Quattro agenti della Sezione di indagine penale (SIJIN) della polizia di San Vicente del Caguán – dove il 15 luglio è stato ritrovato senza vita il corpo del volontario ONU Mario Paciolla – sono indagati per aver permesso ai membri della Missione di Verifica delle Nazioni Unite di raccogliere tutti gli effetti personali del 33enne napoletano, inquinando, in questo modo, la scena dove il volontario è stato trovato impiccato. La notizia era stata anticipata dalla giornalista investigativa Claudia Julieta Duque, che, sul quotidiano di Bogotà El Espectador, sta conducendo da settimane una accurata inchiesta sulla morte di Mario.
Ve l’avevamo raccontato anche in un nostro precedente articolo: Duque aveva già ricostruito i complicati rapporti tra Paciolla e alcuni colleghi della Missione ONU, con cui Mario avrebbe avuto delle accese discussioni che, negli ultimi giorni, lo avevano turbato. Secondo la giornalista, Mario aveva criticato la Missione per la sua burocrazia pachidermica che lasciava poco protetti e tutelati i suoi operatori, era “disgustato” dopo una discussione con i suoi capi il 10 luglio scorso, ed era stato accusato da una collega di essere una spia durante una riunione informale a Florencia. Riteneva inoltre discriminatoria la modalità con cui l’ONU stava gestendo la pandemia, con “viaggi e telelavoro” offerti ai funzionari, e i volontari condannati a “solitudine e isolamento”. E ancora, era critico rispetto alla scarsa attenzione, dedicata dall’Organizzazione nel suo rapporto del 2019, al “bombardamento militare nel quale sono morti 18 bambini e bambine reclutate dalla dissidenza delle Farc, dove si è infierito su alcuni corpi già morti, un evento che ha determinato le dimissioni dell’allora ministro della Difesa, Guillermo Botero”. Dei suoi turbamenti aveva accennato anche alla madre, alla quale aveva di recente annunciato la sua intenzione di rientrare presto in Italia. La Missione ONU in Colombia, da noi contattata per la seconda volta la scorsa settimana in merito a quanto ricostruito da Duque, dopo averci inviato una nota generica nei giorni immediatamente successivi alla morte di Paciolla non ha mai risposto alle nostre domande.

Nelle ultime ore, però, stanno emergendo nuovi, rilevanti dettagli, che gettano nuove ombre sull’operato della Missione ONU nelle ore successive al ritrovamento del corpo di Paciolla. Innanzitutto, l’indagine a carico degli agenti colombiani che hanno permesso all’Unità investigazioni speciali (SIU) del Dipartimento di Salvaguardia e Sicurezza delle Nazioni Unite di raccogliere tutti gli effetti personali di Mario il 16 luglio scorso. In secondo luogo, la presenza di Jaime Hernán Pedraza Liévano, capo dell’unità medica della Missione ONU, all’autopsia di Paciolla condotta dall’Istituto di medicina legale nella capitale di Caquetá. L’autorizzazione è stata firmata dalla famiglia dell’operatore ONU, a cui Pedraza Liévano sarebbe stato erroneamente presentato come un medico legale assegnato dall’ambasciata italiana in Colombia. Quindi, il 24 luglio scorso, l’ONU avrebbero inviato a Roma, insieme al corpo senza vita di Paciolla, un inventario non firmato degli effetti personali raccolti nella casa del volontario, mentre la famiglia sarebbe stata informata che la dotazione digitale di proprietà della Missione assegnata a Mario era bloccata in Colombia per ordine della Procura. Quest’ultima, il 30 luglio scorso, ha poi revocato la tutela. In base a quanto riportato nell’inventario, nell’appartamento di Mario la Missione avrebbe trovato oltre 7 milioni di pesos in contanti (poco meno di 1700 euro), carte di credito, i suoi passaporti, una fotocamera Canon EOS700D con gli obiettivi, una custodia e una scheda SD, un mouse, una pen drive, un mp3, vari diari, quaderni, ricevute e fotografie stampate, i suoi vestiti e altri effetti personali.
