerei israeliani anche su Damasco e sul confine siriano-libanese, destabilizzando ulteriormente la regione. L’inviato speciale ha delineato due messaggi fondamentali, il primo: un urgente bisogno di allentamento della tensione e di calma. “Gli ultimi quattordici anni di conflitto hanno dimostrato in modo decisivo che nessun partito siriano o gruppo di attori esistente può risolvere il conflitto siriano con mezzi militari”, ha sottolineato Pedersen, sollecitando un’immediata riduzione della tensione e il rispetto del diritto internazionale umanitario.
Il secondo messaggio consegnato ai Quindici è che la riduzione della tensione deve essere accompagnata da un orizzonte politico credibile per il popolo siriano. Per quasi cinque anni, la violenza “spesso elevata ma in qualche modo contenuta” sulla scia di un “patchwork di accordi di cessate il fuoco” è stata positiva, ha detto Pedersen. “Ma senza essere ancorati a un processo politico per risolvere la crisi, ciò equivaleva solo a un approccio di gestione del conflitto. E questo non basta”.
Pedersen ha quindi ribadito l’avvertimento secondo cui un tale accordo è insostenibile e ora è completamente crollato, sottolineando la necessità di un processo politico serio che coinvolga i partiti siriani e i principali attori internazionali. “La Siria correrà il grave pericolo di ulteriori divisioni, deterioramento e distruzione… questo non dovrebbe essere nell’interesse di nessuno”, ha concluso.
L’ambasciatore russo Nebenzia, nel suo intervento ha anche accusato l’Ucraina di sostenere militarmente i combattenti del gruppo islamico Hayat Tahrir al-Sham artefici dell’offensiva contro le forze siriane nel nord-ovest del paese. “Vogliamo attirare l’attenzione in particolare sulle tracce identificabili che riconducono alla principale direzione dell’intelligence ucraina nell’organizzazione delle ostilità e nella fornitura di armi ai combattenti nel nord-ovest della Siria”, ha detto Nebenzia al Consiglio di Sicurezza.
Dal canto suo l’ ambasciatore americano Robert Wood ha ribadito che il continuo rifiuto del regime di Assad di impegnarsi nel processo politico e la sua dipendenza da Russia e Iran hanno creato le condizioni che si stanno verificando ora in Siria, tra cui il crollo delle linee del regime nella parte nord-occidentale del paese. “Allo stesso tempo, la recente offensiva dei ribelli, con cui gli Stati Uniti non hanno avuto nulla a che fare, è guidata dal gruppo haya tarir Al Sham (Hds), un’organizzazione terroristica designata da Usa e Onu. Ovviamente abbiamo delle preoccupazioni su questo gruppo. Continueremo a difendere e proteggere completamente il nostro personale e le posizioni militari statunitensi, che rimangono essenziali”.
Invitati a parlare c’erano anche gli ambasciatori di Siria, Iran, Libano e Turchia. Questi hanno cercato di scaricare le responsabilità degli avvenimenti contro i loro avversari regionali (Siria e Iran contro Turchia con il Libano in mezzo). Ma gli scambi di accuse più roventi ci sono state tra il capo degli elmetti bianchi Saleh e l’inviato siriano, l’ambasciatore Bassam Sabbagh spalleggiato dal russo Nebenzia. (Quest’ultimo, quando ha parlato Saleh, è uscito dalla stanza, seguito anche dall’ambasciatore cinese Fu Cong).
Dopo tutti gli interventi carichi di accuse e ripicche in pubblico, i Quindici si sono ritirati in un altra stanza per una riunione a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza, durata un’ora. In attesa fuori dal Consiglio di Sicurezza siamo riusciti a fare delle domande al capo dei “White Helmets” Saleh (vedi video sopra), che rispondeva in arabo mentre era assistito da un rappresentante della missione degli USA che traduceva in inglese. Quando abbiamo constatato il suo pessimismo sulle possibilità che il Consiglio di Sicurezza potesse venire in soccorso dei civili siriani che restano prigionieri della guerra civile, abbiamo chiesto a Saleh se nutrisse delle speranze di cambiamento e miglioramento della situazione in Medio Oriente con il ritorno alla presidenza degli USA di Donald Trump. La smorfia nel viso nella sua risposta in arabo, mostrava solo rassegnazione da parte di Saleh, ma la traduzione del funzionario della missione USA non mostrava così tanto pessimismo: “Non lo sappiamo ancora, ma la speranza che qualcosa possa cambiare, quella c’è sempre”.
