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Tor Wennesland avverte: il conflitto israelo-palestinese al punto di ebollizione

Al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la relazione dell'inviato ONU per un processo di pace che ormai resta in attesa del "miracolo"

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 7 mins read

Il conflitto israelo-palestinese resta la madre di tutti i problemi ancora irrisolti dell’ONU:  se ne discute da quando ancora doveva essere inaugurato il Palazzo di Vetro e le riunioni del Consiglio di Sicurezza si tenevano nel Bronx e quelle dell’Assemblea Generale nel Long Island. Eppure proprio agli inizi delle Nazioni Unite, con la cosiddetta “Partition Resolution”  approvata dall’Assemblea Generale nel novembre del 1947, era stata trovata la soluzione che avrebbe potuto risparmiare anni di guerre e milioni di profughi. Purtroppo, quella risoluzione “miracolo” (la 181) che avrebbe creato due stati, quello Israeliano e quello Palestinese, con Gerusalemme città internazionale  – risoluzione allora accettata dagli israeliani –  venne invece rifiutata dalla leadership palestinese spalleggiata dai paesi arabi, che così condannarono tre generazioni di palestinesi alle terribili conseguenze di quel rifiuto.

In 75 anni di Onu, non esiste altra crisi durata così a lungo e che ha avuto più riunioni dedicate dal Consiglio di Sicurezza: in media una volta al mese, la questione israelo-palestinese dalle origini ai giorni nostri, è stata dibattuta senza mai riuscire ad annunciare una soluzione finale per la pace.

Quando lunedì l’inviato speciale dell’ONU per il processo di pace in Medio Oriente, il norvegese Tor Wennesland, ha detto al Consiglio di Sicurezza che il conflitto tra israeliani e palestinesi  “sta di nuovo raggiungendo un punto di ebollizione”, avvertendo dell’escalation della violenza in mezzo a un processo di pace in stallo, nell’osservare la riunione sembrava di rivedere un vecchio film dal finale scontato e triste, che non si vorrebbe accettare più ma nessuno ha mai trovato le capacità e il coraggio per cambiarlo.

Così l’intervento di Wennesland, è apparso come quel film: prevedibile, con l’inviato che continuava a chiedere un maggiore impegno internazionale verso la soluzione dei due Stati, ripetendo quali sarebbero dovuti essere i modi alternativi per andare avanti. L’inviato del Segretario Generale Antonio Guterres ha così rifatto l’elenco degli atti di violenza nella Cisgiordania occupata e in Israele degli ultimi mesi che hanno provocato gravissime sofferenze. Quindi attacchi contro civili di entrambe le parti, con un aumento dell’uso di armi e violenze legate ai coloni.

“Dopo decenni di violenza persistente, espansione degli insediamenti illegali, negoziati dormienti e occupazione sempre più profonda, il conflitto sta nuovamente raggiungendo il punto di ebollizione”, ha affermato, come del resto avevano già fatto per decenni, altri inviati prima di lui.

Cercando di tenere la conta degli atti di violenza nell’impossible equilibrio della “neutralità”, Wennesland ha riferito che la scorsa settimana, due israeliani sono stati uccisi, e più di una dozzina feriti, condannando gli attentati avvenuti a Gerusalemme. Giorni prima, i coloni israeliani avevano attaccato violentemente i palestinesi a Hebron, cosa che puntualmente Wennesland ha anche denunciato.

“Questa ondata di violenza nei Territori palestinesi occupati si sta verificando nel contesto di un processo di pace in fase di stallo e di un’occupazione radicata, e tra le crescenti sfide economiche e istituzionali affrontate dall’Autorità palestinese”, ha affermato Wennesland, che ha aggiunto: “Le tendenze globali e il calo del sostegno dei donatori hanno aggravato queste sfide, insieme all’assenza di rinnovamento democratico per il popolo palestinese”.

