Vanessa Frazier è l’ambasciatrice di Malta alle Nazioni Unite dal 2020. Da sei mesi rappresenta il suo paese anche al Consiglio di Sicurezza, dove Malta è stata eletta come membro non permanente per il biennio 2023-24. Già a febbraio la diplomatica maltese è stata messa a dura prova della presidenza di turno dei Quindici, quando doveva mantenere il timone nonostante i duelli tra Russia e Stati Uniti, ad un anno dall’invasione dell’Ucraina.
Laureata al Luther College dell’Iowa, con un master all’università di Malta, la Frazier ha tra le tappe più importanti della sua carriera l’essere stata rappresentante di Malta in Italia (è stata anche a Londra, Washington e Bruxelles).
Per la nostra intervista a tutto campo al Palazzo di Vetro ha scelto l’italiano. L’ambasciatrice che gioca a calcio, è super tifosa della Juventus ed è cintura nera di judo. Con la sua grinta diplomatica e combattiva affronta tutte le questioni più spinose che si dibattono alle Nazioni Unite..
Ambasciatrice Frazier, il Consiglio di sicurezza: è ancora rilevante o necessita subito di una riforma? Quanto è fattibile? Malta cosa vorrebbe?
“Sì, sicuramente resta rilevante, perché continua a funzionare, anche se è rimasto bloccato su certi dossier. Ma anche sulla pace in Medio Oriente è bloccato da sempre. Però ci sono altre crisi dove invece il Consiglio di Sicurezza continua a funzionare perché c’è unità. In questi sei mesi che ne facciamo parte, il Consiglio ha prodotto diverse risoluzioni. C’è bisogno certo di una riforma. Non solo fisica, cioè del numero dei paesi che lo compongono, ma penso anche sull’uso del veto. La riforma deve essere più comprensiva. Abbiamo visto che da quando abbiamo introdotto quella sul ‘veto iniziative’, subito ci sono stati risultati positivi. Posso fare un esempio chiaro di quando avevamo la presidenza noi del Consiglio e gli Emirati Arabi avevano proposto una risoluzione sulla Palestina. Per evitare il veto abbiamo potuto negoziare, lavorato con tutte le capitali dei paesi coinvolti, con Washington, Abu Dhabi, Ramallah, abbiamo lavorato per giungere ad un presidential statement. Questo è stato il primo votato dal Consiglio sulla Palestina dal 2006”.
Non una risoluzione, ma comunque un successo?
“Un grande successo. Non per noi, ma soprattutto per i palestinesi, che hanno avuto una vittoria alla quale anche gli Stati Uniti avevano partecipato. Lo spettro del veto infatti è rimasto a lungo e ha avuto un ruolo in questi negoziati”.
Cioè avete evitato di andare in Assemblea Generale a spiegare perché veniva usato ?
“Sì, diventava costoso per certi paesi. Da quando abbiamo introdotto questa iniziativa, è più difficile porre il veto che annulla tutto”.

Sulla riforma del Consiglio c’è chi pensa che questa sia la volta buona, perché i paesi che vogliono il seggio permanente, come per esempio l’India, stanno trovando la sponda disponibile anche negli Stati Uniti… Che ne pensa?
“Penso che ci sia stata una evoluzione da parte dei paesi permanenti. Il fatto che il presidente Biden quando è venuto lo scorso settembre all’Assemblea Generale ha parlato direttamente della necessità della riforma, ha dato un grande impeto, perché fino a quel momento sembrava che tutti i membri dell’ONU la volessero tranne i cinque permanenti. Adesso sembra esserci un’apertura, anche se non hanno detto ancora come la vogliono. Malta è con l’Italia nella sua proposta”.
Cioè siete col gruppo “Uniting for consensus”.
“Sì, con una posizione ben definita. Invece la posizione dei membri permanenti non è definita, hanno soltanto detto che sono aperti e che hanno realizzato che c’è bisogno di una riforma. Questo è un grande passo. Ovviamente non hanno una proposta unitaria e penso che non sono ancora d’accordo tra di loro. Anche se nessuno lo ha detto ufficialmente, ciò che Usa,Cina,Francia,Inghilterra e Russia è che non vogliono altri stati con diritto di veto. Noi che siamo con “Uniting for consensus” siamo d’accordo su questa impostazione. Ma non perché non vogliamo che l’India o il Brasile abbiano il veto. Se fosse per Malta nessuno dovrebbe avere potere di veto”.
La vostra proposta cosa dice esattamente?
“E’ la più fattibile, perché contiene un po’ di quello che vogliono tutti con i cinque veti dei paesi permanenti che rimangono perchè nessuno di loro intende rinunciare..”

