Al Consiglio di Sicurezza dell’ONU nella riunione di lunedì dedicata al conflitto israelo-palestinese, questa volta tra le parole di discorsi sempre più accesi, è spuntato un fatto: un voto unanime di condanna per fermare Israele dai suoi piani di ulteriori costruzioni di insediamenti nei territori occupati. Non si è votata alla fine una risoluzione (quella avrebbe incontrato il veto degli USA) ma un Presidential Statement, che anche se non è “binding” (non ha vincolo legale come le risoluzioni) comunque resta agli atti formali del Consiglio.
Gli Emirati Arabi Uniti, rappresentati al Consiglio dall’ambasciatrice Lana Zaki Nusseibeh avevano nei giorni scorsi fatto circolare una risoluzione, ma poi dopo frenetiche ore di “trattativa” con lo State Department degli USA. l’hanno trasformata in una dichiarazione presidenziale in modo che l’amministrazione Biden potesse votarla. Anche se gli EAU hanno normalizzato i legami con Israele con gli Accordi di Abramo, in questo caso hanno con la loro membership nel Consiglio di Sicurezza presentato il documento anche a nome dell’Autorità palestinese.
Il Consiglio ha quindi ha adottato la sua prima dichiarazione presidenziale del 2023, in cui condanna tutti gli atti di violenza contro i civili e sottolineando la necessità che le parti israeliane e palestinesi rispettino i propri obblighi e impegni internazionali. Nella dichiarazione presidenziale, si legge che il Consiglio si oppone fermamente a tutte le misure unilaterali che impediscono la pace, tra cui, la costruzione e l’espansione degli insediamenti da parte di Israele, la confisca della terra dei palestinesi e la “legalizzazione” degli avamposti degli insediamenti.
Tra i voti favorevoli dei Quindici, quindi anche quello pesantissimo dell’ambasciatrice degli Stati Uniti Linda Thomas-Greenfield, che nel suo discorso ha detto che “queste misure unilaterali esacerbano le tensioni. Danneggiano la fiducia tra le parti. Minano le prospettive di una soluzione negoziata a due Stati. Gli Stati Uniti non supportano queste azioni. Punto”.

Thomas-Greenfield ha ricordato che per gli Stati Uniti l’attività di insediamento israeliana “è inutile e ci allontana ulteriormente da una soluzione negoziata a due Stati. Queste azioni sono semplicemente dannose per la sicurezza a lungo termine di Israele e per la nostra visione di una fine sostenibile del conflitto… Ecco perché sosteniamo con forza la dichiarazione presidenziale, presentata dagli Emirati Arabi Uniti, che dimostra la voce unanime e collettiva del Consiglio di sicurezza su questi temi. Il PRST è una vera diplomazia all’opera e crediamo che indichi a tutte le parti quanto seriamente questo Consiglio prenda queste minacce alla pace”.
L’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite Gilad Erdan, nel suo intervento ha letto i nomi delle vittime negli attacchi palestinesi a Gerusalemme di quest’anno e si è fermato per un momento di silenzio nella loro memoria mentre poi ha accusato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di condannare l’attività degli insediamenti israeliani senza parlare anche contro coloro responsabili degli attacchi terrostici contro i civili. Erdan ha anche chiamato “terrorista” l’Autorità palestinese accusando il suo presidente Abbas di non aver detto una parola di condanna contro gli attacchi contro i civili.

