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Nel duello israelo-palestinese all’ONU, gli USA rimangono sempre ambigui

Alla riunione del Consiglio di Sicurezza, l'ambasciatore d'Israele Erdan contesta i dati forniti dal coordinatore speciale delle Nazioni Unite Wennesland

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Nel duello israelo-palestinese all’ONU, gli USA rimangono sempre ambigui

Tor Wennesland, Special Coordinator for the Middle East Peace Process (on screen), addresses the Security Council meeting on the situation in the Middle East, including the Palestinian question. (UN Photo/Loey Felipe)

Time: 6 mins read

Solo pochi giorni fa il Consiglio di Sicurezza aveva tenuto una riunione “d’emergenza” sul conflitto israelo-palestinese, causata dalla visita del ministro israeliano di estrema destra Itamar Ben-Gviral al Monte del Tempio (la spianata delle Moschee). Allora l’ambasciatore israeliano Gilad Erdan, nel criticare la convocazione della riunione, aveva parafrasato Jerry Seinfeld dicendo “uno show sul nulla”.

Mercoledì, invece, è andata di scena la riunione sulla questione palestinese già programmata dalla presidenza del Consiglio giapponese, e ovviamente, sia nei temi che nei toni, è sembrata la continuazione della riunione del 5 gennaio.

Questa volta c’è stato anche l’intervento di Tor Wennesland, il coordinatore speciale dell’ONU per il processo di pace in Medio Oriente, che ha sostenuto che la priorità collettiva mondiale per i Territori Palestinesi Occupati deve essere quella di invertire la traiettoria negativa che ha segnato il 2022. Infatti l’anno scorso è stato uno degli anni più mortali della memoria recente, ha detto Wennesland.

“Le tendenze violente che hanno dominato gli ultimi mesi del 2022 continuano a richiedere un devastante tributo umano”, ha continuato l’inviato dell’ONU. Citando le crescenti tensioni politiche e il processo di pace da tempo in stallo, ha affermato che prevenire ulteriori perdite di vite umane deve andare di pari passo con l’obiettivo finale della comunità internazionale: porre fine all’occupazione israeliana, risolvere il conflitto e realizzare una soluzione duratura a due Stati.

Wennesland, già il 19 dicembre, aveva riferito che più di 150 palestinesi e oltre 20 israeliani erano stati uccisi in Cisgiordania e in Israele, nello scorso  anno. Nel suo primo briefing del 2023, ha affermato che durante l’ultimo periodo di riferimento, dall’8 dicembre al 13 gennaio, altri 14 palestinesi sono stati uccisi, tra cui un ragazzo di 16 anni che ha perso la vita durante un’operazione di arresto nel campo profughi di Balata a Nablus.

The separation wall in occupied Palestinian territory. (UN News/Shirin Yaseen )

Altri 117 palestinesi sono stati feriti dalle forze di sicurezza israeliane. Intanto, secondo fonti israeliane, cinque civili israeliani e quattro membri delle forze di sicurezza sono stati feriti dai palestinesi in attacchi, scontri, lancio di pietre e bombe molotov e altri incidenti.

“Israele e palestinesi rimangono in rotta di collisione tra l’escalation della retorica politica e infiammatoria, nonché l’acuirsi della violenza in Cisgiordania, entrambi con conseguenze potenzialmente gravi”, ha avvertito Wennesland. Sono soprattutto le attività di insediamento israeliano in corso nei Territori palestinesi occupati che stanno accendendo le maggiori tensioni. Il 2 gennaio, il governo israeliano ha informato l’Alta Corte di giustizia che intende legalizzare, secondo la legge israeliana, l’avamposto di Homesh, che è costruito su un terreno privato palestinese.

Sottolineando che tutti questi insediamenti sono illegali ai sensi del diritto internazionale e rimangono un ostacolo sostanziale alla pace, il Coordinatore speciale dell’Onu ha detto al Consiglio che anche le demolizioni e i sequestri israeliani di proprietà palestinese sono continuati durante il periodo in esame.

Diversi altri recenti sviluppi hanno causato crescenti tensioni tra le parti. Il 3 gennaio, il nuovo ministro israeliano per la sicurezza nazionale Ben-Gvir, aveva visitato il complesso collinare nella città vecchia di Gerusalemme, che è sacra sia per gli ebrei che per i musulmani, accompagnato da una scorta di sicurezza. Ampiamente visto come un atto provocatorio, l’occasione ha segnato la prima volta dal 2017 che un ministro israeliano ha visitato il sito.

