Un anno fa Mario Paciolla perdeva la vita nel suo appartamento a San Vicente del Caguán in Colombia. Quel dannato 15 luglio, un lenzuolo avvolto attorno al collo gli ha tolto il respiro e gli ha fermato quel cuore grande che ha sempre messo al servizio dei bisognosi. Giovane e brillante cooperante ONU, dal 2016 viveva nel paese Sudamericano e dal 2018 collaborava con la Missione delle Nazioni Unite sulla verifica degli accordi di pace tra il governo locale e le Farc. Il 33enne napoletano era impegnato nella stesura del report della missione nell’ambito di un programma di reinserimento sociale per gli ex guerriglieri. Un compito che Mario svolgeva con minuziosità e dedizione.
Ad un anno dalla tragedia, la sua morte resta ancora avvolta nel mistero. Non si sa se qualcuno lo abbia ucciso o se fosse volontà di Mario togliersi la vita. Quel che è certo è che pochi giorni prima di morire era terrorizzato. Voleva tornare nella sua terra, a Napoli, per scappare da chissà chi. A sua madre aveva detto di non sentirsi più al sicuro e stava già pianificando la sua fuga. Aveva comprato un biglietto aereo per trasferirsi prima a Bogotà e poi raggiungere l’Italia insieme alla ex fidanzata, Ilaria Izzo. Straziante il racconto della ragazza, che ascoltata dagli inquirenti colombiani, aveva riferito i pianti e le urla di Mario la sera prima di morire: “temeva di essere intercettato e pedinato”.
Anche la giornalista e amica, Claudia Julieta Duque, ha confermato le preoccupazioni del giovane, e a pochi giorni dal ritrovamento del corpo, aveva pubblicato su El Espectador, una lettera-articolo che raccontava il rapporto “travagliato” tra Mario e i suoi superiori della Missione ONU.

Le autorità colombiane hanno inizialmente classificato la sua scomparsa come suicidio. Una teoria alla quale né la famiglia, né chi lo conosceva bene ha mai creduto. Assistititi dai legali Alessandra Ballerini e Manuela Motta, i famigliari invocano giustizia.
La procura di Roma ha aperto un fascicolo per omicidio. Gli investigatori italiani si sono già recati in Colombia per acquisire informazioni utili, ma sulla questione c’è il massimo riserbo. Anche l’autopsia necessita di ulteriori approfondimenti. Mancano delle delucidazioni e il lavoro è limitato dai tessuti del corpo che si consumano al passar del tempo. Inoltre, la salma di Mario è arrivata ai medici legali in condizioni precarie e senza che il cadavere fosse stato ricomposto dopo una prima autopsia oltreoceano.
“Sappiamo che la fiscalia colombiana appare collaborativa – avevano dichiarato i genitori di Mario due mesi fa a Il Manifesto, – poco sappiamo invece dell’Onu”. Ed è proprio alle Nazioni Unite che Anna e Giuseppe Paciolla rivolgono il loro rammarico: “Un’organizzazione molto importante e potente, secondo noi poco disposta a collaborare coi nostri legali forse per un diretto coinvolgimento e tarda a darci risposte su ciò che è successo in quella discussione che Mario ebbe proprio con membri dell’organizzazione”.
Dall’inizio della disgrazia le Nazioni Unite mantengono il silenzio, ma le accuse sono giustificate? In questo anno, La Voce di New York ha chiesto ai portavoce del Segretario generale Antonio Guterres notizie sulla tragica fine di Mario e lo ha fatto anche in occasione dell’anniversario della sua morte. Lunedì il vice portavoce Farhan Haq ha risposto: “E’ quello che abbiamo detto costantemente. Le informazioni che abbiamo avuto, le abbiamo condivise con le autorità investigative, cioè con quelle colombiane e italiane. Lo abbiamo fatto e continuano a farlo… Ripeto, non siamo responsabili delle indagini. Ci sono autorità investigative in Colombia e in Italia. Saranno loro a trarre le conclusioni” (link al minuto 18.30).