“In fin dei conti, vogliamo tutti le stesse cose nella vita: buona salute, un lavoro decente, la libertà di inseguire le opportunità per le nostre famiglie e per noi stessi. E poiché molte persone sentono di non avere tutto questo in Africa, allora arrivano in Europa”.
Latitudini diverse, aspirazioni simili, o quasi. A parlare è Aziz, originario del Senegal, uno fra i 1.970 migranti intervistati dall’UNDP: voci selezionate nell’ambito del report Scaling Fences: Voices of Irregular African Migrants to Europe, appena pubblicato dal programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo.
Un rapporto fondamentale per risalire alle cause che muovono masse di donne, uomini e minori lungo le rotte irregolari per il Vecchio Continente, e che giunge anche a conclusioni affatto scontate su un fenomeno dalla portata epocale.
Arrivano da 39 Paesi africani e vivono in 13 nazioni europee, i migranti protagonisti dello studio, che mette subito in luce un dato su cui riflettere: ben il 93 percento della totalità delle persone intervistate (nessuna di queste in cerca di asilo o protezione) ha sperimentato pericoli durante il viaggio, ma soltanto il 2 percento ha dichiarato che una maggiore consapevolezza dei rischi connessi al tragitto lo avrebbe effettivamente fatto desistere dal proposito di lasciare casa.
Che cosa spinge, dunque, queste persone a mettersi nelle mani di trafficanti di esseri umani e a porsi in situazioni che le rendono drammaticamente vulnerabili pur di attraversare le frontiere?
I motivi economici, strettamente legati all’auto-realizzazione, sono certamente tra i principali dietro alla scelta di intraprendere un viaggio illegalmente. Tuttavia, non sono quasi mai i soli. Sebbene, infatti, l’81 percento degli intervistati abbia indicato l’opzione “lavoro/mandare soldi a casa” come motivazione, appena l’1 percento ha indicato l’aspetto economico come unica ragione della partenza. Ed è proprio su questa scelta multifattoriale e sulle diverse casistiche analizzate, sia in patria, sia in terra d’arrivo dei migranti, che si focalizza il rapporto UNDP.
Qualche dato di contesto. L’età media degli intervistati (riferita ai tempi del loro viaggio verso l’Europa) è di 24 anni, l’85 percento dei quali provenienti da contesti urbani: quasi il doppio rispetto alla media africana residente nelle città.
Almeno il 40 percento di loro ha indicato ragioni “legate alla famiglia/agli amici” o “ragioni personali/libertà”, dietro la decisione di raggiungere l’Europa. A intervenire, sono anche fattori legati alle dinamiche di genere nel proprio Paese. Molte donne, ad esempio, sono arrivate in Europa per ricongiungersi ai familiari, altre sono fuggite da matrimoni forzati, partner violenti, abusi o discriminazioni basate sul loro orientamento sessuale, oltre che da restrizioni alla libertà personale in contesti fortemente patriarcali.
E ancora, l’esclusione sociale e un senso di non appartenenza e di mancato coinvolgimento nel processo decisionale dei governi hanno il loro peso specifico nel fardello con il quale molti giovani africani salutano casa. Il 77 percento degli intervistati ha percepito che la sua voce era inascoltata o che il sistema politico non forniva loro possibilità di esercitare influenza sul governo del proprio Paese, mentre il 66 percento ha dichiarato di essersi sentito trattato ingiustamente del governo, in molti indicando opinioni politiche o questioni etniche tra le ragioni dietro a questa percezione. Motivazioni cui si somma spesso la scarsa qualità dei servizi essenziali forniti alle popolazioni africane.
“Per provare a ridurre il peso della migrazione, bisogna guardare alle cause. Sono le politiche imperialiste che spingono le persone a migrare. Le politiche di governo che trincerano le persone nella povertà. – dichiara Serge, uno dei migranti intervistati – Scuole che non esistono, sanità fallimentare e la corruzione, la repressione… Non dovremmo concentrarci troppo sullo scoraggiare le persone a non venire. Dovremmo invece guardare alle ragioni per cui vogliono farlo. La gente ha un sacco di motivi per emigrare”.
Non tutti i migranti irregolari intervistati dalle Nazioni Unite erano “poveri” in Africa, e in molti di loro posseggono alti livelli d’istruzione: circa il 58 per cento studiava o aveva un’occupazione poco prima di partire per l’Europa, con salari anche competitivi nei Paesi d’origine, sebbene circa la metà dei lavoratori abbia dichiarato che non riusciva comunque a guadagnare abbastanza per far fronte alle esigenze della famiglia. Un dato interessante che emerge dal report è, a tal proposito, quello che riguarda i nuclei familiari d’origine, composti in media da dieci membri: il doppio rispetto alla media africana.