Inoltre, il 30 dicembre 2022, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione contenente una richiesta alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia per un parere consultivo relativo all’occupazione israeliana del territorio palestinese. Ben accolto da molti paesi e agenzie delle Nazioni Unite, il testo è stato però anche fortemente criticato dai diplomatici israeliani.

In questi molteplici contesti, Wennesland ha chiesto una leadership coraggiosa e una forte unità del Consiglio, insieme a sforzi urgenti per impedire agli estremisti di “versare più benzina sul fuoco”.

Gilad Erdan, Permanent Representative of Israel to the United Nations, addresses the Security Council meeting on the situation in the Middle East, including the Palestinian question. (UN Photo/Evan Schneider)

L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Gilad Erdan, nel suo intervento ha  definito la spinta guidata dai palestinesi per un’indagine del tribunale mondiale su Israele una “guerra jihad di terrore multilaterale”. Dopo che l’Assemblea generale ha approvato la risoluzione che chiede un’indagine da parte della Corte internazionale di giustizia, Israele ha adottato una serie di misure di ritorsione contro i palestinesi.

A sua volta la missione palestinese all’ONU aveva emesso una lettera firmata da oltre 90 paesi in cui condannava le misure punitive di Israele. “Il terrore si presenta in molte forme. Fondamentalmente, il terrorismo è un mezzo con cui spaventare le persone a capitolare alle richieste”, ha affermato l’ambasciatore Erdan. “Una delle armi che usano in questa guerra-jihad è la manipolazione e l’abuso degli organismi internazionali. Utilizzano come armi questi corpi per costringere Israele ad arrendersi al 100% delle loro richieste”.

Il diplomatico israeliano ha sostenuto che i palestinesi sfruttano una maggioranza anti-israeliana automatica alle Nazioni Unite per spingere misure unilaterali evitando i negoziati. L’indagine del tribunale mondiale “è stata un chiaro passo unilaterale avviato dai palestinesi con l’unico scopo di distruggere Israele come stato ebraico”, ha affermato Erdan. “La colpa di Israele è stata predeterminata”.

L’ambasciatore israeliano facendo riferimento alla decisione dei palestinesi di chiedere un parere consultivo alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia, ha detto: “Non dimentichiamo che qui nel settembre 2021, mentre parlava all’Assemblea generale, il presidente Abbas ha sfacciatamente minacciato Israele sulla scena globale… ha lanciato un ultimatum: o Israele cede al cento per cento delle richieste dei palestinesi – dimenticando i negoziati o le reciproche concessioni – o si rivolgerà alle Nazioni Unite per abusare del potere del ICJ. Se minacciare Israele con un ultimatum non è un passo unilaterale, non so cosa lo sia”.

Erdan ha protestato le informazioni fornite sulle vittime: “Più e più volte, abbiamo sentito come l’anno passato sia stato l’anno più mortale per i palestinesi… Eppure questi numeri e queste statistiche non sono fatti. Nemmeno vicini. Si basano su una metodologia fondamentalmente imperfetta e parziale. A metodologia di discriminazione, che Israele si rifiuta di accettare”. L’ambasciatore Erdan ha attaccato anche i dati forniti dall’ONU: “Secondo il rapporto delle Nazioni Unite presentato a voi, qui, solo venti israeliani sono stati assassinati dai terroristi nel 2022, quando in realtà trentuno israeliani sono stati assassinati. Lo stesso vale per gli israeliani feriti. Il numero ONU 253 per gli israeliani feriti, considerando che il numero vero è 418. La discrepanza tra i resoconti e i fatti è nell’ordine delle centinaia. Le morti e i feriti israeliani presumibilmente non contano….Questo potrebbe essere stato l’anno più mortale per i terroristi palestinesi, ma è stato anche l’anno con il maggior terrore attacchi commessi contro gli israeliani in un decennio”.