Quando abbiamo chiesto, alla fine della riunione, all’ambasciatore israeliano Gilad Erdan, su cosa pensasse del fatto che Israele fosse rimasta totalmente isolata all’interno del Consiglio di Sicurezza, dato che anche gli USA hanno votato a favore della dichiarazione di condanna, il diplomatico israeliano ha risposto: “Gli USA restano il nostro più importante alleato. Anche nelle migliori famiglie ogni tanto non si va d’accordo e sulla questione con i palestinesi, non sempre siamo d’accordo con gli Stati Uniti”.
Ma ora cosa succederà? Se il documento votato dal Consiglio di Sicurezza non è “legalmente vincolante”, come potrebbe fermare il governo israeliano dal continuare a costruire nel West Bank? Fonti diplomatiche avevano fatto trapelare alla stampa, poco prima della riunione del Consiglio, che gli Stati Uniti erano riusciti ad evitare una risoluzione e quindi la possibilità dell’imbarazzo di dover porre il veto al Consiglio di Sicurezza, riuscendo a strappare un accordo con Israele per prendere tempo. Infatti tra pochi giorni gli USA spingeranno i paesi dell’ONU, inclusi gli Emirati, a votare sì e non astenersi nella nuova risoluzione di condanna contro la Russia che si voterà in Assemblea Generale giovedì ad un anno dall’invasione dell’Ucraina. L’accordo con il governo israeliano prevederebbe il “congelamento” per sei mesi di ogni piano di ripresa nella costruzione di insediamenti nei territori occupati. Allo stesso tempo i palestinesi si asterrebbero da chiedere nuove risoluzioni di condanna al Consiglio di Sicurezza o all’Assemblea Generale.
Quando abbiamo chiesto all’ambasciatore Erdan cosa ci fosse di vero su questo “accordo” con gli USA che “congelerebbe” per sei mesi nuove costruzioni nei territori occupati, l’ambasciatore Erdan ha risposto senza smentire: “Non commento quello che si discute al Dipartimento di Stato con il nostro governo a Gerusalemme”.
La riunione al Consiglio di Sicurezza della mattinata, era iniziata con l’intervento Tor Wennesland, coordinatore speciale dell’Onu per il processo di pace in Medio Oriente (UNSCO): “Stiamo assistendo a un’ondata di violenza, inclusi alcuni degli incidenti più mortali in quasi 20 anni”, ha affermato Wennesland, aggiungendo: “Abbiamo visto segni minacciosi di ciò che ci attende se non riusciamo ad affrontare l’attuale instabilità”.
Ad oggi, il 2023 ha registrato un numero record di morti tra palestinesi e israeliani. Dal suo precedente briefing del Consiglio a gennaio, Wennesland ha affermato che 40 palestinesi e 10 israeliani sono stati uccisi. “Sono particolarmente sconvolto dal fatto che i bambini continuino a essere vittime di violenza e coinvolti in incidenti violenti”, ha affermato. Poi, ricordando che il Ramadan e la Pasqua ebraica coincidono ad aprile, Wennesland ha affermato che sono necessari sforzi per garantire la pace durante questi periodi di festività religiose musulmane ed ebraiche.
“Prevenire ulteriori violenze è una priorità urgente, che richiede non solo misure di sicurezza coordinate, ma anche notevoli sforzi politici”, ha affermato, esortando entrambe le parti a evitare di adottare misure unilaterali che potrebbero infiammare ulteriormente la situazione.

Works Agency for Palestine Refugees in the Near East (UNRWA), briefs the Security Council meeting on the situation in the Middle East, including the Palestinian question. (UN Photo/Eskinder Debebe)
Durante il briefing al Consiglio, è intervenuta anche Leni Stenseth, vice commissario generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi (UNRWA), affermando che un numero crescente di palestinesi si trova “sull’orlo della disperazione”.
Le già condizioni di deterioramento sono state esacerbate da crisi globali come la pandemia COVID-19 e l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, che hanno spinto molti nella povertà. “Possiamo quasi prevedere che le prossime settimane porteranno più violenza in Cisgiordania”, ha detto Stenseth, facendo eco agli appelli per ridurre le tensioni. “Questo ciclo di violenza deve finire prima che sia troppo tardi”. A Gaza anni di conflitto hanno isolato la popolazione dal resto del mondo, ha affermato. Quasi tutti i residenti di Gaza si affidano all’UNRWA per l’assistenza alimentare e circa la metà dei bambini nelle scuole mostra segni di traumi. “I rifugiati palestinesi si sentono abbandonati dalla comunità internazionale”, ha affermato, osservando che l’UNRWA e i suoi programmi rimangono uno dei pochi pilastri della stabilità. “Lo status quo non è più sostenibile”, ha detto. “Non può esserci pace o sicurezza nella regione senza il rispetto dei diritti di tutti”, ha affermato, invitando il Consiglio a dare speranza ai rifugiati palestinesi raddoppiando gli sforzi per trovare una soluzione e garantire che l’UNRWA possa continuare a portare a termine il suo mandato.