Le Nazioni Unite stanno vivendo la “peggiore crisi di liquidità” da oltre un decennio a questa parte. L’allarme è stato lanciato da Catherine Pollard, Under-Secretary-General for Management Strategy, Policy and Compliance, nel corso di una conferenza stampa tenutasi venerdì al Palazzo di Vetro, ma le sirene erano risuonate già qualche giorno prima, quando il Segretario Generale dell’Organizzazione, António Guterres, aveva inviato una lettera agli Stati membri sulla crisi che rischia di lasciare l’ONU a secco di risorse.

Non è raro, per il tempio della diplomazia e della cooperazione internazionale, affrontare problemi di tipo finanziario, e la stessa elezione di Donald Trump a capo del Paese che è da sempre il più generoso contributore ha animato il dibattito sulla necessità di snellire l’organizzazione, anche in senso di gestione economica. Eppure, la crisi di quest’anno è dichiaratamente molto più seria delle precedenti. Una crisi che, ha sottolineato Pollard, è da descriversi come “di liquidità”, più che “di bilancio” in generale, ma che rischia di compromettere il regolare funzionamento dell’organizzazione. Il motivo è che il suo stato di salute a livello finanziario dipende dal fatto che gli Stati membri rispettino gli obblighi di contribuzione economica, per quel che riguarda il “regular budget” (il cosiddetto “bilancio ordinario”), “in modo pieno e puntuale”.
In questo senso, ogni anno la situazione diventa più difficile. Il deficit si ripresenta puntualmente all’inizio dell’autunno, ma ora, per il secondo anno consecutivo, il Palazzo di Vetro ha esaurito tutta la liquidità che riguarda il suo bilancio ordinario nonostante le misure restrittive messe in atto dall’inizio del 2019, e che d’ora in poi si faranno più pesanti. Misure che sono state elencate, anche, in un documento interno, ottenuto dalla Voce di New York, firmato dal Segretario Generale e diretto a tutti i dipartimenti, gli uffici, le commissioni regionali, gli uffici distaccati dalla sede principale e le missioni politiche speciali.
Si parla di una limitazione dei viaggi e delle missioni ufficiali alle “attività più essenziali”; della riduzione di servizi come interpretariato, sicurezza, tecnologia informatica; della sospensione di traduzioni e pubblicazione di trattati; del posticipo dell’acquisto di beni e servizi; della cancellazione di eventi e ricevimenti da tenersi oltre l’orario di chiusura; dell’implementazione di strategie di “risparmio energetico” (come la riduzione di riscaldamento e aria condizionata, la sospensione di ascensori e scale mobili e del funzionamento della fontana principale). I manager, inoltre, sono invitati a valutare l’adozione di ulteriori limiti di spesa, tra cui, ad esempio, il posticipo di meeting e conferenze e la riduzione di consulenze esterne e straordinari. Non solo: misure già implementate, come il limite posto alle nuove assunzioni, vengono confermate anche per l’ultimo quarto dell’anno 2019.
I dati, in effetti, sono preoccupanti. Lo lascia intendere anche la presentazione di Catherine Pollard fornita alla Quinta Commissione dell’ONU, che si occupa degli aspetti amministrativi e di bilancio. Al 9 ottobre 2019, il deficit di liquidità per quel che riguarda il budget ordinario ha raggiunto il picco di 386 milioni di dollari, e ha visto l’esaurimento dei fondi provenienti dal Working Capital Fund (cioè l’organismo preposto a fornire anticipi per lo stanziamento del bilancio, in attesa della ricezione dei contributi degli Stati, per l’ammontare di 150 milioni di dollari), e dallo Special Account (che raccoglie i contributi volontari, per l’ammontare di 203 milioni di dollari).

E se lo scorso anno, alla fine di settembre, 141 Stati membri avevano già versato i propri contributi, al 4 ottobre 2019 solo 128 sono in regola. 65, a quella data, non hanno ancora versato la propria parte. E anche utilizzando i 145 milioni di dollari avanzati dal pacchetto per le missioni di peacekeeping, le Nazioni Unite hanno a malapena liquidità per pagare le spese di ottobre. E per rimettere in riga il bilancio, l’Organizzazione dovrebbe riuscire a ricevere 808 milioni di dollari entro l’ultimo quarto del 2019.
Secondo quanto riportato dalla Reuters, gli Stati Uniti – il maggiore contributore dell’ONU – devono ancora liquidare 674 milioni di dollari per il 2019 e 381 milioni di dollari per i precedenti bilanci ordinari. Ma tra i principali “ritardatari” figurano anche il Brasile, l’Iran, Israele, il Messico, l’Arabia Saudita, la Corea del Sud e l’Uruguay.

Nell’ambiente diplomatico, tuttavia, si sussurra che non sia tutta colpa dei ritardi e delle inadempienze degli Stati membri. Dubbi e perplessità, infatti, serpeggiano per i corridoi del Palazzo di Vetro su come l’Organizzazione gestisce le proprie spese e il proprio personale. Qualcuno, ad esempio, si è lamentato per le sacche di inefficienza che l’ONU mantiene da anni – e che quindi il Segretario Guterres ha ereditato dalle precedenti gestioni –, e in particolare per il numero di funzionari stipendiati chiamati ad assistere ai meeting e a redigere i verbali. Uno spreco di risorse che, a maggior ragione alla luce delle attuali difficoltà finanziarie, si potrebbe evitare?