Appena terminato lo show del G20 a Roma (completo di incidente tra le auto che scortavano il presidente USA Biden e un autista romano, visite al Papa, lancio delle monetine nella fontana di Trevi e discorsi di rito provi di contenuti e numeri significativi), i leader mondiali si sono precipitati a Glasgow, in Scozia, per la COP26. I lavori sono iniziati puntuali nonostante l’assenza di alcuni dei leader mondiali che erano in ritardo a causa del maltempo di cui dovevano discutere!
Ancora una volta, lo schema adottato ha confermato immediatamente a cosa servono davvero molti di questi appuntamenti: la COP26 è iniziata con un concerto di cornamusa seguito dal discorso di Boris Johnson che ha parlato di James Bond, “il figlio più famoso di Glasgow”, come fonte d’ispirazione per salvare la Terra dal pericolo dei cambiamenti climatico… .
Quattro gli obiettivi ufficiali dell’evento. Il primo: proteggere lo “zero netto globale” entro la metà del secolo e mantenere “a portata di mano” l’aumento delle temperature medie globali entro 1,5 gradi. Ancora una volta, ai paesi partecipanti è stato chiesto di fare promesse (ben sapendo che molte di queste non saranno mantenute). Come quella di ridurre le emissioni entro il 2030 per ottenere il raggiungimento dello “zero netto” entro la metà del secolo. Un obiettivo che, già prima dell’inizio dei lavori, si sapeva non potrà essere raggiunto: paesi come Cina, India, Arabia Saudita, Australia e altri hanno detto chiaramente che di eliminare (o ridurre) le emissioni non si parlerà prima del 2050/2060. Molti dei leader presenti hanno già dichiarato di voler continuare ad utilizzare il carbone ancora per molto tempo. Eppure lo stesso obiettivo di limitare l’aumento delle temperature medie di 1,5 gradi non è più da “contenere”, visto che è già superato.
Per raggiungere questi obiettivi dovrebbe essere accelerata “l’eliminazione graduale del carbone” e “ridurre la deforestazione”. Ma poco prima dell’inizi dei lavori, il presidente Bolsonaro ha fatto sapere che continuerà a tagliare parte della foresta amazzonica e costruirà nuove centrali a carbone (e lo stesso stanno facendo altri paesi). Altro obiettivo dovrebbe essere aiutare le comunità e gli habitat naturali, “proteggendo e ripristinando gli ecosistemi” e costruendo difese, sistemi di allarme e infrastrutture resilienti [impossibile non sentire questa parola, che ha ormai sostituito l’inflazionata “sostenibile”, n.d.r.] e agricoltura per evitare la perdita di case, mezzi di sussistenza e persino vite umane”. I dati dicono che si sta andando esattamente in direzione contraria: la biodiversità – la varietà di specie animali e vegetali del nostro pianeta – sta scomparendo. E la causa principale sono alcune attività umane come le modifiche nell’utilizzo del suolo, l’inquinamento e i cambiamenti climatici. Ancora una volta, i paesi “sviluppati”, i maggiori responsabili di questi cambiamenti non sono andati oltre (nel migliore dei casi) promettere l’adozione di programmi a lungo temine: la Commissione europea, ad esempio, ha presentato la “nuova strategia” dell’UE sulla biodiversità per il 2030. E a giugno 2021, durante la sessione Plenaria, il Parlamento ha adottato la Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030” che dovrebbe assicurare tutti gli ecosistemi del mondo siano ripristinati, resilienti e adeguatamente protetti, ma entro il 2050.
Boris Johnson, nel suo discorso ha parlato delle risorse economiche necessarie per raggiungere questi obiettivi: almeno 100 miliardi di dollari in finanziamenti per il clima all’anno entro il 2030. Quello che non ha detto dove molti paesi dovrebbero trovare questi soldi. A cominciare dal Regno Unito: dall’ultimo bilancio dell’UE, appena approvato, emerge che deve ancora all’UE oltre 40 miliardi di Euro. Stessa cosa per gli USA, uno dei paesi più ricchi del pianeta: come già avvenuto durante la presidenza Trump, le casse pubbliche degli USA hanno esaurito il contante e le misure straordinarie per far fronte alla spesa corrente il 18 Ottobre scorso… .
L’idea di “affrontare le sfide della crisi climatica solo lavorando insieme”, quarto obiettivo della COP26, appare difficile da realizzare. Ad oggi, non sono i paesi “sviluppati” e le potenze mondiali a farsi carico dei cambiamenti per l’ambiente, ma i paesi in via di sviluppo. A confermarlo è il rapporto “The State of Climate Ambition. Nationally Determined Contributions (NDC) Global Outlook Report 2021”: “I Paesi vulnerabili si stanno facendo avanti a causa della lenta risposta di alcuni dei maggiori responsabili della crisi climatica”. Pubblicato dall’UNDP in vista dell’imminente 26esima Conferenza delle parti sul clima (COP26 Unfccc), il rapporto rivela che mentre il 93% dei Paesi meno sviluppati (LDC) e dei piccoli Stati insulari in via di sviluppo (SIDS) hanno presentato impegni o piani nazionali climatici migliorati per rispettare l’Accordo di Parigi. Al contrario, i Paesi del G20 hanno assunto un atteggiamento da pachidermi che sta rallentando sia il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi che i SDGs. Emblematico il video realizzato dall’UNDP.