Secondo l’avvocato della famiglia Paciolla Germán Romero, tali elementi implicherebbero una violazione, da parte della Missione ONU in Colombia, del diritto alla privacy del volontario e del diritto di accesso alla giustizia per la famiglia. A tutto ciò, si aggiungano i frequenti inviti alla riservatezza che il quartier generale della Missione ONU a Bogotà – sempre secondo la ricostruzione di Duque – avrebbe inviato ai suoi collaboratori, esortandoli a non rilasciare interviste e dichiarazioni ai media. Ulteriore tassello portato a galla dall’inchiesta della giornalista colombiana, la telefonata che sarebbe intercorsa, il 14 luglio scorso alle ore 22.00, tra Paciolla e il contatto di sicurezza della Missione di Verifica a San Vicente del Caguán, Christian Thompson, chiamata che comporta automaticamente l’attivazione di protocolli di allarme.
In occasione del quotidiano press briefing, alle nostre domande (vedi video sotto dal minuto 14:16) il vice-portavoce del Segretario Generale ONU, Farhan Haq, ha ribadito che le Nazioni Unite stanno collaborando con le autorità colombiane per determinare le cause della morte di Paciolla, e fornendo “tutte le informazioni e il supporto necessari sia da parte della missione in Colombia che dal quartier generale delle Nazioni Unite”.
Haq ha anche spiegato che l’ONU è in stretto contatto con il Governo italiano, sia attraverso l’ambasciata italiana a Bogotà che tramite la missione italiana a New York. Proprio a questo proposito, nelle scorse ore il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha avvertito che quanto accaduto “non può lasciare indifferenti” e che “il minimo, ora, è lavorare senza sosta per avere verità e giustizia”. “L’ho promesso alla sua famiglia e farò tutto quanto in mio potere”, ha dichiarato in un’intervista.
Dopo le nostre domande, il vice portavoce del Segretario Generale ci ha inviato una nota ufficiale riassuntiva della posizione delle Nazioni Unite sul caso, più tardi estesa a tutti i giornalisti corrispondenti dall’ONU:
Siamo profondamente rattristati dalla morte del nostro collega in Colombia, Mario Paciolla, e ribadiamo le condoglianze rivolte alla sua famiglia e al Governo italiano, nonché la nostra gratitudine per il servizio reso alla Missione di Verifica e alla causa della pace in Colombia.
Ripetiamo che le Nazioni Unite stanno cooperando pienamente con le autorità colombiane preposte a determinare con certezza la causa della morte. La Missione di Verifica, con tutto il sostegno necessario del quartier generale delle Nazioni Unite, ha risposto a tutte le richieste di assistenza. Ciò ha incluso la revoca delle immunità per consentire interviste con i colleghi di Paciolla e attraverso la facilitazione di tutte le richieste di revisione degli effetti personali e delle attrezzature di lavoro nell’ambito dell’indagine in corso.
Siamo stati anche in stretta comunicazione con il Governo italiano, attraverso la sua ambasciata a Bogotà e la sua rappresentanza alle Nazioni Unite a New York. Ci siamo coordinati su questioni tra cui il trasferimento in discrezione dei resti del sig. Paciolla in Italia per quanto riguarda i desideri della famiglia e la consegna dei suoi effetti personali. Le Nazioni Unite hanno inoltre assicurato al Governo italiano collaborazione rispetto alle richieste derivanti dalle indagini che potrebbero essere intraprese dalle autorità italiane.
È attraverso questa cooperazione con le indagini che le Nazioni Unite possono contribuire al meglio a ciò che tutti gli interessati desiderano vedere, e cioè che le circostanze della morte di Mario Paciolla siano pienamente chiarite. In attesa dei risultati di tali indagini e collaborando pienamente con esse, non intendiamo commentare i dettagli del caso o speculare sull’esito delle indagini, in quanto sarebbe inappropriato farlo.
Alla Farnesina, abbiamo chiesto aggiornamenti rispetto all’autopsia condotte sul corpo di Mario. Abbiamo anche domandato se il Ministero sia finora soddisfatto o meno rispetto al comportamento tenuto dalle Nazioni Unite e alle indagini condotte dalle autorità colombiane. Mentre scriviamo questo articolo, siamo ancora in attesa di una risposta.