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Riforma Consiglio di Sicurezza dell’ONU: gli USA rilanciano e raddoppiano

Con un intervento al Council on Foreign Relations di New York, l'ambasciatrice Linda Thomas-Greenfield svela il piano con due seggi permanenti all'Africa

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 4 mins read

Proprio quando sembravano spegnersi le già vane speranze di chi vorrebbe in tempi brevi una riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, gli Stati Uniti la rilanciano con una nuova proposta che prevede due seggi permanenti riservati ai paesi africani, insieme a un seggio a rotazione per le piccole nazioni insulari in via di sviluppo.

Solo pochi giorni fa Dennis Francis, alla vigilia della sua uscita da presidente dell’Assemblea Generale, in una conferenza stampa aveva “confessato” che all’ONU i paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza non sono mai stati “seri” sulle riforme dell’istituzione multilaterale, soprattutto sul loro organo.

Ma a pochi giorni dall’inizio della settimana di alto livello che apre i lavori della 79esima Assemblea Generale, l’ambasciatrice americana al Palazzo di Vetro Linda Thomas-Greenfield ha presentato giovedì 12 settembre la nuova proposta che trasformerebbe il Consiglio di Sicurezza, nonostante da oltre trent’anni gli altri tentativi di riforma sono falliti a causa delle profonde divergenze tra i 193 membri dell’ONU.

Per sottolineare che gli USA questa volta faranno sul serio, Thomas-Greenfield è andata a spiegare la proposta nel tempio della politica estera americana a New York: il Council on Foreign Relations. Nelle stanze di Park Avenue dove da oltre un secolo si dibattono le nuove “dottrine” della “foreign policy” degli USA, Thomas-Greenfield ha presentato il progetto di riforma  degli USA e poi risposto alle domande  della giornalista Elise Labott (Edward R. Murrow Press Fellow del CFR) e poi anche dal variegato pubblico di diplomatici, accademici, businessman e scienziati.

Nella “nuova” proposta presentata dalla rappresentante permanente all’ONU dell’amministrazione Biden, i due seggi permanenti africani non avrebbero il potere di veto, come anche gli altri G4 (Germania, Giappone, India e Brasile, che gli Usa da tempo considerano “adatti” alla “promozione”). Una grande differenza dagli attuali P5 (Cina, Russia, Fracia, Regno Unito e Stati Uniti), che invece con il loro veto  da sempre condizionano l’efficacia dell’organo più potente dell’ONU. Linda Thomas Greenfield, nella sua presentazione, ha ammesso che da parte della richiesta africana c’era di ottenere anche il potere di veto, altrimenti “non serve a nulla esserci”, ma la diplomatica americana ha detto che gli USA non sono d’accordo, perché porterebbe più intoppi ai lavori del Consiglio di Sicurezza che rimarrebbe così bloccato.

A sin. l’ambasciatrice degli USA all’ONU Linda Thomas-Greenfield con la giornalista Elise Labott al Council on Foreign Relations di New York (Foto VNY)

Quando Labott, che nella sua carriera è stata già corrispondente dall’ONU, ha fatto notare che in pochi credono che i P5 vogliano una riforma (che effettivamente diluirebbe i loro poteri) e quindi perché adesso si dovrebbe credere gli USA spingeranno per arrivare fino in fondo (cioè al voto in Assemblea Generale dove per emendare la UN Charter una risoluzione di riforma deve ottenere almeno il voto favorevole di 2/3 dei 193 paesi membri, Thomas-Greenfield ha risposto: “Sono una persona ottimista, ma anche realista e so bene che è difficilissimo convincere così tanti paesi. Eppure bisogna tentare. Nel 1965 una riforma del Consiglio di Sicurezza (che nel 1945 nacque con soli 11 membri di cui 5 permanenti) riuscì e fu allargato agli attuali Quindici. Potrebbe accadere di nuovo…”.

