Alla Grande Diga della Rinascita Etiope, il GERD, e ai problemi che da oltre un decennio la diga sta creando nel Corno d’Africa, ben pochi hanno prestato fino ad oggi attenzione al di fuori del mondo della diplomazia africana. In un mese che già sarà tesissimo al Palazzo di Vetro, invece, la questione della enorme infrastruttura che l’Etiopia ha costruito sul Nilo Azzurro e delle tensioni che questa ha creato con l’Egitto e il Sudan e’ arrivata di prepotenza anche al Consiglio di Sicurezza.
In una dura lettera indirizzata alla presidenza di turno del Consiglio, la Slovenia, e firmata del ministro degli esteri egiziano Badr Abdelatty, l’Egitto ha infatti chiesto l’intervento diretto dei quindici membri seduti al tavolo semicircolare per fermare il riempimento del bacino artificiale della diga annunciato dall’Etiopia a fine agosto. Nella lettera, il diplomatico egiziano ha descritto le ultime mosse dell’Etiopia come ”una minaccia esistenziale per l’Egitto” e ha chiesto un intervento diretto del Consiglio di Sicurezza per fermare una iniziativa considerata illegale e unilaterale.
”L’Egitto rifiuta categoricamente le azioni unilaterali dell’Etiopia che violano le regole e i principi della legge internazionale”, ha scritto il diplomatico egiziano,”Siamo pronti a esercitare il nostro diritto di difendere e proteggere gli interessi della popolazione egiziana in accordo con la carta dell’Onu”.
La storia, in realtà, non è nuova e ha avuto inizio già nel lontano 2011, quando l’Etiopia ha dato il via a un progetto particolarmente ambizioso e destinato, nelle intenzioni, a regalare a un paese che ne ha estremamente bisogno l’acqua necessaria alla sua popolazione e alla sua agricoltura e soprattutto l’energia elettrica preziosa per rivitalizzare la fragile economia del paese . Nel corso degli anni l’infrastruttura, costata 4,5 miliardi di dollari, si è ampliata e perfezionata fino a diventare la più grande diga africana e sono iniziati i riempimenti del suo bacino artificiale. Il 25 di agosto, il premier etiope Abiy Ahmed ha mostrato con orgoglio con delle immagini pubblicate su X l’apertura di alcuni nuovi scarichi destinati a rilasciare nel bacino migliaia di metri cubi d’acqua al secondo.
Per il Cairo, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Da sempre contrario a un progetto che mette seriamente in crisi un paese che proprio dal Nilo ricava il 97 per cento delle sue risorse acquifere, il governo egiziano si è opposto da subito, insieme al Sudan, all’ambiziosa iniziativa etiopica. I tentativi di mediazione fatti in questi anni con l’aiuto dell’Unione Africana e dei mediatori locali dell’Onu, però, non sono arrivati a nulla e nelle ultime mosse di Ahmed l’Egitto ha visto svanire tutte le speranze di un accordo.
”Nonostante l’aumento delle inondazioni del Nilo negli ultimi anni, che hanno relativamente protetto l’Egitto, la continuazione delle mosse dell’Etiopia potrebbe costituire una minaccia esistenziale per l’Egitto come per i diritti e gli interessi di 150 milioni di cittadini, e metterebbe a rischio la pace e la sicurezza internazionali”, ha scritto Abdelatty,”Per questo chiediamo al Consiglio di Sicurezza di assumersi le sue responsabilità in base all’articolo 24 della carta dell’Onu”.
A rendere la questione della diga ancor più incandescente, per di più, ci sono anche le mosse di avvicinamento dell’Egitto alla Somalia dopo la decisione dell’Etiopia di affittare un zona costiera nel Somaliland, la regione che si è distaccata dalla Somalia e che l’Onu non riconosce come uno stato indipendente, per costruire un nuovo porto. Ufficialmente per creare una forza di pace, l’Egitto sta ora inviando truppe e forniture militari nella regione.
Martedì scorso, durante la sua conferenza stampa, l’ambasciatore sloveno Samuel Zbogar, presidente di turno del Consiglio di Sicurezza per il mese di settembre, ha affrontato la questione con cautela e ha osservato che, fino ad ora, è stata sempre trattata a livello regionale. Anche per lui, ha però lasciato capire, resta la prospettiva di dover inserire nel programma di un Consiglio già spaccato e paralizzato, accanto ai drammi di Gaza e dell’Ucraina, anche quello del Corno d’Africa.