Duro colpo per Donald Trump. La corte d’appello federale ha respinto la richiesta di immunità avanzata dai suoi avvocati e ora dovrà affrontare le cause civili per il suo ruolo nell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 da parte dei suoi sostenitori.
I magistrati d’appello del Circuito del Distretto di Columbia hanno rilevato che Trump, quando ha tenuto il comizio e ha incitato la folla a marciare verso il Campidoglio, stava agendo “a titolo personale di candidato presidenziale”. Nella loro decisione i magistrati hanno stabilito che i presidenti sono immuni dalle cause civili solo per le azioni ufficiali legate al loro incarico alla Casa Bianca. Non è chiaro se gli avvocati dell’ex presidente ora cercheranno di ricorrere alla Corte Suprema.
Questa decisione, che darà la possibilità agli agenti feriti nel corso degli scontri di citare in giudizio con il rito civile l’ex presidente per chiedergli il risarcimento dei danni per aver istigato le violenze, mette indirettamente Trump al centro del tentativo insurrezionale. Per ora la decisione riguarda solo il rito civile, ma è una sirena d’allarme per gli avvocati del presidente perché ci sono i presupposti che dopo questa sentenza l’inchiesta possa diventare criminale, quindi di rito penale.
La decisione della Corte d’Appello di Washington è arrivata mentre altri avvocati dell’ex presidente erano in udienza ad Atlanta, in Georgia per cercare di bloccare la richiesta del procuratore distrettuale della contea di Fulton di ottenere dallo Special Counsel Jack Smith le prove e le testimonianze reperite dagli inquirenti federali sul tentativo di presentare i falsi Grandi Elettori per cercare di bloccare la certificazione elettorale della vittoria di Biden. Uno degli Stati al centro della congiura politica per cercare di ribaltare il risultato elettorale usando i falsi grandi elettori è appunto la Georgia. Il punto focale delle indagini è l’incontro organizzato da Rudy Giuliani avvenuto il 14 dicembre 2020 ad Atlanta in cui sedici elettori repubblicani della Georgia hanno firmato questi falsi certificati elettorali.

Otto di loro hanno patteggiato il verdetto di colpevolezza. Finora l’ufficio di Jack Smith che indaga ad ampio raggio sulla vicenda, che ha già sentito i testimoni della Georgia e ha ricostruito la trama del piano, ha dovuto condividere le prove raccolte solo con gli avvocati della difesa del presidente, ma non con gli inquirenti statali della Georgia. E l’udienza di oggi è anche per questo. Con gli avvocati dell’ex presidente che cercano di bloccare la condivisione delle indagini federali con gli inquirenti statali. Gli avvocati di Trump inoltre cercano di sostenere che le accuse dovrebbero essere respinte sulla base del Primo Emendamento e che le false affermazioni elettorali di Trump erano un “discorso politico fondamentale” protetto dalla Costituzione.
Il giudice che Scott McAfee, ha già respinto queste argomentazioni presentate da Kenneth Chesebro e Sidney Powell, entrambi poi hanno patteggiato il verdetto e dovranno ora testimoniare. Poi l’ex avvocato e coimputato di Trump, John Eastman, chiede alla corte di dividere il caso, con Trump processato da solo e i restanti imputati divisi in due gruppi diversi con “due processi ciascuno di otto o meno imputati”. Ma anche gli avvocati di Trump hanno chiesto di rinviare il processo a dopo le elezioni del prossimo anno.
Nel frattempo, l’ex capo della Casa Bianca Mark Meadows e l’ex funzionario del Dipartimento di Giustizia di Trump, Jeffrey Clark – anch’essi co-imputati – hanno chiesto pure loro un rinvio dell’inizio del processo citando altri casi legali riguardanti le elezioni del 2020.
A New York la Corte d’appello statale ha ripristinato l’ordine di silenzio nel processo per frode di Donald Trump dopo un’ondata di minacce di morte e abusi contro il personale del tribunale. Il giudice Arthur Engoron aveva imposto l’ordine di silenzio per proteggere una sua assistente particolarmente bersagliata dai messaggi di Trump a cui avevano fatto seguito le minacce. E così non potendo bersagliare con i suoi insulti il giudice, se l’è presa con la moglie del magistrato, Dawn Engoron.

Solo due giorni fa l’ex presidente ha pubblicato sul suo sito web cinque post in quattro minuti, ciascuno dei quali condannava la moglie del giudice per le sue presunte attività sui social media. Ispirato dai farneticanti messaggi di Laura Loomer, una cospirazionista xenofoba dei QAnon che aveva messo in rete le accuse, Trump ha continuato l’offensiva, pubblicando altri tre post sulla sua piattaforma – nel giro di soli tre minuti – sempre prendendo di mira la moglie di Engoron, sostenendo di aver trovato una serie di messaggi contro di lui pubblicati dalla donna su Twitter. Un’affermazione seccamente smentita da Al Baker, portavoce statale dell’Ufficio dell’amministrazione giudiziaria di New York.
“La moglie del giudice Engoron non ha inviato post sui social media riguardanti l’ex presidente”, ha affermato Baker. Ma non solo. La moglie di Engoron, intervistata da Newsweek ha detto di non avere mai avuto un account con Twitter.
Trump si è anche scagliato contro i nemici “globalisti” dell’establishment conservatore tradizionale per il loro sostegno alla sua rivale repubblicana nelle primarie, l’ex ambasciatrice delle Nazioni Unite Nikki Haley. In prima linea c’erano Americans for Prosperity Action, la rete di donatori controllata da Charles Koch; il Wall Street Journal e il proprietario Rupert Murdoch; e l’amministratore delegato di JP Morgan Jamie Dimon, che ha spronato anche i democratici di aiutare la campagna di Haley per dare al GOP una scelta diversa da quella di Trump.
Nel frattempo, Newsweek ha pubblicato un editoriale dell’ex presidente in cui fa appello al voto dei giovani facendo leva sulle loro preoccupazioni finanziarie, affermando che molti hanno dovuto mettere in pausa la propria vita.
Per tutta risposta un folto gruppo di elettori della generazione Z ha respinto le affermazioni dell’ex presidente.