Johnson ha parlato di 100 miliardi. Ma questa cifra potrebbe non bastare: la seconda parte del “Trade and Development Report 2021” dell’United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD) (la prima parte era stata pubblicata a settembre) – ricorda che “Il 2021 è stato un altro anno di eventi climatici estremi; ondate di caldo più intense, cicloni tropicali sempre più potenti, siccità prolungate e livelli del mare più elevati sono inevitabili con l’aumento delle temperature globali che porta con sé danni economici e sofferenze umane sempre maggiori”. Finora, la gran parte dei colloqui sul clima si sono concentrati sulla “mitigazione”, trattando l’adattamento ai cambiamenti climatici in modo marginale. L’UNCTAD avverte che “questo si sta rivelando miope e sempre più costoso, in particolare per i paesi in via di sviluppo, dove gli shock climatici stanno danneggiando le prospettive di crescita e costringendo i governi a distogliere le scarse risorse dagli investimenti produttivi. A causa dell’inazione, i costi di adattamento per i Paesi in via di sviluppo sono raddoppiati nell’ultimo decennio e cresceranno ulteriormente con l’aumento delle temperature, raggiungendo i 300 miliardi di dollari nel 2030 e i 500 miliardi di dollari nel 2050” e “fare affidamento sui finanziamenti privati non fornirà risultati su scala o ai paesi più bisognosi”.

Il problema, come sempre, sono le conseguenze sulla popolazione che causano questi cambiamenti. Oggi, ad essere messa in discussione è la sopravvivenza stessa delle fasce più deboli della popolazione. Secondo il rapporto dell’UNICEF Running Dy: the impact of water scarcity on children in the Middle East and North Africa, “quasi 9 bambini su 10 in Medio Oriente e Nord Africa vivono in aree a stress idrico alto o estremamente alto, il che comporta serie conseguenze per la loro salute, nutrizione, sviluppo cognitivo e mezzi di sostentamento futuri”. “Circa 66 milioni di persone nella regione non hanno servizi igienici di base e una percentuale estremamente bassa di acque reflue viene trattata adeguatamente”. Bertrand Bainvel, vicedirettore regionale dell’UNICEF per il Medio Oriente e il Nord Africa, ha dichiarato che: “La scarsità idrica sta avendo un profondo impatto sui bambini e le famiglie, a partire dalla loro salute e nutrizione. La scarsità d’acqua sta diventando anche sempre più causa di conflitti e sfollamenti”. “Il cambiamento climatico provoca minori piogge per l’agricoltura e il deterioramento della qualità delle riserve d’acqua dolce a causa del trasferimento di acqua salata nelle falde acquifere d’acqua dolce e l’aumento delle concentrazioni di inquinamento”. “In molti Paesi della regione, i bambini sono sempre più costretti a percorrere lunghe distanze a piedi solo per andare a prendere l’acqua, invece di passare quel tempo a scuola o con i loro amici a giocare e imparare”, ha detto Chris Cormency, consulente regionale dell’UNICEF per l’acqua e i servizi igienico-sanitari nella MENA.
Nelle pagine ufficiali del sito della COP26 di molti di tutti questi rapporti (frutto del lavoro di insigni ricercatori e studiosi) non c’è traccia.
In compenso, come sempre, sono ampiamente pubblicizzati gli immancabili eventi di contorno: mostre, spettacoli (più o meno culturali), esposizioni (sono previsti “oltre 100 espositori, 200 eventi e 11 sponsor che hanno preso il controllo dello spazio”). Perfino un servizio di vaccinazioni gratis: “Riconosciamo che i vaccini COVID-19 non sono prontamente disponibili in tutti i paesi, e quindi abbiamo gestito un programma, insieme ai nostri partner alle Nazioni Unite, per consegnare vaccini a coloro che altrimenti non sarebbero stati in grado di ottenerne uno nel loro paese d’origine” si legge sul sito della COP26. “Abbiamo ricevuto richieste di vaccini da 75 paesi. Vengono erogati attraverso la FCDO, il Dipartimento di supporto operativo delle Nazioni Unite (UNDOS) e, se del caso, attraverso i programmi di vaccinazione del paese”. Per chi avesse fretta “UNDOS offre una singola dose del vaccino Johnson & Johnson. Siamo sulla buona strada per concludere il nostro programma vaccinale entro il 10 ottobre, in modo che tutti i partecipanti interessati siano completamente vaccinati prima della COP26”.

Per la prima volta è prevista addirittura una lotteria: un premio da 1.000 a 10.000 sterline della Lotteria Nazionale per finanziare progetti su piccola scala, in tutto il Regno Unito, sui cambiamenti climatici. Iniziative che dovranno riguardare il cibo, i trasporti, l’energia, rifiuti e consumi o l’ambiente.
Spettacolo, promesse al vento e tante, tante parole. Nessuno ha pensato di invitare a partecipare qualcuno di quelli che un editorialista del Guardian ha definito la “sporca dozzina”: i leader dell’industria e della finanza capaci di “eludere la responsabilità e il controllo per decenni mentre aiutavano l’industria dei combustibili fossili a distruggere il nostro pianeta. Le azioni di questi super-criminali climatici hanno colpito milioni di persone, danneggiando in modo sproporzionato i vulnerabili che hanno fatto il minimo per contribuire alle emissioni globali”. Nessuno di loro sarà presente alla COP26. E di loro (e di tutto il resto), delle responsabilità delle multinazionali, non parlerà nessuno. E, come è avvenuto finora con tutte le COP che si sono succedute, le emissioni di CO2 continueranno ad aumetare.