Sono passati quasi 100 giorni da quando un gruppo di pescherecci partiti da Mazara del Vallo alla ricerca dei preziosi gamberi rossi, sono stati intercettati da motovedette libiche delle milizie controllate dal generale Khalifa Haftar e due di loro, “Antartide” e “Medinea”, sono stati costretti, con i loro 18 uomini di equipaggio, a seguirli in Cirenaica, la parte della Libia da loro controllata.
Le famiglie dei 18 pescatori (8 italiani, 6 tunisini, 2 senegalesi e 2 Indonesiani, ma sia chiaro, per i mazaresi sono tutti pescatori di Mazara!) stanno soffrendo per i loro cari e la speranza di rivederli sani e salvi si affievolisce ogni giorno che passa. Per questo protestano e lo fanno non solo nelle piazze storiche della loro cittadina siciliana, ma anche nella piazza di Montecitorio davanti al Parlamento della Repubblica. Intanto le trattative per la liberazione sono in completo stallo anche perché Haftar ha chiesto quello che uno stato di diritto non può concedere: il rilascio di quattro giovani libici già condannati dalla legge italiana per l’accusa di traffico di essere umani.

Da oltre tre mesi, durante i briefing dell’ONU, La Voce di New York continua a chiedere: cosa pensa il Segretario Generale Antonio Guterres di chi lavora pescando in acque internazionali e improvvisamente si ritrova rinchiuso nelle prigioni della Libia? E poi anche: il governo italiano ha chiesto aiuto all’ONU?
Finora ci hanno risposto che non potevano confermare la richiesta di aiuto del governo italiano, ma che comunque l’ONU si starebbe adoperando per la liberazione dei pescatori.

Da poche ore c’è però una novità che riteniamo piuttosto importante: il vescovo di Mazara, Don Domenico Mogavero, in una dichiarazione all’agenzia di stampa ADN Kronos, ha usato queste parole: “Ora diciamo basta: è ora che chi di dovere intervenga, anche con corpi speciali affinché i pescatori possano fare rientro nelle loro famiglie”. Una dichiarazione forte, sicuramente provocatoria che forse intende scuotere chi dovrebbe farlo dopo mesi di stallo.

Ma un’azione di forza dell’Italia, per quanto improbabile, sarebbe legale? Come verrebbe vista dalla comunità internazionale? Martedì lo abbiamo chiesto ai portavoce sia del Segretario Generale dell’ONU che del Presidente dell’Assemblea Generale, cioè se l’Italia procedesse con un’azione di tipo militare per liberare i suoi pescatori, questa sarebbe sotto l’ombrello della legalità internazionale, dato che i pescatori, lo ricordiamo, sono stati catturati in acque internazionali?
L’ONU ancora una volta non è stata affatto chiara, il portavoce Stéphane Dujarric, ammettendo che si tratta “di una questione importante”, ha detto di non sapere i dati “tecnici” della questione, e scongiurando l’uso della forza si augura che la liberazione avvenga al più presto grazie anche al lavoro sul campo della missione ONU in Libia. Brenden Varma, portavoce del presidente dell’Assemblea Generale, il turco Volkan Bozkir, non ha provato neanche a rispondere, ha detto solo che per una questione difficile e complicata “ci farà sapere…”. (Qui sotto il video del briefing, con la nostra domanda a partire dal minuto 18:15)
Eppure dovrebbe interessare: proprio ieri era la Turchia a minacciare un intervento di forza perché le milizie di Haftar nelle stesse acque dove avevano preso i pescatori mazaresi, ora hanno catturato un cargo con tutto l’equipaggio che era partito dalla Turchia per Tripoli, ma che batteva bandiera della Jamaica (ma l’equipaggio è in maggioranza turco).
Per chi scrive, questa vicenda non ha solo un aspetto, come dire, giornalistico. A Mazara del Vallo ci sono nato e la mia famiglia per alcune generazioni è stata parte di quelle degli armatori che componevano la flottiglia di pescherecci più importante del Mediterraneo. Fu proprio Luigi Vaccara, mio bisnonno, a trasformare, alla fine degli anni Venti del secolo scorso, l’attività della pesca a Mazara ai livelli di industria ittica. Mio padre, Luigi Vaccara, lavorava da giovane per mio nonno, Stefano, armatore di pescherecci mazaresi che si spingevano fino all’ Africa occidentale e mi raccontava quando, nei frequenti colpi di stato degli inizi anni Sessanta, doveva fuggire dai porti di Monrovia o Freetown prima che il nuovo governo militare, disconoscendo gli accordi di pesca del precedente, sequestrasse i pescherecci, con il pescato e avvolte anche l’equipaggio per poi chiedere un riscatto.