All’uscita dei Quindici dalla riunione a porte chiuse, abbiamo chiesto all’ambasciatore americano Robert Wood se poteva fornirci qualche novità oltre alle scintille viste tra lui e il collega russo durante la riunione a porte aperte. “Tutti abbiamo fiducia nell’operato di Pedersen” ha detto Wood, che però quando abbiamo insistito su come si uscisse dalla situazione di stallo creata dai duelli infiniti tra Russia e USA al Consiglio di Sicurezza, ha replicato: “Quello che posso dire è che due paesi hanno chiesto che certi ‘scheletri’ restassero fuori dalla narrativa per poter trovare una soluzione alla crisi. Anche noi vogliamo risolvere la crisi, ma non cederemo mai dal dover ritenere responsabile il regime di Assad, soprattutto sugli attacchi con le armi chimiche contro il popolo siriano”.
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Intanto la mattina di martedì sull’escalation delle ostilità in Siria, c’è stata anche al Palazzo di Vetro la conferenza stampa di Adam Abdelmoula, coordinatore residente e umanitario in Siria, e Ramanathan Balakrishnan, coordinatore umanitario regionale per la crisi siriana. I due operatori umanitari delle Nazioni Unite hanno lanciato un appello a tutte le parti in Siria affinché diano priorità alla protezione dei civili, nonché del personale, delle strutture e dei beni umanitari in tutte le località colpite.
Abdelmoula ha affermato, via video da Damasco, che l’escalation è la più significativa dal 2019, e sta causando molte vittime civili, sfollando decine di migliaia di persone, interrompendo servizi critici e interrompendo le operazioni umanitarie. Il coordinatore residente-umanitario in Siria ha riaffermato: “Sebbene la sicurezza e l’incolumità del personale umanitario siano di fondamentale importanza, l’ONU e i suoi partner restano impegnati a restare e a fornire risultati” per poi aggiungere: “ci stiamo organizzando per intraprendere valutazioni ed espandere la risposta il prima possibile, in qualunque modo possibile, sia direttamente oltre le linee del conflitto che oltre i confini internazionali”.
Abdelmoula ha anche sottolineato che le ultime ostilità arrivano mentre la risposta umanitaria per la Siria si trova ad affrontare il più grande deficit di finanziamenti mai registrato, “con meno del 30% dei 4,1 miliardi di richieste umanitarie per il 2024 ricevute fino ad oggi” e poi aggiungendo: “I bisogni prioritari in questo momento includono la salute alimentare, i servizi di protezione dell’acqua, i prodotti non alimentari, poiché l’inverno è alle porte e stiamo facendo di tutto per fornire quanta più assistenza possibile, date le risorse limitate e l’accesso limitato”. .” Il funzionario umanitario delle Nazioni Unite ha avvertito che alcune preoccupazioni per la salute pubblica stanno già aumentando, “anche a causa della presenza di corpi insepolti e della mancanza di acqua pulita per giorni”. L’ospedale universitario di Aleppo ha subito danni che hanno lasciato centinaia di pazienti senza cure essenziali.
Da parte sua, Ramanathan Balakrishnan, coordinatore umanitario regionale per la crisi in Siria, ha parlato da Amman anche lui tramite collegamento video. Ha detto: “Nella Siria nord-occidentale, le Nazioni Unite e i suoi partner stanno fornendo cibo, vestiti invernali, servizi di protezione e lavaggio di emergenza e altra assistenza attraverso centri di accoglienza che ospitano le famiglie appena sfollate e in arrivo”. “Dal 2 dicembre, oltre 2.600 persone, principalmente donne e bambini, hanno cercato rifugio in dodici centri di accoglienza con 15 ONG partner che mantengono una risposta umanitaria multisettoriale. I partner sono pronti a reindirizzare parte della risposta invernale in corso per sostenere le famiglie più vulnerabili colpite dalle ostilità”, ha aggiunto Balakrishnan.
Anche Balakrishnan ha fatto eco al deficit di finanziamenti, “data la volatilità della regione che ha visto anche un recente massiccio afflusso in Siria di siriani e libanesi in fuga dalla violenza in Libano, un tale gap nei finanziamenti umanitari è destinato a peggiorare. aumenteranno le sofferenze dei più vulnerabili e avranno conseguenze significative per la regione”.