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Alla faccia della salute! In salita la spesa per gli strumenti destinati a uccidere

I dati del rapporto SIPRI mostrano una crescita continua della spesa per le armi, anche da parte dei paesi, che almeno sulla carta, sono più pacifisti

C.Alessandro MauceribyC.Alessandro Mauceri
Alla faccia della salute! In salita la spesa per gli strumenti destinati a uccidere
Time: 4 mins read

Fame, malattie, malnutrizione, sottosviluppo, crisi ambientali. Dovrebbero essere queste le priorità nei bilanci di tutti i paesi del mondo. Invece, a scorrere bene alcuni numeri ci si accorge che non è così. A confermarlo è l’ultimo rapporto pubblicato dal SIPRI, lo Stockholm International Peace Research Institute che ogni anno monitora gli sviluppi delle spese militari in tutto il mondo. Secondo il SIPRI, nel 2019, “Le spese militari globali totali sono salite a 1.917 miliardi di dollari”, anzi rispetto all’anno precedente sono aumentate del 3,6%, la crescita annuale maggiore dal 2010. I dati mostrano una crescita praticamente continua: “Nel 2019 la spesa militare globale è stata superiore del 7,2% rispetto al 2010, mostrando un trend che ha accelerato la crescita della spesa militare negli ultimi anni” ha dichiarato Nan Tian del SIPRI.

Numeri che lasciano a bocca aperta: lo scorso anno, è stato speso in armi e armamenti il 2,2% del Prodotto Interno Lordo globale (PIL). É come se ciascun abitante della terra avesse speso 249 dollari in armi e munizioni. Inclusi i bambini e i pacifisti.

A Delta II rocket in the Strategic Defense Initiative program lifts off beside its launch tower.

Che fine hanno fatto le dichiarazioni di pace contenute negli atti costitutivi di tutti i paesi del mondo? Anche i paesi più pacifisti, almeno sulla carta, non hanno mai smesso di destinare all’acquisto di armi e armamenti somme enormi. Lo scorso anno, la Germania ha speso in questo settore il 10% più dell’anno precedente: la somma destinata a questa voce di spesa ammonta complessivamente alla ragguardevole cifra di 49,3 miliardi di dollari. “La crescita della spesa militare tedesca può in parte essere spiegata dalla percezione di una crescente minaccia dalla Russia, condivisa da molti Stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO)”, ha detto Diego Lopes da Silva anche lui del SIPRI. Eppure, solo proprio pochi giorni fa, il presidente degli USA Donald Trump ha detto che la Germania spende troppo poco per la NATO e che si starebbe rivolgendo sempre più (commercialmente parlando, finora) verso la Russia.

Anche molti paesi poveri o in via di sviluppo (che quindi dovrebbero destinare le proprie risorse ad altro piuttosto che a questo settore) hanno aumentato considerevolmente il budget per strumenti di morte. Primo fra tutti, in Europa, la Bulgaria (grazie anche all’acquisto di nuovi aerei da combattimento); lo stesso ha fatto la Romania che ha aumentato addirittura del 17% la voce di bilancio destinata alle armi. Complessivamente, nel 2019, solo i paesi della NATO hanno speso in armi e armamenti oltre mille miliardi di dollari!

La spesa militare nel mondo

Come si spiega una simile corsa verso l’acquisto di armi e armamenti?

Al primo posto di questa classifica spesso macchiata di sangue ci sono gli Stati Uniti d’America che, nel 2019, hanno speso ben 732 miliardi di dollari in armi e armamenti: il 38% della spesa militare globale! “La recente crescita delle spese militari statunitensi si basa in gran parte su un percepito ritorno alla concorrenza tra le grandi potenze”, ha dichiarato Mieter D. Wezeman, ricercatore senior presso il SIPRI.

A sorprendere è  il cambiamento degli equilibri geopolitici che tale trend potrebbe generare (se non subito, tra qualche anno). Il 62% del totale delle spese in armi e armamenti riguarda solo cinque paesi: Stati Uniti d’America, Cina, India, Russia e Arabia Saudita. Un dato che sposta l’ago della bilancia e degli equilibri da occidente verso oriente. Oltre alla Cina e all’India, anche il Giappone (47,6 miliardi di dollari) e la Corea del Sud (43,9 miliardi di dollari) hanno destinato somme enormi alla spesa militare. E in questa parte del pianeta, le spese militari mostrano un trend crescente ininterrotto dal 1989!