La vita di chi vive di pesca nel mondo, di coloro che si imbarcano per settimane in cerca del prezioso “seafood”, è fatta di incertezze e pericoli. Però, anche mettendo in conto i “rischi del mestiere”, nessuno può accettare che possa diventare normale la cattura di pescherecci italiani in acque internazionali per mesi, senza che non ci siano serie conseguenze secondo la legge del mare. L’azione delle milizie di Haftar è semplicemente un atto di pirateria, che di solito dovrebbe risolversi con l’arresto dei pirati!

Erano in acque internazionali i pescatori di Mazara? Sì, anche se per i libici di Haftar (come per quelli di Tripoli, cioè del governo riconosciuto dall’ONU) vale ancora la dichiarazione del governo di Gheddafi del 2005, che estende unilateralmente le acque territoriali libiche a 74 miglia dalla costa. La legge internazionale dice che sono 12 miglia, ma come ci spiega bene anche il giornalista mazarese Francesco Mezzapelle, “i pescherecci di Mazara si trovavano a circa 35 miglia dalla costa, ma l’accusa avanzata ufficialmente da parte del comando del LNA che governa la Cirenaica è di aver violato le acque territoriali, pescando all’interno di quella che ritengono essere un’area di loro pertinenza, la cosiddetta ZEE (Zona economica esclusiva), che si estende a 74 miglia dalla base di costa (62 miglia oltre le 12 territoriali) mai riconosciuta dalla comunità internazionale”. Mezzapelle, che dirige il seguitissimo giornale online Prima Pagina Mazara, ed è una fonte inesauribile anche per i più prestigiosi media del mondo, ci fornisce una piccola mappa con i colori (sotto) e poi aggiunge: “Che valore ha, inoltre, la ZEE libica se questa è stata dichiarata da uno Stato e da un Paese – quello sotto la guida del colonnello Gheddafi – che di fatto no esiste più, e visto che oggi la Libia è divisa in pratica in due parti, la Tripolitania e la Cirenaica con due governi?”.

A questo punto, come bisognerebbe interpretare le parole del vescovo Mogavero? Noi non pensiamo al vescovo diventato di colpo “guerranfondaio” che voglia far peggiorare una situazione già incandescente in Libia dove c’è da poche settimane un cessate il fuoco ancora debolissimo, ma sembra semmai una scossa, un messaggio per il premier Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio: avete veramente fatto tutto il possibile per evitare quello che altrimenti diventerebbe inevitabile (nel rispetto della legge internazionale)?
Per esempio Conte e Di Maio hanno alzato il telefono o aperto lo zoom per confrontarsi con i paesi che appoggiano Haftar, sia economicamente che militarmente, come gli Emirati Arabi e soprattutto l’Egitto? E anche, come ha suggerito il ministro della Difesa del governo libico di Tripoli in una intervista al giornalista de Il Giornale Fausto Biloslavo, hanno chiesto direttamente alla Francia, altro paese “vicino” ad Haftar, di aiutare ed intervenire per la liberazione dei pescatori? Come? Ma certo, ci hanno provato, ma non ha funzionato?

Ecco, Conte e di Maio forse dovrebbero a questo punto ascoltare il suggerimento del vescovo: quando discutete dei pescatori di Mazara con Macron o Yves Le Drian (ministro esteri francese con buoni rapporti con Haftar, secondo quanto conferma anche il ministro della Difesa libico Salahuddin Al -Namroush), fate capire che bisogna che si smuovano col convincere Haftar, perché altrimenti all’Italia non resterebbe altro che mobilitare i San Marco e la Folgore…
Forse Conte e Di Maio non sono in grado di parlare ai francesi o agli egiziani, in modo così determinato che questi non pensino che sia tutto un bluff. Già. Forse sarebbe meglio che fosse il presidente Sergio Mattarella a fare quella chiamata al collega Emmanuel Macron per salvare i pescatori…
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