Il 15 settembre, “un giorno storico per la pace”, lo ha definito il presidente americano Donald Trump parlando dal balcone della Casa Bianca, subito dopo la firma degli accordi di Abramo, tra gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrain per la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Israele e il riavvicinamento sotto la sfera commerciale ed economica.

Questi patti rendono Emirati Arabi Uniti e Bahrain il terzo e il quarto Stato arabo che riconoscono la sovranità dello Stato d’Israele, dopo l’Egitto, nel 1979, e la Giordania, nel 1994.
Ma l’accordo diplomatico con Israele può essere davvero inquadrato come accordo di “pace” e considerato elemento fondamentale per la stabilità del Medio Oriente? In superficie sembra che il Medio Oriente si stia avviando nella giusta direzione per un cambiamento, ma questo accordo biblico ha avuto un’accoglienza controversa, destando sospetti e diffidenze. Persino l’ONU, la più importante organizzazione che promuove la cooperazione internazionale e difende la pace e la sicurezza internazionale, è rimasta pressoché “fredda”, e alle domande dei giornalisti, risponde genericamente che gli accordi di Abramo sono utili al fine di riprendere un dialogo tra Israele e Palestina, e che le Nazioni Unite continuano a credere fermamente che la migliore soluzione sia quella a due Stati.
E’ infatti durante la conferenza della presentazione della 75° sessione dell’Assemblea Generale alle Nazioni Unite, che alla domanda di Edith Lederer, di Associated Press, (minuto 13.05) il Segretario Generale ONU Antonio Guterres ha detto: “Indipendentemente delle opinioni che possono esistere riguardo l’accordo, è molto importante per palestinesi ed israeliani impegnarsi per la pace nel Medio Oriente”. “Ora c’è un’opportunità”, “questo accordo ha ottenuto un importante risultato: la sospensione dell’annessione dei territori, che avrebbe avuto tremende conseguenze per la pace e la stabilità della regione”. Nella stessa occasione, a un altro giornalista del New York Post, Benny Avni, (minuto 38.10) che faceva notare la “freddezza” con cui l’ONU aveva accolto l’accordo, il Segretario Generale dell’ONU ha risposto che le Nazioni Unite sono state tra le prime ad accogliere questo accordo, poiché la cooperazione internazionale è un aspetto assolutamente essenziale per risolvere i problemi.
Per i palestinesi è “un giorno nero”
Purtroppo i palestinesi non la vedono così. Questo non è certo un accordo di pace israelo-palestinese, che anzi, sembra essere più lontano che mai. La sofferenza dei palestinesi sembra essere da sempre largamente ignorata durante le trattative diplomatiche. Un segno che i palestinesi stanno perdendo il loro potere di veto sulle decisioni arabe riguardanti Israele.
La loro reazione durante la firma dell’accordo 15 settembre, non si è fatta attendere. Manifestazioni e scontri si sono protratti per ore in diverse città palestinesi. A Gaza sono state date alle fiamme le immagini che raffiguravano i diversi leader, mentre sono stati lanciati razzi verso il territorio israeliano. Secondo i palestinesi, quei Paesi sono venuti a patti con lo Stato ebraico senza aspettare la nascita di uno Stato palestinese, ed ora temono la nuova posizione del mondo arabo, che da sempre li aveva supportati contro l’occupazione israeliana. Hanno denunciato di “essere stati pugnalati alle spalle” e così in centinaia si sono radunati per le strade della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, in segno di protesta. Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina lo ha definito un “giorno nero”.
“Alla fine anche i palestinesi arriveranno a un punto in cui vorranno unirsi all’accordo di pace” con Israele, ha detto il presidente americano Donald Trump in una intervista prima della firma. “Avremo la pace in Medio Oriente”.

