Un attentato alla salute fisica e mentale di tante bambine. Bambine come noi, come le nostre sorelle, come le nostre madri, come le nostre figlie. Bambine che sono costrette ad abbandonare la spensieratezza dell’infanzia per rannicchiarsi dentro un trauma che le avvolgerà per tutta la vita.
La mutilazione genitale femminile è la violazione di un diritto delle donne, di un diritto dell’uomo. Lo sa bene Emma Bonino, protagonista “della prima ora” nella battaglia contro questa pratica crudele e fondatrice dell’ONG ‘Non c’è pace senza giustizia’. Amal Clooney, attivista in ambito di diritti umani, ci ricorda che “la cosa peggiore che le donne possano fare è non battersi l’ una per l’altra” ed Emma Bonino ha dedicato la sua vita alle altre donne, lottando per la Resolution alle Nazioni Unite che bandisse questa tortura definitivamente.
Ieri, che era la giornata in cui ci uniamo al grido di dolore di tante bambine in tutto il mondo, UNFPA, l’agenzia per la salute sessuale e riproduttiva delle Nazioni Unite, ha organizzato al Palazzo di Vetro dell’ONU l’ evento ed esibizione interattiva “A piece of me” – un pezzo di me. In questa occasione, le Nazioni Unite hanno voluto sensibilizzare le persone e diffondere maggior consapevolezza rispetto alla dolorosa pratica della mutilazione genitale femminile, spesso riportata con l’acronimo FGM.
Nonostante i progressi degli ultimi 30 anni, UNFPA riporta ancora numeri spaventosi: 200 milioni di ragazze e donne che vivono oggi sul nostro stesso pianeta hanno subito mutilazioni genitali femminili, e 68 milioni di ragazze e bambine sono a rischio tortura entro il 2030. Si, perchè di tortura si tratta. Una tortura fisica, psicologica e sociale con conseguenze devastanti e permanenti.
Ragioni culturali, religiose, ma anche ragioni sessuali, sociologiche e igieniche per quelle società in cui la sessualità femminile è vista come portatrice di malattie ed infezioni. Svariati motivi sono motori di questa pratica disumana, ma di sicuro tutti hanno un comune denominatore: la disuguaglianza di genere.
Nella dichiarazione congiunta rilasciata in occasione della giornata internazionale contro la mutilazione genitale femminile dall’Executive Director di UN-Women Phumzile Mlambo-Ngcuka, dall’ Executive Director dell’UNFPA Dr. Natalia Kanem, dall’ Executive Director dell’UNICEF Henrietta Fore e dal Direttore Generale del WHO Dr. Tedros Adhanom Ghebreyesus, un appello speciale va ai giovani che, con la loro energia, possano coinvolgere i loro coetanei, le loro famiglie, le loro comunità e governi perché questa azione violenta sulle donne giunga ad una fine definitiva, come promesso dai Sustainable Development Goals stabiliti per il 2030.
Oggi, le agenzie delle Nazioni Unite convergono nel motto “Unleash youth power” – scateniamo il potere dei giovani. La gioventù rappresenta ancora terreno fertile e di speranza quando si sogna un mondo più giusto. Questa visione comporta il coinvolgimento dei giovani nella progettazione ed implementazione di piani d’azione nazionali, costruzione di legami con organizzazioni guidate da giovani e connessioni che lavorino insieme per eliminare le mutilazioni genitali femminili riconoscendole come una forma di violenza contro le donne. Le Nazioni Unite passano la palla ai giovani, incoraggiandoli a guidare campagne che sfidino le norme sociali ed i miti, e che coinvolgano i ragazzi e gli uomini come alleati.
La fine della mutilazione genitale femminile, non è però un obiettivo che i giovani possono raggiungere da soli, né un atto che si può considerare isolato rispetto ad altre forme di violenza contro le donne o disuguaglianza di genere. C’è un urgente bisogno di forte azione politica.
Ora è il momento di fare di più, di fare meglio, di fare più veloce. Ora è il momento di concretizzare l’impegno politico per terminare questa forma di tortura, verso il 2030, verso le promesse fatte alle donne.