Il 17 maggio 1990 l’omosessualità fu rimossa dalla lista delle malattie mentali dall’Organizzazione mondiale della Sanità, per questo ogni anno, dal 2004, si celebra questo giorno.
L’obiettivo è promuovere la prevenzione del fenomeno dell’omofobia, della bifobia e della transfobia.
Ma quest’anno, il 17 maggio occorre in un clima di grande sfida.
Con la pandemia si rischia un passo indietro. L’isolamento e la convivenza forzata da Covid-19, hanno visto aumentare gli episodi di discriminazione e violenza di questa natura nel contesto familiare.
E’ cresciuta quindi la vulnerabilità delle persone LGBTI, spesso esposti fin dalla prima giovinezza, a derisione, intimidazioni, discriminazioni e perfino a violenze, “semplicemente per chi sono o per chi amano.” Molte persone LGBTI, oltre alla preoccupazione del virus, che accomuna tutti, stanno sperimentando nuovi ostacoli quando cercano assistenza sanitaria. “Ci sono segnalazioni di direttive del Covid-19 utilizzate in modo improprio dalla polizia per colpire persone e organizzazioni LGBTI” afferma il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres. Addirittura “in alcuni luoghi vengono trattati come capri espiatori per la diffusione del virus” aggiunge.
In un momento come questo, le alleanze per la solidarietà dovrebbero essere il tema centrale. Bisognerebbe sostenersi gli uni con gli altri, perché la cosa più importante è la salvaguardia della vita. E invece, questo si perde di vista. Com’è possibile che anziché progredire, il mondo retroceda? Combattere l’omotransfobia è segno di civiltà. E’ una questione di diritti umani. Tutte le persone hanno gli stessi diritti e non possiamo più tollerare la violenza e la discriminazione. Ognuno dovrebbe svolgere un ruolo di responsabilità ed impegnarsi attivamente per combatterli. A chi piacerebbe vivere in uno stato di continua intimidazione e insicurezza? Non è questo il momento per alimentare sentimenti di rabbia e odio verso le minoranze, c’è un bene superiore che va protetto e difeso: la vita. “Bisogna rompere il silenzio che circonda la discriminazione”, afferma Michelle Bachelet, l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani.

A questo proposito, l’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) lancia la sua campagna di speranza, affinché ognuno possa dare segno di civiltà, isolando ogni sentimento pregiudizievole e discriminatorio nei confronti delle persone con una diversa tendenza sessuale. Attraverso i social si diffonde l’iniziativa con l’hashtag #questionedidiritti.
Ecco dunque che il Segretario António Guterres sottolinea che “le Nazioni Unite continueranno ad evidenziare queste ingiustizie, così come le altre”, e continueranno ad impegnarsi nella lotta per le pari opportunità, che con il manifestarsi della pandemia, appaiono sempre più necessarie.
Pensiamo a parole quali libertà, amore e amicizia. Sentimenti come questi, uniti al senso di appartenenza alla propria comunità, sono indispensabili per il proprio benessere, e a maggior ragione per le persone e i gruppi più fragili. Il senso di appartenenza è legato al senso di protezione, che in un momento instabile e incerto come quello che stiamo vivendo, è un requisito essenziale per far fronte alla crisi. Questo è il momento per diffondere coraggio e sostengono, seppur in modo simbolico.
Fu dopo un Primo Novecento drammatico, che si iniziò a parlare di diritti umani, proprio grazie alle difficoltà e alle ingiustizie che il mondo dovette affrontare. Poiché questa pandemia è un’altra situazione dolorosa, che coinvolge tutto il mondo, potrebbe rivelarsi una nuova occasione per evolvere i temi in materia di tali diritti e pensare al modo in cui ciascuno di noi può contribuire a creare una società migliore.
Non dimentichiamo che libertà e uguaglianza, vita e sicurezza sono diritti umani di prima generazione nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, e che dal 1966 sono stati tradotti in forma vincolante, costitutiva.