Alla Cop28 di Dubai, il segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres non ha fatto altro che ribadire ciò che da tempo continua a sostenere: non c’è altra strada per frenare il riscaldamento globale che fermare l’utilizzo dei combustibili fossili.
Una posizione opposta a quella presentata dal presidente della Cop28, Sultan Ahmed al-Jaber, che oltre ad essere ministro dell’industria e del progresso tecnologico degli Emirati Arabi, è anche il capo dell’azienda petrolifera di Stato di Abu Dhabi, uno dei maggiori inquinatori mondiali.
Uno scontro di vedute che sta alla base dell’immobilismo della conferenza sul clima, da cui alla 28ª riunione non riesce ad uscire un accordo efficace nonostante i tanti appelli più volte rimasti inascoltati.
Come quello di Re Carlo III d’Inghilterra, che ha supplicato i paesi di progredire nell’agenda climatica globale ricordando come gli scienziati ci abbiano “avvertito per così tanto tempo: stiamo assistendo al raggiungimento di livelli allarmanti. A meno che non ripariamo rapidamente e ripristiniamo l’economia della natura, basata sull’armonia e l’equilibrio, la nostra stessa economia e la nostra sopravvivenza saranno in pericolo”.
Re Carlo stesso, che ha trascorso la maggior parte della sua vita impegnato in campagne ambientali, sembra essere in contrasto con il governo britannico. Il Premier Rishi Sunak, che alla Cop28 ha annunciato un piano da 2 miliardi di dollari destinati a diversi ‘finanziamenti climatici’, ha però annullato diverse misure interne stabilite dagli esecutivi precedenti per aiutare il paese a raggiungere gli obiettivi di emissioni zero entro il 2050.
Un comportamento che il Primo Ministro indiano Narendra Modi, intervenuto oggi alla conferenza criticando l’ipocrisia dei “paesi ricchi” nel dibattito sul clima, si aspettava. “Non abbiamo molto tempo per correggere gli errori del secolo scorso – ha detto Modi – Nel secolo scorso, una piccola sezione dell’umanità ha sfruttato indiscriminatamente la natura. Tuttavia, l’intera umanità sta pagando il prezzo, specialmente le persone che vivono nel sud del mondo”.
Le Isole Marshall, un piccolo arcipelago sperduto al centro dell’Oceano Pacifico che rischia di sparire a causa dell’innalzamento del livello dei mari, ne sono un esempio, e a Dubai hanno fatto arrivare la loro contrarietà all’organizzazione della Cop28 negli Emirati Arabi ritirando la delegata che faceva parte del principale consiglio consultivo della conferenza.
I paesi vittime del cambiamento climatico si sentono infatti spesso vittime in balia delle decisioni prese dalle grandi potenze mondiali. Come gli Stati Uniti, che a Dubai saranno rappresentati dalla vicepresidente Kamala Harris per mettere in evidenza, scrive la Casa Bianca, la storica legge sul clima che Biden ha firmato lo scorso anno per immettere 370 miliardi di dollari in spese e agevolazioni fiscali nello sviluppo dell’energia sostenibile negli Stati Uniti.

Un’assenza, quella di Biden, che si farà notare. È la prima volta da quando è entrato in carica che il presidente perde la conferenza sul clima. Nel 2021, a Glasgow, si scusò per la decisione degli Stati Uniti di ritirarsi dall’accordo sul clima di Parigi presa durante la presidenza di Donald J. Trump, mentre l’anno scorso volò a Sharm el Sheikh, in Egitto, per riaffermare la “leadership degli USA nella lotta al cambiamento climatico”.
Molti collaboratori di Biden hanno sostenuto a lungo l’ipotesi che il presidente dovesse apparire alla Cop28, diventando così il primo inquilino della Casa Bianca a partecipare a tre vertici sul clima e dando un importante segnale politico, ma dopo lo scoppio del conflitto tra Hamas e Israele i piani di Washington sono cambiati. Se Biden fosse andato a Dubai, quasi certamente sarebbe stato costretto a una seconda visita a Israele, oltre che ad altri paesi vicini coinvolti nella mediazione per il cessate il fuoco e lo scambio dei prigionieri.
Presente invece Giorgia Meloni, che intervenendo nel panel dedicato ai sistemi alimentari ha sottolineato il ruolo dell’Italia “nell’incolumità alimentare: la nostra sfida è non solo garantire alimenti per tutti, ma assicurare alimenti sani per tutti. La ricerca è essenziale, ma non per produrre cibo in laboratorio, magari andando verso un mondo in cui i ricchi possono mangiare prodotti naturali e ai poveri vanno quelli sintetici, con un impatto sulla salute che non possiamo prevedere: non è il mondo che voglio vedere”.
Secondo Meloni, infatti, “la sicurezza alimentare per tutti è una delle priorità strategiche della nostra politica estera e per questo motivo una parte molto importante del nostro progetto per l’Africa, il Piano Mattei, si rivolge al settore agricolo. Non vogliamo fate della beneficenza. L’Africa non ha bisogno di elemosina, ma di qualcosa di diverso: la possibilità di competere su un campo da gioco che sia equo. Dobbiamo aiutare questo continente a prosperare basandosi sulle sue risorse”.