Difficilmente le condizioni reali incontrano le aspettative dei migranti giunti nelle diverse nazioni europee – che sperimentano anche condizioni di mancata inclusione, sfruttamento, oltre che il limbo dell’attesa dei tanti agognati documenti. Tuttavia è proprio la vergogna di fallire nella loro “missione” di procurare il denaro per il sostentamento dei familiari e delle comunità d’origine, uno dei fattori chiave che spinge i migranti a rimanere in Europa, nonostante tutto.
Del resto, intorno al 53 percento degli africani intervistati ha ricevuto supporto per intraprendere il viaggio proprio da amici e famigliari, persone care cui il 78 percento invia soldi nei Paesi d’origine, una volta trovata un’occupazione nel Vecchio Continente. “È un investimento comune – spiega un 22enne senegalese oggi in Francia – Si vendono oro o animali per permettere a una persona di migrare. Soltanto una piccola percentuale può andarsene. La persona che parte ha una grande responsabilità nel provvedere alla famiglia a casa”.
E tuttavia, a fronte del 38 percento dei migranti che percepiscono un reddito in Europa, solo il 38 percento di questi guadagna pur non avendo i permessi per lavorare legalmente. Quando hanno la fortuna di trovare un’occupazione, sono le donne a riscattarsi maggiormente: se in Africa, infatti, il gap salariale di genere favorisce di gran lunga gli uomini (con un 26 percento in più in busta paga, rispetto alla popolazione femminile), in Europa le donne africane guadagnano l’11 percento in più della controparte maschile e sperimentano anche minori livelli di repressione e un maggiore benessere. Ma il rovescio della medaglia è dietro l’angolo: sono infatti le donne a essere maggiormente vittima di crimini, e in particolare, di violenza sessuale, lungo le rotte migratorie, e non solo.
Secondo Achim Steiner, amministratore del programma di sviluppo delle Nazioni Unite, “Scaling Fences evidenzia come la migrazione sia un riverbero del progresso dello sviluppo in Africa, un progresso che tuttavia è diseguale, non allineato e non abbastanza veloce per incontrare le aspirazioni delle persone. Le barriere alle opportunità, o la mancanza di queste, emergono dallo studio come fattori cruciali nei calcoli di queste giovani persone. Accendendo una luce sul perché le persone si spostano attraverso canali irregolari e ciò che sperimentano quando lo fanno, Scaling Fences contribuisce a un dibattito critico sugli obiettivi di sviluppo sostenibile e sui migliori approcci per gestirli”.
L’UNDP descrive il rapporto appena pubblicato come un forte richiamo a estendere le opportunità e le possibilità di scelta in Africa, per passare da un flusso incontrollato a una migrazione governata, in linea con il Patto mondiale per una migrazione sicura, ordinata e regolare (GCM).
“Ritengo possiamo essere d’accordo su una cosa: non fermeremo mai le migrazioni. È un fenomeno abbastanza normale. La migrazione è una sfida globale”, dichiara Babacar Cissé, di UNDP Costa d’Avorio: “Molti di quanti stanno lasciando il continente, dicono che lo stanno facendo per una vita migliore”. A fargli eco è Alexander Ahrens, sindaco di Bautzen, Germania, intervistato dall’UNDP: “L’unica possibilità legale per venire in Germania per un rifugiato o un migrante è quella di cercare asilo. Anche se il 90 percento di loro sa che non ha motivo per chiedere asilo, nondimeno cerca di arrivare per accedere a una qualsiasi forma di prospettiva”.
Prospettive che, come emerge chiaramente dal rapporto, fanno i conti una realtà talvolta dura, durissima. E che, in molti casi – specie tra i giovanissimi – contemplano anche un ritorno nei Paesi d’origine, chissà quando, chissà come. “L’Europa non è ciò che mi aspettavo. È afflitta da tante sfide sociali. Ma ci sono anche opportunità – commenta Aliou, che dalla Guinea è approdato nel Vecchio Continente con tante aspirazioni – Ho appena concluso un corso di formazione professionale. Parlo spagnolo e voglio studiare scienze politiche. Il mio obiettivo è tornare a casa e impegnarmi nel cambiare le condizioni lì, cosicché altri giovani non rischino o perdano la vita in viaggio”.