Per la Cina quello di Ginevra può considerarsi un vero e proprio successo diplomatico. Alle Nazioni Unite, il Consiglio per i diritti umani ha infatti deciso di non tenere una discussione sullo Xinjiang il prossimo febbraio o marzo, dopo le intense pressioni di Pechino a riguardo.
ll mese scorso, a poche ore dal termine del suo mandato, l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet aveva pubblicato un rapporto in cui venivano ritenute “credibili” le violazioni dei diritti umani nella regione cinese dello Xinjiang, abitata dalla minoranza uigura di religione islamica. Tortura e violenza sessuale, di questo parlava Bachelet, invitando la comunità internazionale ad agire “con urgenza”.
Dopo quelle accuse una decina di paesi, tra cui Stati Uniti e Regno Unito, avevano chiesto al Consiglio di organizzare un dibattito incentrato proprio sulla regione autonoma della Cina nord-occidentale.
La proposta di discussione, però, non è passata. A vincere sono stati i “No”, 19, contro 17 “Sì” e gli 11 astenuti. Alle Nazioni Unite non verrà portato avanti alcun confronto e la situazione degli uiguri verrà messa nel cassetto.

Una sconfitta pesante per la minoranza islamica, che dal 2014 subisce i frutti di una politica portata avanti dal Partito Comunista Cinese che ha costretto oltre un milione di musulmani ad essere detenuti in campi di rieducazione.
Fino ad oggi, i parlamenti di Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Belgio e Lituania lo hanno riconosciuto come un genocidio.
A opporsi in sede Onu sono stati Bolivia, Cameroon, Cina, Costa d’Avorio, Cuba, Eritrea, Gabon, Indonesia, Kazakhistan, Mauritania, Namibia, Nepal, Pakistan, Qatar, Senegal, Sudan, Emirati Arabi, Uzbekistan e Venezuela.
Territori, quella dell’America del Sud e dell’Africa, che risentono della pesantissima influenza economica della Cina, da anni infiltrata in quei territori con ingenti investimenti e aiutata, nel caso specifico del Sud America, dalla volontà manifestata da molti leader latini di svincolarsi dall’influenza regionale esercitata dagli Stati Uniti.
“È un disastro – ha dichiarato dopo il risultato Dolkun Isa, presidente del World Uyghur Congress – Non ci arrenderemo mai, ma siamo davvero delusi dall’azione dei Paesi musulmani”.
Il segretario generale di Amnesty International Agnes Callamard ha invece criticato il “silenzio” dei Paesi di fronte alle “atrocità commesse dal governo cinese. Con questo voto, il principale organismo delle Nazioni Unite sui diritti umani ha assunto una posizione farsesca: stare dalla parte di chi viola i diritti umani e non delle vittime”.
Il silenzio non solo di chi ha votato contro, ma anche di chi ha preferito l’astensione. Come l’Ucraina, impegnata internamente a combattere una guerra per la propria indipendenza, ma disinteressata alle guerre altrui.