Sede della NATO a Bruxelles (foto di Moors Michael)

Cina e India, nonostante tutti i problemi di sottosviluppo e gli elevati livelli di povertà hanno destinato rispettivamente 261 miliardi di dollari (con un aumento del 5,1% rispetto al 2018) e 71,1 miliardi di dollari (qui la povertà è ancora maggiore ma anche l’aumento pari al 6,8% ). “Le tensioni e la rivalità dell’India con il Pakistan e la Cina sono tra i principali motori dell’aumento delle spese militari”, afferma Siemon T. Wezeman, ricercatore senior della SIPRI. Preoccupa anche il fatto che molti indicatori segnalano una netta inversione di tendenza: i paesi più potenti e più bellicosi del pianeta sono tutti impegnati in una corsa sfrenata al riarmo che non ha simili nella storia recente. Neanche ai tempi della guerra fredda. Negli ultimi mesi, nel silenzio più totale (ne avevamo parlato qui  ) sono stati cancellati tutti gli accordi sulla messa al bando di specifici strumenti di distruzione di massa. E la corsa verso armi e armamenti, tradizionali e non, sembra non conoscere limiti.

E l’Italia?  Nel 2019, il Bel Paese ha speso in armi e armamenti ben 26,8 miliardi di dollari piazzandosi al dodicesimo posto di questa triste classifica. “Grossomodo quanto costano oltre 87.860 ambulanze perfettamente equipaggiate. Se preferite, ci potevamo dare lo stipendio a oltre 300 mila medici o 638 mila infermieri” è stato il commento amaro di Greenpeace. Che, con un chiaro riferimento alla pandemia di COVID 19, ha aggiunto: “Dovendo scegliere tra un fucile e un sistema di ventilazione polmonare per salvare la vostra vita, voi cosa scegliereste?”. “Nel corso della storia, sicurezza ha sempre fatto rima con forza militare e ciò ci ha fatto credere che per il nostro benessere siano necessarie enormi spese militari. Una pericolosa bugia disseminata ad arte, col sostegno dell’industria degli armamenti e dei governi che l’appoggiano per giustificare spese sproporzionate e tanti buoni affari. La dura realtà è che le spese militari vanno a detrimento degli investimenti sul sistema sanitario e su altri servizi essenziali per le persone” è stata la conclusione, “Un solo caccia F-35 (che costa 89 milioni di dollari) basterebbe per pagare 3.244 letti di terapia intensiva”.

Soldati in guerra in Iraq (DoD photo by Staff Sgt. Daniel St. Pierre, U.S. Air Force/Released)

A sentire questi numeri non è possibile non fare un confronto con quello che è forse il più grave problema a livello mondiale: la fame. Secondo la FAO, oltre 820 milioni di persone soffrono la fame. E il numero di persone in condizioni di insicurezza alimentare grave o grave è tornato a salire dopo il 2015 e, visto il livello di povertà in crescita, questo trend non potrà certo essere invertito. E il secondo degli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 non potrà essere raggiunto. E milioni di bambini moriranno perché non hanno nulla da mangiare (sono oltre 150 milioni i bambini in condizioni di malnutrizione cronica e oltre 50 di malnutrizione acuta).

Secondo la FAO, per salvare le loro vite (e quelle di tutte le persone che muoiono di fame)  e per consentire l’accesso al cibo e migliorare le proprie condizioni di vita delle fasce più povere basterebbero 267 miliardi di dollari destinati in investimenti nelle aree rurali e urbane e per misure di protezione sociale. Vale a dire meno di un settimo della spesa annuale in armi e armamenti globale. Meno di un terzo di quanto spendono in armi e armamenti solo gli Stati Uniti d’America in un anno.

Invece, stranamente, si preferisce spendere molto di più non in strumenti destinati a uccidere invece che in progetti per salvare vite umane. Anzi, stando ai numeri si spende ogni anno sempre di più.

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C.Alessandro Mauceri

C.Alessandro Mauceri

Sono nato a Palermo, città al centro del Mediterraneo, e la cultura mediterranea è da sempre parte di me. Amo viaggiare, esplorare la natura e capire il punto di vista della gente e il loro modus vivendi (anche quando è diverso dal mio). Quello che vedo, mi piace raccontarlo con la macchina fotografica o con la penna. Per questo scrivo, da sempre: lo facevo da ragazzino (i miei primi “articoli” risalgono a quando ero ancora scolaro e dei giornalisti de L’Ora mi chiesero di raccontare qualcosa). Che si tratti di un libro, uno studio di settore o un articolo, raramente mi limito a riportare una notizia: preferisco scavare a fondo e cercare, supportato da numeri e fatti, quello che c’è dietro. Poi, raccontarlo.

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