Ed ecco, come è accaduto centinaia di volte in passato, che la “fragile calma” a Gaza sarebbe stata recentemente interrotta quando dei militanti palestinesi hanno lanciato quattro razzi contro Israele, provocando attacchi aerei da parte delle forze di difesa dello stato israeliano. “Ancora una volta, ci viene ricordato che il mix di attività militante, chiusure debilitanti, assenza del legittimo governo palestinese e disperazione crea il rischio sempre presente di escalation”, ha affermato Wennesland che col suo team continua a intrattenere discussioni con funzionari palestinesi e israeliani e con attori internazionali e regionali.

Tutto inutile il suo lavoro? Non proprio così.  Le Nazioni Unite hanno lavorato con i partner per mediare e sostenere il cessate il fuoco a Gaza a maggio e all’inizio dell’anno. Sono state implementate misure per sostenere l’economia locale, compresi miglioramenti alla circolazione e all’accesso dentro e fuori Gaza, sia per le persone che per le merci. Sono stati realizzati progetti critici, ha continuato a riferire l’inviato dell’Onu, come la fornitura di carburante alla centrale elettrica di Gaza e l’assistenza a più di 100.000 famiglie bisognose, che continueranno nel prossimo anno.

In un altra nota positiva, Wennesland ha osservato che Israele ha approvato il più alto numero di permessi per i palestinesi di Gaza per lavorare nel suo territorio dal 2007. Tuttavia, le restrizioni e i ritardi continuano, con un impatto negativo sugli sforzi umanitari e di sviluppo. “Queste misure preventive e di riduzione dell’escalation e gli impegni diplomatici hanno contribuito a mantenere la calma sul campo e a fornire uno spazio per il progresso, ma senza un movimento tangibile sul binario politico, è probabile che i loro benefici siano di breve durata”.

Nel frattempo, l’Autorità palestinese deve affrontare sfide significative e istituzionali, ha aggiunto Wennesland. Le elezioni tra i palestinesi non si tengono dal 2006 e più della metà dell’elettorato – persone di età compresa tra i 18 ei 35 anni – non ha mai avuto la possibilità di votare. “Ciò sta avvenendo sullo sfondo delle mutevoli dinamiche nella regione, dello spostamento delle priorità internazionali e, più recentemente, delle ricadute del conflitto in Ucraina, che hanno notevolmente ridotto l’attenzione prestata a questo conflitto”, ha affermato Wennesland.

Tor Wennesland, Special Coordinator for the Middle East Peace Process, briefs the Security Council meeting on the situation in the Middle East, including the Palestinian question. (UN Photo/)

L’inviato ha ricordato come la necessità di compiere passi urgenti verso la soluzione dei due Stati “raccoglie ancora un notevole sostegno tra palestinesi e israeliani”. Ha quindi delineato tre azioni correlate volte a far avanzare le parti su questioni politiche fondamentali.

“In primo luogo, dobbiamo continuare a impegnarci con le parti per ridurre le tensioni e contrastare le tendenze negative, in particolare quelle che incidono sulle questioni relative allo status finale. Ciò comporterà frenare la violenza e l’incitamento e ritenere responsabili gli autori. Ciò significa che entrambe le parti fermino i passi unilaterali che minano la pace, compresa l’espansione o la legalizzazione degli insediamenti, le demolizioni e gli sfollamenti”, ha affermato.

(IRIN/Shabtai Gold)

Col suo secondo punto, l’inviato ONU ha  chiesto di migliorare l’accesso, la circolazione e il commercio per creare spazio per la crescita dell’economia palestinese. Tra le altre misure, diventa necessario anche un approccio più completo per allentare le restrizioni sui movimenti di persone e merci a Gaza.

Per il suo ultimo punto, Wennesland ha sottolineato la necessità di rafforzare le istituzioni palestinesi, migliorare la governance e sostenere la solidità fiscale dell’Autorità palestinese (AP). “La legittimità politica e la responsabilità dell’AP devono anche essere rafforzate attraverso riforme democratiche e l’apertura dello spazio civico, lo svolgimento di elezioni nei Territori palestinesi occupati e garantire l’efficacia e la credibilità delle forze di sicurezza palestinesi”, ha affermato, per aggiungere: “Senza l’implementazione dei punti uno e due di cui sopra, questo non sarà possibile”.