Però perchè il vostro gruppo non è in grado di accontentare anche India, Brasile, Giappone, Germania, che aspirano ad ottenere il nuovi seggi di membri permanenti?
“Non gradiscono la nostra alternativa. Noi abbiamo membri eletti di “diverso” peso., cioè paesi che possono essere rieletti per un termine più lungo del biennio. In questo modo diamo una risposta alle aspirazioni di chi chiede il seggio permanente. Noi paesi che siamo eletti al Consiglio di Sicurezza, sentiamo molto la responsabilità. Nel Consiglio adesso rappresento Malta, ma anche l’Unione europea. Ma sicuramente sento anche di rappresentare anche tutti i membri dell’Onu che hanno eletto Malta. E’ questa la cosa che ci distingue di più dai 5 membri permanenti. Sentiamo veramente il peso della responsabilità. Questo forse era così per tutti agli inizi dell’ONU, ma poi con gli anni l’evoluzione tra i membri permanenti e quelli eletti è cambiata. Noi sentiamo più l’ “accountability”, i permanenti fanno prevalere l’interesse nazionale. Se uno studia all’inizio perché le potenze ebbero il diritto di veto, non era per anteporre l’interesse nazionale, ma per sbloccare le decisioni quando il Consiglio era bloccato. Era una responsabilità che i cinque paesi vincitori della guerra prendevano anche per mantenere la pace. Così loro potevano garantire la pace. Quindi il veto non era un privilegio ma una responsabilità. Ma negli anni è diventato un privilegio”.

Quindi sul dare altri privilegi alla membership non cederete…
“Io per ‘Uniting for consensus’ faccio molte riunioni esterne per spiegare la proposta e ci credo veramente. Non sono d’accordo su tutto, ci sono delle cose che cambierei, però devo dire che la trovo la proposta di riforma più onesta rispetto a tutte le altre e per questo anche la più fattibile”.
Anche la più democratica?
“Certamente. La Germania vuole il seggio permanente ma noi abbiamo un’interpretazione della democrazia che è diversa. L’Africa vuole un seggio per l’Africa Union? Perché no, se uno studia la proposta degli africani, è molto simile alla nostra sui seggi elettivi. Loro vogliono un seggio permanente per l’Unione Africana, e vogliono avere un meccanismo interno per scegliere il paese che li rappresenta. Sceglieranno il Sud Africa? Bene, ma dopo possono cambiare quando vogliono. Se il Sud Africa sul seggio prende decisioni nazionali e non quelle dell’Unione Africana, possono sostituirlo, perché quel seggio non appartiene al Sud Africa ma all’UA. Quello che noi diciamo è che quel seggio invece di essere scelto solo dall’UA, dovrebbe essere votato da tutti i membri dell’ONU. Un paese può restare lì anche settant’anni ma deve essere riconfermato..”.
Cioè anche l’India, il paese più popoloso del mondo, dovrà guadagnare questo nuovo seggio ‘permanente’?
“Certo, ma anche la Germania potrebbe essere un paese che potrebbe essere rieletto più volte”.
Sui diritti umani Malta pensa che sia un argomento solo da far seguire a Ginevra o il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe essere maggiormente coinvolto nel farli rispettare ?
“Anche se a Ginevra resta il corpo delle Nazioni Unite responsabile dei diritti umani, al Consiglio di Sicurezza non si può parlare di conflitti, di inviare missioni di pace, senza inserire anche la discussione sui diritti umani. Chi dice che se ne dovrebbe occupare soltanto Ginevra, vuole forse affermare che a discutere di nucleare dovrebbe essere solo Vienna? Ridicolo. Il Consiglio di Sicurezza non farà la policy sui diritti umani, ma deve averli dentro le sue discussioni”.
Malta ritiene che l’UE dovrebbe e potrebbe avere un ruolo più rilevante all’ONU?
“Penso che stiamo facendo un buon lavoro. L’EU è un blocco che implementa per primo le risoluzioni dell’Onu. Possiamo essere un esempio per altri paesi”.

