“Dal 1° settembre 2020, 18 pescatori della flotta peschereccia di Mazara del Vallo (TP) sono sequestrati in Libia ed allo stato attuale sono nello stato di detenzione. Inizia tutto la notte del 1° settembre quando 4 pescherecci mazaresi, Medinea, Antartide, Nicolino ed Annamadre vengono affiancati da alcuni militari libici a bordo di motovedette che intimano ai pescherecci di fermarli…”
E’ così che inizia la petizione online su change.org, pensata dalla redazione Primapaginamazara, per aiutare a liberare i pescatori sequestrati dalle milizie di Haftar, leader dell’Esercito Nazionale Libico, e mai appoggiato dal governo italiano. La petizione è espressamente rivolta al Ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale Luigi Di Maio, che a detta delle famiglie, non sembra intenzionato a “mostrare i muscoli” per liberare i connazionali.

La Lega, capitanata da Matteo Salvini, mercoledì 14 ottobre, è scesa in piazza Montecitorio, per mostrare la sua solidarietà alle famiglie sofferenti, recitando: “riportiamoli a casa”. “Abbiamo riportato a casa gente che si trovava in Africa non a lavorare, ma a fare altro spendendo dei soldi”, ha detto il leader della Lega Salvini.
“Ho voglia di riabbracciare mio figlio” ha detto disperata la mamma di uno dei marittimi. “Fate qualcosa, non ce la facciamo più”, un altro dei famigliari. E ancora “mi vergogno di essere italiana” ha tuonato un’altra parente di uno dei 18 pescatori sequestrati.
Gli equipaggi “Antartide” e “Medinea” di Mazara del Vallo fermati dalle milizie del generale Khalifa Haftar, sono prigionieri da oltre un mese, nel porto libico di Bengasi con l’accusa di aver sconfinato nelle acque libiche.
Nel Canale di Sicilia, ormai da moltissimi anni si consuma la Guerra del Gambero Rosso. Un crostaceo raro da trovare, e per questo, i pescherecci italiani si spingono nelle acque del Mediterraneo dove si è scatenata una contesa sull’interpretazione della legge internazionale sulle miglia di mare che separano la Libia dall’Italia.

Non è la prima volta che i libici trattengono dei pescherecci italiani, ma il tutto si risolveva in poche settimane. Questa volta, invece, è diverso. Il leader dell’LNA, il generale Haftar, si rifiuta di liberarli fino a quando l’Italia non rilascerà quattro libici, presunti calciatori, condannati dalla giustizia italiana. Erano stati arrestati in Sicilia nel 2015 e condannati a 30 anni per traffico di essere umani. Avevano attraversato il canale con un’imbarcazione carica di migranti e li avrebbero successivamente percossi. Durante la traversata, una manovra brusca aveva fatto affondare la nave, causando la morte di molti dei migranti.
Il generale Haftar è dunque determinato a forzare uno scambio di prigionieri, tanto che le sue milizie hanno sostenuto di aver trovato droga a bordo dei pescherecci italiani, utilizzando tale affermazione come pretesto per alzare la pena. Ora i 18 pescatori rischiano anche una condanna.
La situazione è molto delicata e mette in una posizione scomoda l’Italia, che si ritrova ad essere provocata da una sua ex colonia. Il Ministro Luigi Di Maio ha fin da subito affermato che l’Italia “non sarà ricattata”, ed anche il procuratore distrettuale Carmelo Zuccaro incaricato delle indagini, ha affermato che “uno scambio sarebbe ripugnante”. Il governo italiano non sembra però voler ancora ricorrere ad azioni militari per liberare gli ostaggi.

Arrivano così piogge di critiche al governo Conte, ed ex generali, ora in pensione, dicono la loro. E’ in particolare l’ammiraglio Nicola De Felice, ex comandante per la Marina militare per la regione Sicilia e tra i massimi esperti di Legge del mare, a sollevare dure critiche al governo. Lo accusa di non fare abbastanza e afferma che sia necessario un blitz militare in Libia. “Il governo se davvero volesse difendere la nostra sovranità e gli italiani dovrebbe intervenire con un blitz e liberare i nostri pescatori nelle mani del criminale Haftar. O quanto meno fare pressioni militarmente, schierando le nostre navi di fronte le coste della Cirenaica, come fecero gli Stati Uniti quando la Libia decise di estendere unilateralmente le acque territoriali”. E continua, “se avessimo un governo degno di questo nome e un ministro degli Esteri capace, dovremmo fare pressioni innanzitutto su Arabia Saudita ed Emirati Arabi, i due Paesi che più foraggiano le truppe di Haftar, ma anche su Egitto, Francia, Russia, in modo tale da far richiamare all’ordine il generale della Cirenaica. Potremmo anche fare pressioni di tipo economico, bloccando le esportazioni”.

L’Italia potrebbe anche rivolgersi all’ONU, dato che ha dalla sua parte il diritto internazionale per quanto riguarda la questione dei confini marittimi. Ma il governo italiano non l’ha ancora fatto. La scorsa settimana, La Voce di New York, durante il briefing con il portavoce del Segretario Generale ONU, ha chiesto se il Segretario Antonio Guterres fosse stato in qualche modo coinvolto al fine di trovare una soluzione, ma il portavoce Stéphane Dujarric aveva risposto che non gli risultava alcuna richiesta di aiuto da parte del governo italiano. Oggi, durante l’ordinario briefing, La Voce di New York ha posto la stessa domanda, ma il portavoce del capo dell’ONU ha risposto: “non ho notizie, ma controllerò” (minuto 19.09).
Questa storia va avanti da troppo tempo ed ora il generale Haftar alza la posta in gioco, puntando ad umiliare l’Italia, e Roma rischia una figuraccia internazionale.
Intanto il governo degli Emirati Arabi Uniti starebbe portando avanti una mediazione con il l’Esercito Nazionale Libico (LNA) del generale Khalifa Haftar per liberare i marittimi italiani. Una fonte libica ha detto all’agenzia Nova che “i funzionari degli Emirati hanno effettuato una lunga telefonata con uno dei leader dell’LNA per coordinare i dettagli del negoziato”. La telefonata sarebbe avvenuta “in un clima positivo”, ma sarà possibile arrivare ad una soluzione senza che l’Italia sia umiliata?

AGGIORNAMENTO – Il ministro degli Esteri italiano ha promesso giovedì di portare a casa i pescatori prigionieri in Libia.
“I nostri pescatori sono detenuti da un partito libico non riconosciuto dal governo italiano, dall’Unione europea o dalle Nazioni Unite”, ha detto al Senato il ministro degli Esteri Luigi di Maio. “Stiamo monitorando quotidianamente la salute dei pescatori. Stanno bene”, ha detto.
Inoltre, Di Maio ha affermato di aver chiesto aiuto a coloro “che hanno un’influenza particolare su Bengasi”, ai i suoi omologhi in Francia, Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti e Russia.
“Ottenendo il risultato in silenzio, dimostreremo che gli italiani li riporteremo a casa… Il massimo riserbo è d’obbligo in situazioni come queste” ha sottolineato il Ministro degli esteri italiano. “In questo momento servono razionalità, cautela, determinazione, ma soprattutto unità. Se siamo uniti come forze politiche, coloro che stanno lavorando per riportare a casa i pescatori sono più forti”.