Wennesland ha riconosciuto che portare avanti questi passi “sarà un compito formidabile” nelle attuali circostanze, per questo ha chiesto un maggiore impegno da parte della comunità internazionale, nonché un’attenzione coordinata e sostenuta da risorse e impegno con le parti. “In definitiva, solo palestinesi e israeliani possono determinare insieme il loro futuro”, ha detto. “Ma le Nazioni Unite e la comunità internazionale, anche attraverso quadri regionali e internazionali, devono sostenere le parti nel muoversi verso un orizzonte politico in linea con i principi fondamentali delineati sopra”.

A wide view of the Security Council meeting on the situation in the Middle East, including the Palestinian question. (UN Photo/Eskinder Debebe)

Quando ha parlato l’ambasciatrice USA Linda Thomas-Greenfield, ha elencato delle statistiche sulle vittime del terrore  che non lasciano dubbi su cosa potrebbe ancora accadere: “Questo è stato l’anno più mortale in Cisgiordania dal 2004. Quasi 150 palestinesi e 28 israeliani sono stati uccisi. In mezzo a queste accresciute tensioni, è tanto più critico che israeliani e palestinesi si astengano da azioni unilaterali, tra cui attività di insediamento, sgomberi e demolizione di case palestinesi, incitamento alla violenza, come pagamenti alle famiglie di terroristi, e interruzione della storica status quo nei luoghi sacri”.

Poi la rappresentante degli Stati Uniti ha ribadito l’unica soluzione possibile: “Queste azioni ci allontanano ancora di più da una soluzione negoziata a due stati, che rimane il modo migliore per garantire la sicurezza e la prosperità future di Israele e soddisfare il desiderio dei palestinesi di uno stato proprio. Israeliani e palestinesi meritano ugualmente di vivere in modo sicuro e protetto e di godere di uguali misure di libertà, giustizia, dignità e prosperità. Come abbiamo detto molte volte, non c’è scorciatoia per la visione di due stati. Ciò può essere ottenuto solo attraverso negoziati diretti tra palestinesi e israeliani. Spetta a entrambe le parti lavorare in buona fede verso questo obiettivo”. Ma secondo Thomas Greenfield, la buonafede mancherebbe proprio dentro l’ONU nei confronti del conflitto: “Sfortunatamente, la maggior parte delle azioni delle Nazioni Unite relative a israeliani e palestinesi non sono progettate per far avanzare i negoziati diretti, per non parlare del raggiungimento della pace. Hanno solo lo scopo di denigrare Israele. In effetti, il sistema delle Nazioni Unite è pieno di azioni e organismi anti-israeliani, comprese risoluzioni parziali e sproporzionate contro Israele in tutto il sistema delle Nazioni Unite. L’attenzione sbilanciata su Israele presso le Nazioni Unite, inclusa la Commissione d’inchiesta a tempo indeterminato e la recente richiesta di un parere consultivo presso la Corte internazionale di giustizia, non ha portato israeliani e palestinesi più vicini alla pace”.

Designate Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu attends an event promoting his new autobiography “Bibi: My Life Story” in Menachem Begin Heritage Center in Jerusalem, 14 November 2022. Netanyahu is the longest-serving prime minister in the country’s history, having served for 15 years. EPA/ABIR SULTAN

Intanto in Israele, dopo le ultime elezioni, è tornato al potere Bibi Netanyahu. Allora tutto andrà come prima, cioè peggio? La pace da quelle parti del mondo non è mai stata solo una questione “tra colombe”.  Proprio i premier israeliani che raggiunsero risultati allora inaspettati nell’impervia strada che porta alla pace, fino al giorno prima erano stati considerati dei “falchi” (Begin, Shamir, Rabin…) Eppure appare veramente difficile poter immaginare che il processo di pace possa riprendere con Netanyahu capo del governo israeliano, il politico che ha finora alimentato le sue fortune con lo status-quo. Al Palazzo di Vetro, dopo l’ennesima discussione sulla terra per due popoli, palestinesi e israeliani, non resta altro che sperare nel “miracolo”.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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