Accordo di “pace”?
C’è chi afferma che gli accordi di “pace” aumentino l’oppressione, non l’amicizia e riflettano un’alleanza geopolitica per espandere la sfera di influenza degli Stati Uniti in Medio Oriente. In effetti, a differenza degli accordi con Egitto e Giordania, questa volta non si tratta di Paesi confinanti in guerra, ma di una partnership strategica che verte in più direzioni. Bahrein e Israele non sono mai stati in guerra.
Né gli Emirati Arabi Uniti né il Bahrein erano stati persino fondati quando Israele e il mondo arabo avevano combattuto le loro guerre più iconiche.
Da notare inoltre che l’azione del Bahrein non sarebbe avvenuta senza la benedizione dell’Arabia Saudita, che da sempre ha esercitato ciò che equivale a un veto sulla politica del piccolo vicino. In questo caso, i sauditi hanno però appoggiato silenziosamente la decisione, piuttosto che porre il veto. Che i sauditi stiano aspettando di vedere come si svolgerà il processo di normalizzazione prima di seguire la stessa scia? L’Arabia Saudita sembra infatti essere una delle prossime candidate.

L’amministrazione Trump sta chiedendo ad altri stati arabi di unirsi al processo: il Sudan sembra essere vicino e il Marocco, che ha una numerosa popolazione ebraica e per decenni ha mantenuto contatti segreti con Israele, è un altro possibile candidato.
Alla firma ha presenziato anche l’ambasciatore dell’Oman negli Usa, Hunaina al-Mughairy. Infatti, in Oman, il sultano Haitham bin Tariq, al trono da gennaio, ha pubblicamente sostenuto l’accordo Emirati Arabi Uniti-Israele e ha respinto i tentativi palestinesi di condannare gli Emirati. L’Oman ha già ospitato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, e questo renderebbe più facile l’eventuale passaggio alla piena normalizzazione.
Un asse anti-Iran e anti-Turchia?
C’è anche chi sostiene che l’accordo sia un solido vantaggio per Trump, per colmare il divario tra Israele e gli stati arabi. Un trofeo da esibire per le prossime elezioni presidenziali del 3 novembre; ma anche un accordo tattico, dato dal timore che la vittoria di Biden possa determinare una riapertura di dialogo con l’Iran, nemico comune di Israele e del mondo arabo. Dunque sembra che quest’ultimo, abbia deciso per un cambio rotta, e davanti al progressivo disimpegno, soprattutto militare, da parte USA in Medio Oriente, ora considera lo Stato ebraico non più un nemico, ma un alleato nella lotta contro l’Iran sciita e la Turchia. La partnership si rivela quindi anche una strategia volta ad isolare quest’ultime. In quest’ottica, l’accordo dovrebbe essere marchiato come un asse anti-Iran.
La monarchia del Bahrein è sunnita, ma governa su una popolazione a maggioranza sciita, in gran parte povera e priva di diritti. Ciò ha storicamente posto dei problemi di carattere interno, e nel 2011 le significative rivolte della popolazione bahrainita, hanno minato la stabilità dell’area, provocando un pericolo anche per la vicina Arabia Saudita. Quest’ultima, insieme agli Emirati Arabi Uniti, ha inviato truppe nel territorio del Bahrain per ristabilizzare la situazione interna. L’iniziativa è stata presa per il timore che l’Iran avrebbe potuto in un qualche modo aumentare la sua influenza sul Golfo, sostenendo le rivolte sciite.

Inoltre dal 2015 il Bahrain è anche membro della guerra guidata dai sauditi e dagli Emirati Arabi Uniti contro lo Yemen, per minare l’influenza iraniana sconfiggendo le forze sciite Houthi. Dunque, la decisione di due ricchi paesi del Golfo di riconoscere Israele non aiuta le nazioni distrutte del Medio Oriente, come Libano, Siria, Yemen e Libia.
“Coraggiosi leader visionari”
Insomma non tutti concordano sul fatto che gli accordi di Abramo rappresentino la pace in Medio Oriente e che non ci sia affatto da applaudire. Ma per una volta, sarà il caso di mettere da parte un po’ di cinismo e riconoscere un’occasione importante?
Intanto il presidente Donad Trump, candidato anche al premio Nobel per la pace, festeggia vittorioso: “nasce un nuovo Medio Oriente con un accordo che nessuno pensava fosse possibile e che a breve verrà firmato da altri cinque o sei Paesi arabi”. Riferendosi al premier israeliano Benjamin Netanyahue e ai ministri degli esteri degli altri due Paesi, rispettivamente Abdullatif al-Zayani e Abdullah bin Zayed, li definisce “coraggiosi leader visionari”.