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Etiopia: altri morti nel Tigray, ennesimo allarme ONU su catastrofe umanitaria

Due bambini tra le vittime dello strike che ha colpito un campo di profughi eritrei nel nord del paese africano. Monito UNHCR: "proteggere rifugiati"

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Etiopia: altri morti nel Tigray, ennesimo allarme ONU su catastrofe umanitaria

Clashes in Tigray, Afar and Amhara in northern Ethiopia, have left to a surge in humanitarian needs (©IFRC)

Time: 2 mins read

Continua a scorrere sangue nel Tigray: un attacco aereo sferrato mercoledì contro un campo di profughi eritrei ha provocato la morte di tre persone – tra cui due bambini – e quattro altri feriti. A renderlo noto è stato, giovedì, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), che attraverso l’alto commissario Filippo Grandi ha espresso cordoglio per i familiari delle vittime oltre a una ferma condanna dell’attacco.

“I rifugiati non sono e non dovrebbero mai essere un obiettivo,” ha scritto Grandi in una nota relativa all’offensiva letale, che ha avuto luogo nel campo profughi Mai Aini nei pressi della città tigrina meridionale di Mai Tsebri. Grandi ha ribadito l’appello dell’UNHCR affinché tutte le parti in conflitto rispettino i diritti della popolazione civile: “Gli insediamenti dei rifugiati vanno sempre protetti, in linea con i loro obblighi legali internazionali.”

Dal novembre 2020 il Tigray è al centro di una sanguinosa guerra civile che vede contrapposti il Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè, da un lato, e le truppe regolari dell’Etiopia (con il supporto dell’Eritrea), dall’altro.

I funzionari dell’UNHCR sono al lavoro per raccogliere maggiori informazioni sullo strike aereo. I suoi autori rimangono al momento sconosciuti, anche se l’intero spazio aereo tigrino è di fatto interamente presidiato dall’aviazione del Governo di Addis Abeba.

La questione tigrina è stata al centro del briefing di giovedì di Stéphane Dujarric, portavoce del segretario generale dell’ONU Antonio Guterres. La situazione nella regione è stata definita “imprevedibile e instabile”. Le tensioni belliche hanno infatti limitato i flussi di aiuti attraverso la strada che da Semera porta a nord fino ad Abala e Macallè. “Nessun camion contenente forniture umanitarie riesce a entrare nel Tigray dallo scorso 15 dicembre,” ha detto Dujarric, avvertendo che “alcune organizzazioni ONU e ONG saranno costrette a cessare le operazioni se nel Tigray non arriveranno subito aiuti umanitari, carburante e denaro.”

In una dichiarazione rilasciata venerdì, il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres ha auspicato che gli aiuti umanitari riescano a raggiungere tutte le aree interessate dal conflitto. Guterres ha poi accolto con favore la scelta del Governo etiope di Abiy Ahmed di rilasciare numerosi prigionieri, tra cui diversi membri dell’opposizione, rinnovando l’invito a dichiarare un cessate-il-fuoco duraturo per consentire l’apertura di “un dialogo nazionale credibile e inclusivo e un processo di riconciliazione.”

Dall’inizio del conflitto sono decine di migliaia i morti e milioni quelli che sono stati costretti a lasciare le proprie abitazioni. Numeri che, proprio per la loro estrema vastità, sono difficilmente quantificabili. Al dramma dei tigrini si aggiunge poi anche quello dei circa 150.000 profughi eritrei attualmente rifugiati in Etiopia, e in particolare quelli accampati negli insediamenti di Adi Harush e Mai Aini, entrambi nel Tigray. Più volte sono diventati obiettivi degli opposti schieramenti, e quindi sfortunate vittime collaterali di un conflitto che non gli appartiene.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e dirigo La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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