Ucraina vs Russia: come si ferma questa guerra? Solo Mosca è responsabile dell’invasione? La guerra si sarebbe potuta evitare se l’Europa, gli Stati Uniti e persino le Nazioni Unite avessero agito diversamente?
“E’ difficile speculare con i se. C’era il Minsk Agreement e per portarlo a compimento si sarebbe dovuto eseguire in ‘Good Faith’. L’Europa era in buona fede ma la Russia? No. Non si trattava quindi di una crisi solo per l’espansione della Nato. Anche se la Russia aveva delle preoccupazioni di sicurezza, non giustifica quello che ha fatto. Se quello che i russi hanno fatto è la risposta per l’espansione della Nato, come dicono, è sbagliata, potevano continuare a discuterne invece di invadere”.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha dichiarato che se l’Onu avesse accettato la sua proposta di utilizzare Berlusconi e Merkel come inviati speciali per convincere Putin, magari il Cremlino ci avrebbe ripensato. Tajani accusa l’Onu di essere rimasta disunita e quindi di non aver fatto abbastanza per evitare la guerra. Lei che ne pensa?
“Non sono d’accordo, però penso anche che l’Onu avrebbe potuto far meglio, il Consiglio di Sicurezza poteva far meglio. L’articolo 27 doveva essere applicato al momento del voto del Consiglio. Qui c’è una responsabilità collettiva del Consiglio di Sicurezza, che ha lasciato un membro votare quando era direttamente coinvolto nel conflitto. In ogni occasione diciamo che dobbiamo applicare la Carta, ma in questo caso non si è fatto”.

Cioè sarebbe bastato applicare la Carta Onu per non far partecipare la Russia al voto sulla risoluzione dopo l’invasione dell’Ucraina dove è scattato il veto di Mosca?
“Ovviamente c’erano interessi da parte di chi non voleva che tra qualche anno si potesse applicare lo stesso articolo contro di loro. Per questo ho detto che c’è stata la responsabilità collettiva anche da parte del Consiglio”.
C’è un tema che interessa molto un paese in prima linea come il suo: la crisi dei migranti. E’ difficile contenerla. Ma paesi come Italia, Grecia, Spagna e Malta non sempre hanno rispettato il diritto internazionale e i diritti umani: perché? Malta ha una proposta concreta da portare a Bruxelles?
“Certo si tratta di mettere in campo la solidarietà comune. Abbiamo detto sempre che l’accordo di Dublino ha peggiorato il problema. Noi non facevamo ancora parte piena dell’Unione Europea al momento dell’accordo, cioè partecipavamo ai lavori ma eravamo ancora in attesa di diventare full member dell’UE con il diritto di voto.Ricordo che quando ero ambasciatrice in Italia, dicevo già ai miei interlocutori che non avremmo mai dovuto avere Dublino e che l’Italia non avrebbe dovuto votarlo quell’accordo perché gli si sarebbe ritorto contro, come difatti è accaduto. Da allora la frase è diventata quella che già dicevo ai ministri italiani, ” il problema è superare Dublino’”.

Ci riuscirete?
“Sembra di sì. C’è un progetto di accordo pensato a Parigi al quale lavorai io stessa, che poi venne firmato a Malta nel settembre del 2019. Dovevamo far partire il progetto pilota sulla distribuzione automatica dei migranti salvati in mare dalle NGO. Era importante che i paesi che aderivano prendessero un impegno ‘prima’ che i migranti venissero salvati. Cioè il meccanismo funziona quando tutti concordano prfeventivamente sulle condizioni, così quando i migranti sono in arrivo il meccanismo era già predisposto e non si doveva più negoziare se io ne prendo 5 e tu 10. Quando ero ambasciatrice a Roma andavo quasi sempre in Germania e Francia per negoziare l’accordo. Le navi delle Ong infatti erano quasi sempre francesi o tedesche. Parigi e Berlino accettarono di prendere 25% ciascuno dei salvati in mare. Abbiamo fatto l’accordo, lo abbiamo firmato ma purtroppo poi è arrivato il covid e il progetto è stato fermato. Questo nuovo patto che si sta cercando di fare sarà molto simile e di fatto sospende Dublino. Io ho studiato molto la legge marittima, mi considero esperta. La legge per il salvataggio in mare, non è stata fatta per le migrazioni di massa, ma pensando ad uno yacht in difficoltà, o un aereo che è caduto in mare. Il salvataggio in mare è stato scritto per situazioni d’emergenza, non per affrontare le migrazioni di massa”.
Malta è il paese più piccolo dell’Unione Europea, sia per popolazione che per superficie. Da cittadina maltese, lei pensa che Malta sulla crisi dei migranti abbia fatto tutto quello che poteva o avrebbe potuto fare di più?
“Penso che Malta abbia fatto di più di quello che poteva fare. Lo so che le persone guardano soltanto ai numeri, ma quando arrivano 400 persone a Malta, che ha solo 500 mila abitanti, sono l’equivalente di ventimila per altri paesi. Come densità noi siamo tra i paesi più popolati al mondo! La differenza con Lampedusa è che noi non abbiamo il mainland di uno stato grande”.

