Guernica è tornata per ricordare a tutti, mentre aumenta la tensione sull’Ucraina, gli orrori di una guerra. Ma il suo ritorno sulle pareti dell’Onu potrebbe non essere permanente.
Sabato scorso, è stato rimontato nel grande corridoio del Palazzo di Vetro che porta alla sala del Consiglio di Sicurezza il grande arazzo che riproduce il capolavoro di Picasso, che era stato tolto a febbraio del 2021, nel pieno della pandemia, per essere restituito alla famiglia Rockefeller a cui appartiene.
Per i giornalisti che lavorano all’Onu, lo sfondo delle sue immagini ha sempre accompagnato la copertura degli eventi più drammatici degli ultimi 37 anni. Dai microfoni montati di fronte, presidenti, ministri degli esteri e ambasciatori di tutti i paesi del mondo hanno parlato della guerra in Iraq, della tragedia della Siria, delle tensioni con l’Iran, e soprattutto dello sforzo della diplomazia di risolvere le crisi. Prima e dopo le riunioni del Consiglio di Sicurezza, ognuno di loro ha offerto all’opinione pubblica mondiale la sua visione mentre i volti sconvolti alle loro spalle ricordavano a tutti il prezzo di un fallimento.
Adesso, Guernica è tornata a fare ancora un volta da sfondo, con le drammatiche immagini dei suoi personaggi, umani e animali, sconvolti da un conflitto.
La lunga storia dell’arazzo, come quella del dipinto che riproduce, racconta d’altra parte una complessa vicenda carica di tensioni e di incertezze.
Pablo Picasso aveva dipinto Guernica su commissione del padiglione spagnolo della Esposizione Internazionale di Parigi nel 1937, nel pieno della guerra civile spagnola. Pochi mesi prima, il primo bombardamento aereo della storia, effettuato dagli aerei tedeschi e italiani, aveva distrutto la città basca, causato più di mille morti e lasciato l’artista sconvolto. Il dipinto in cui il pittore ha impegnato tutto se stesso non passa ovviamente inosservato, ma il suo messaggio è offuscato dalla guerra civile e dal successivo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Solo nel 1992, dopo molti passaggi e dopo essere rimasto per trent’anni appeso alle pareti del Museum of Modern Art di New York, il quadro originale ha trovato una sua casa permanente a Madrid, al Museo National Centro de Arte Reina Sofia.
La potenza delle pennellate di Picasso, però, aveva lasciato un segno profondo nell’opinione pubblica americana più sensibile e più attenta. E uno dei più influenti uomini politici statunitensi aveva deciso che era importante trasmettere il messaggio.

Su richiesta dell’ex vicepresidente e governatore dello stato di New York Nelson Rockefeller, l’arazzo Guernica era stato realizzato nel 1955 dall’Atelier J.de la Baume-Durrbach sotto la direzione della tessitrice francese Jacqueline de la Baume ed era entrato a far parte dei numerosi arazzi ispirati dalle opere di Picasso creati dalla tessitrice e di proprietà della grande famiglia americana. Da sempre vicina agli ideali dell’Onu, a cui aveva donato il terreno su cui sorge il Palazzo di Vetro, la famiglia aveva poi ceduto Guernica in prestito all’Onu nel 1984 per farne ”un monito costante alla ricerca della pace”. Ancora oggi, il disegno che è servito per realizzarlo appartiene alla famiglia Durrbach, che nel 2018 lo ha esposto in diverse città italiane, tra cui Padova e Roma.
L’inizio dell’esposizione al Palazzo di Vetro, in realtà, non era stato felice. Per un errore, infatti, il sito ufficiale dell’Onu aveva inizialmente descritto l’opera come una denuncia dei crimini dei repubblicani anziché di quelli dei nazifascisti.
Dopo la correzione della svista, però, l’arazzo era rimasto al suo posto nel grande corridoio, spostato solo brevemente durante i lavori di ristrutturazione del Palazzo di Vetro, per ricordare a tutti l’orrore della guerra. E l’esposizione era durata senza scogli fino allo scorso anno, quando a sorpresa Nelson A. Rockefeller Jr, il figlio dell’ex vicepresidente, lo aveva richiesto indietro. Ora, Guernica è tornato, ma alcuni interrogativi sono rimasti.
”Sono deliziato e molto grato, con la mia famiglia, per la cura mostrata dalle Nazioni Unite e dal Segretario Generale Antonio Guterres. Sono felice che l’arazzo potrà continuare a raggiungere un segmento sempre più vasto della popolazione mondiale e magnificare la sua potenzialità di toccare le vite e educare”, ha spiegato nei giorni scorsi Rockefeller nell’annunciare la sua decisione di restituire l’opera d’arte al Palazzo di Vetro.
”E’ una notizia più che gradita alla fine di un anno difficile”, gli ha risposto Antonio Guterres, ”L’arazzo di Guernica comunica al mondo la necessità urgente di far avanzare la pace e la sicurezza internazionali”.
Le vere ragioni della richiesta iniziale di riavere l’arazzo e poi di restituirlo, in realtà, sono rimaste abbastanza confuse. Nel rendere l’opera, sabato scorso, Rockefeller ha accennato a una involontaria incomprensione, sostenendo che l’arazzo aveva bisogno di essere restaurato e ripulito. Più probabilmente, all’origine di una mossa che aveva amareggiato tutti vi sono probabilmente ragioni legate alla riorganizzazione della proprietà del patrimonio artistico della famiglia Rockefeller. In futuro, si è soltanto saputo, Guernica dovrebbe essere donata al National Trust for Historic Preservation, che ha sede nella storica residenza della famiglia a Kykuit, nello stato di New York, e già possiede tutti gli arazzi realizzati da Jacqueline de la Baume.
”Stiamo studiando il prossimo capitolo per l’arazzo di Guernica, il suo prestito a lungo termine all’Onu, ma anche alla possibilità di mostrare l’opera d’arte a una popolazione più vasta e diversa, proprio come Picasso stesso aveva deciso di fare quando aveva mandato il suo Guernica originale in un tour internazionale nel 1937”, ha spiegato il presidente del Trust, Paul Edmondson. A far da sfondo alle parole dei diplomatici, insomma, ma non sempre e non soltanto.