Nel suo appello all’ICJ, l’ambasciatore Erdan ha citato i passi compiuti dal gabinetto di sicurezza israeliano in seguito alla mossa unilaterale palestinese di abusare nuovamente dei meccanismi delle Nazioni Unite: “Quando Israele si trova di fronte a una minaccia di terrore, come farebbe qualsiasi paese, Israele agisce per difendersi. Quindi, quando ci siamo trovati di fronte all’ultimo atto unilaterale di terrore multilaterale palestinese, ci siamo rifiutati di restare a guardare. Ogni misura presa da Israele in risposta a questa risoluzione distruttiva, non solo era giustificata e legale, ma avrebbe dovuto essere preso molto tempo fa… Tuttavia, l’unico motivo per cui Israele si è trattenuto dall’attuare queste misure, era perché non volevamo danneggiare le possibilità di dialogo.Tuttavia, con l’adozione di questa risoluzione, i palestinesi hanno pugnalato un coltello nel cuore di ogni possibilità di dialogo o riconciliazione. Hanno dimostrato di non essere interessati al dialogo”.

Riyad H. Mansour, Permanent Observer of the State of Palestine, addresses the Security Council meeting on the situation in the Middle East, including the Palestinian question. (UN Photo/Loey Felipe)

Dal canto suo, l’inviato palestinese all’ONU, l’ambasciatore Riyad Mansour, ha replicato che le misure di ritorsione israeliane “colpiscono il cuore del multilateralismo e il cuore dell’ordine internazionale basato sul diritto”. “Israele crede ancora che ci sia una via per la pace schiacciando i palestinesi. Se ce ne fosse stata una da trovare, l’avrebbero già trovata”, ha detto Mansour che ha aggiunto: “La pace non verrà dalla negazione della nostra esistenza, verrà dal riconoscimento della nostra situazione”.

Gli interventi precedenti dei Quindici paesi del Consiglio hanno sostenuto la sola strada possibile per la pace: quella che porta alla soluzione di due stati.

L’ambasciatrice degli USA Linda Thomas-Greenfield, ha chiesto a entrambe le parti di ridurre l’escalation tra i regolari scontri in Cisgiordania e di preservare lo status quo al Monte del Tempio. L’intervento americano è stato, ancora una volta, quello di dare un colpo al cerchio e uno alla botte: “Gli Stati Uniti non vedono l’ora di lavorare con il nuovo governo israeliano per promuovere gli interessi e i valori che sono stati al centro delle nostre relazioni per decenni. E non vediamo l’ora di continuare a migliorare i legami con il popolo e la leadership palestinese” ha detto all’invio del suo discorso Thomas Greenfield, per poi ribadire l’impegno degli USA sulla soluzione a due stati: “Gli Stati Uniti restano fermamente impegnati a favore di una soluzione a due Stati. Due Stati – che vivono fianco a fianco in pace e sicurezza – è il modo migliore per garantire uguali misure di libertà, prosperità e democrazia per israeliani e palestinesi”.

Linda Thomas-Greenfield, Permanent Representative of the United States to the United Nations, addresses the Security Council (UN Photo)

L’ambasciatrice Thomas-Greenfield ha detto che gli USA  “sono molto preoccupati per la situazione in Cisgiordania e per la potenziale ulteriore instabilità. E condanniamo i recenti atti terroristici in Cisgiordania e rimaniamo profondamente turbati dal numero di vittime, che sembra solo aumentare. Devono essere prese misure urgenti e concrete per prevenire ulteriori perdite di vite umane; per favorire una maggiore crescita economica”. E quindi l’avvertimento ad entrambi i contendenti: “Vorrei essere chiara: continuiamo a opporci ad azioni unilaterali che mettono in pericolo la stabilità e la fattibilità di una soluzione a due Stati. Ciò include azioni per lo status quo storico al Monte del Tempio di Haram al-Sharif; ciò include la costruzione di insediamenti e la legalizzazione degli avamposti; e questo include l’annessione, gli atti di terrorismo e l’incitamento”.

Gli Stati Uniti infine hanno esortato il Consiglio di Sicurezza “a lavorare con noi per rafforzare la stabilità finanziaria di lunga data dell’UNRWA. Ciò significa aumentare i contributi finanziari a un’organizzazione che è un’ancora di salvezza fondamentale per i palestinesi; che aiuta i palestinesi a far fronte al continuo aumento dei prezzi del cibo; e che garantisca ai profughi palestinesi di ricevere un’istruzione e un’adeguata assistenza sanitaria”.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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