Quando è avvenuta la tragedia sul piccolo sottomarino che è imploso con cinque persone a bordo mentre cercavano di raggiungere il relitto del Titanic; si sono mobilitate le guardie costiere di Stati Uniti, Canada e persino della Francia per salvarli. Quando invece c’è stata negli stessi giorni la tragedia di una imbarcazione al largo della Grecia con oltre 700 migranti-rifugiati, i soccorsi sono arrivati male e tardi e ci sono stati centinaia di morti…
“Tutti devono essere soccorsi in mare. Sono stata rappresentante di Malta sull’immigrazione per tanti anni, tutti devono essere soccorsi e portati al sicuro. Però dico che la solidarietà non deve essere dimostrata soltanto per coloro che sono in mare, ma anche verso i paesi che li soccorrono e affrontano questo fenomeno. Quando abbiamo questi problemi nel Mediterraneo non vediamo flotte che vengono in aiuto. Con l’Italia condividiamo lo stesso problema, lavoriamo uno accanto all’altro, ma gli altri? Dove sono?”
Certi migranti pagherebbero cifre fino a 8-9 mila dollari ai trafficanti. Possibile?
“Quello che noi vediamo è solo un terzo del fenomeno, molti di loro muoiono durante l’attraversamento del Sahara. Quando ero ambasciatrice per l’immigrazione di Malta, andavo a vedere alle origini il fenomeno, recandomi nei paesi di provenienza di questi migranti. Parlavo con ufficiali, polizia di frontiera, ngo, l’Onu, in paesi come Burkina Faso, Mali, Gambia, Ghana, Nigeria. Quando pensi a chi paga certe cifre, capisci che è il valore che stanno dando alla propria vita. Sai che parti ma non sai se arrivi. Dobbiamo lavorare con i paesi di origine e di transito per fermare il traffico, ma l’unico modo è costruire passaggi legali d’emigrazione. Con settemila dollari si potrebbe arrivare in Europa in prima classe!”

Se dovesse dare un voto ad organizzazioni ONU come l’UNHCR, o la IOM: promuove o boccia?
“Operano in una situazione molto difficile, loro si devono occupare di tutto il mondo. Io quando lavoravo sul problema mi dovevo occupare degli arrivi a Malta e in Italia, e avrei fatto molte cose diverse, ma comprendo che quando hai bisogno di fare una politica per l’emigrazione che deve prendere in considerazione tutto il pianeta, allora penso che meglio di così non potrebbero fare. Dal canto mio sono molto fiera delle iniziative intraprese quando lavoravo nel campo dell’emigrazione. Con degli emigranti dell’Uganda che avevamo a Malta, li abbiamo formati nel campo del fish farming. E poi abbiamo creato un centro simile in Uganda, una cooperativa. Così chi è tornato poteva lavorarci come co-proprietario, prendendo uno stipendio e anche dividendo i profitti. Bisogna creare lavoro dignitoso, autonomia, ma non solo. Per continuare ad avere finanziamenti per questo progetto, avevamo stabilito che si dovevano mandare i figli a scuola, anche le figlie femmine. Perché volevamo che anche i figli avessero un’ opportunità. con i ministri italiani abbiamo fatto qualcosa di simile in Etiopia…”

E gli italiani ascoltavano?
“Sì e con entusiasmo. Ma sa quale era il problema? Che ogni cento giorno in Italia cambiava il ministro. Allora era difficile prendere decisioni”.
Il governo di Giorgia Meloni, la prima donna a Palazzo Chigi, afferma che durerà 5 anni…
“Avrà questa possibilità. Ricordo che quando ero ambasciatrice in Italia e Matteo Salvini diventò ministro, c’era una certa apprensione. Poi dopo il nostro primo incontro, mi chiamavano ‘la fidanzata di Salvini’. Infatti, discutendo lui capì che stavamo lottando per la stessa cosa. Quando gli parlavo dei progetti sui migranti, lui era sinceramente interessato…”