Quando è arrivata la domanda su come avrebbe la proposta degli USA oltrepassato gli enormi ostacoli sovrapposti da altri paesi, come l’Italia col suo interesse affinché non entri la Germania, o il Pakistan nei confronti dell’India, o altri paesi sudamericani con il Brasile “che parla un’altra lingua..”, e persino la Cina che si opporrebbe sul seggio permanente del Giappone… Linda Thomas Greenfield si è limitata a rispondere che gli USA appoggiano Giappone, Germania e India ma hanno mai indicato il Brasile ma solo un paese del Sud America, e che “dato che l’India è il paese più popoloso del mondo, non si hanno ragioni per non sostenere il suo ingresso”. Poi ha tagliato corto: “Ci saranno sempre coloro che per vari motivi si opporranno, ma questo fa parte del lavoro di negoziazione che si dovrà fare”.

Linda Thomas-Greenfield (centre at table), Permanent Representative of the United States to the United Nations, addresses the Security Council meeting on the situation in the Middle East, including the Palestinian question. (UN Photo/Manuel Elías)

Quando la domanda è toccata a noi, abbiamo ricordato cosa aveva detto ai giornalisti il presidente uscente di UNGA78 sulla mancanza di serietà dei P5 nei confronti della riforma, chiedendo a Thomas-Greenfield di darci qualche elemento più convincente che dimostri come gli USA abbiano questa volta intenzione seriamente di portare a termine la riforma. Quindi, se fosse veramente così, lei vorrebbe rimanere al suo posto in caso di vittoria elettorale della vice presidente Kamala Harris? Dopo essere scoppiata in una contagiosa risata, l’ambasciatrice degli USA alle Nazioni Unite ha risposto così:

“Noi siamo seri sulla riforma e so che ci sono coloro che mettono in dubbio il nostro impegno. Di solito mettono tutti i P5 nella stessa pentola e pensano che noi lavoriamo insieme per assicurarci che una riforma dell’ONU non succeda. Ma non è così. Non sarei venuta qui oggi e il presidente Biden non avrebbe fatto il suo annuncio due anni fa come l’anno scorso. Continueremo quindi a lavorare su questa riforma fino a quando non raggiungeremo qualche risultato su quello che proponiamo. Riguardo al mio futuro, in questo momento abbiamo 4 mesi per arrivare alla fine dell’anno, quando io servirò come presidente del Consiglio di Sicurezza per la quarta volta e su questo mi sto focalizzando”.

Elise Labott, seduta accanto all’ambasciatrice, ha esclamato: “Ehi, non è un no!”.

Lo schema della proposta di riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU da parte del gruppo “Uniting for Consensus”

Chiudiamo con questa riflessione: l’Italia guida da quasi trent’anni un gruppo di paesi, chiamato “Uniting for Consensus” che propone da sempre l’allargamento del Consiglio di Sicurezza ad altri seggi elettivi ma alzando un muro a chi vorrebbe aggiungere nuovi membri permanenti. Fino adesso l’Italia e i suoi alleati hanno avuto la meglio affinché non si realizzi alcuna riforma che preveda l’entrata dei G4 (Germania, Giappone, India, Brasile) +, con la nuova proposta USA, due paesi africani (l’Italia chiede più seggi per l’Africa ma non permanenti). Una delle strategie con cui l’Italia e il gruppo “Uniting for Consensus” hanno avuto successo nel contenere i tentativi dei G4 all’ONU, è stata corteggiando i micro paesi dell’ONU per invitarli a sostenere la loro proposta. Infatti all’Assemblea Generale il voto di queste micro isole stato conta tanto quanto quello delle nazioni “giganti”. Ma  ora nella neo proposta degli USA si concede un seggio non permanente al Consiglio di Sicurezza al gruppo composto proprio dai micro paesi insulari… Già, cosa ne pensa della mossa dell’amministrazione Biden la missione italiana al Palazzo di Vetro? Attendiamo presto una reazione dell’Italia a questa nuova proposta americana.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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