UNSDG: crede che siano ancora raggiungibili? A parte il cambiamento climatico, qual è il più impegnativo ma assolutamente indispensabile obiettivo da raggiungere?
“Sono tutti indispensabili perché sono tutti legati. Non sto cercando di dare una risposta facile, io ci credo veramente agli obiettivi di sviluppo sostenibile. Forse il più importante è quello sulla povertà, anche quello sull’istruzione. Però dopo quello che abbiamo passato con il covid, i paesi più piccoli, come le isole, sono rimasti i più isolati. Tutti i paesi del mondo devono confrontarsi con lo stesso problema ma i modi sono diversi. Dobbiamo aiutare i paesi più vulnerabili prima per poter raggiungere tutti insieme gli obiettivi”.
Cina, India, o ancora Stati Uniti? Tra 20 anni, chi sarà la principale superpotenza mondiale?
“Penso che cambierà tutto, che a dominare saranno i blocchi. Come l’UE per esempio. Già abbiamo visto una grande svolta con la crisi dell’Ucraina, quando l’UE ha preso decisioni comuni dando le armi. Non si può più tornare indietro, si può solo andare avanti”.
E’ apparso qualche giorno fa un articolo sul New York Times che descrive Malta come il paese più avanzato in Europa sui diritti della comunità LGBTQI. Difendete i diritti di questo gruppo alle Nazioni Unite?
“Qui siamo una voce molto forte sui LGBTQI, al Consiglio di Sicurezza mi avrete sentito parlare molto, siamo veramente i champions su questo tema. Noi abbiamo usato un metodo. Prima di introdurre nuove leggi, abbiamo cercato già nelle leggi che avevamo di lavorare per la protezione della comunità. Così se ci accorgevamo di qualcosa di discriminante sulle leggi che avevamo, la toglievamo. Per esempio per le adozioni, abbiamo ripulito la legge che già avevamo. Nella nostra legge ora devi solo provare che puoi essere un genitore, non si specifica alcun genere al quale si appartiene…”

UN Photo/Loey Felipe)
Forse anche l’Italia ha molto da imparare da Malta?
“Quando ero a Roma si parlava molto con i ministri delle nostre leggi, come quando introducemmo le unioni civili. Da noi chiunque può farle, non ci sono discriminazioni di genere. Anche lì invece di introdurre le leggi, abbiamo tolto le discriminazioni in quelle che c’erano”.
Malta può essere anche uno specchio per l’Onu in materia?
“Lo facciamo già. Ripeto, siamo molto attivi in tutte le problematiche LGBTQI”.
Al Consiglio di Sicurezza a giugno, sotto la presidenza degli Emirati, c’è stata una risoluzione sul rispetto dei diritti umani, ma sul linguaggio usato nei confronti dei LGBTQI sembra che ci siano stati dei forti compromessi per poter passare la risoluzione…
“Abbiamo lavorato molto su questo, ma siamo alla fine soddisfatti delle revisioni fatte. Per noi era fondamentale che le violenze degli estremisti fossero eliminate”.

Prossimo Segretario delle Nazioni Unite: anche per Malta dovrebbe essere una donna? Vedete già la candidata perfetta?
“Penso che il genere non dovrebbe essere una condizione, però dobbiamo far si che il processo di scelta diventi sempre più trasparente e così non ci sarà più neanche il problema di genere. Comunque penso che se si volesse una candidata donna, sarebbe difficilissimo scegliere, ci sono così tante possibili scelte…”
Vuole dirci quale sarebbero le sue preferite?
“La mia opinione non conta, ma ci sono tante donne leader, all’ultima Assemblea generale quelle che sono intervenute erano tutte brave. E poi ci sono tante leader anche dentro l’ONU”.
Vediamo, tra Bachelet e Merkel lei chi sceglierebbe?
“Io vorrei Mia Mottley. Lo dico personalmente, non come rappresentante di Malta, sto parlando come Vanessa Frazier. A me piacerebbe veramente vedere qualcuno come lei alla guida dell’Onu. Anche perché venire da un’isola per me è un vantaggio, mi piacciono molto le isolane”.