Il risultato dello studio lascia a bocca aperta: nell’arco di tempo che va dal 1990 al 2017 il numero di decessi dovuti ad omicidi commessi con finalità criminali ha sorpassato la quantità di morti provocata da conflitti bellici.
Le mafie internazionali uccidono più di eserciti e milizie.
Questi e altri dati sono emersi dall’analisi, realizzata dall’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di criminalità e traffico di stupefacenti (UNODC), e che copre un periodo di ben ventisette anni, includendo i dati statistici di oltre 200 paesi sparsi per il globo compilati sia dalle forze di polizia che dalle strutture sanitarie locali chiamate a rispondere a questi episodi di violenza.
La ricerca è stata presentata al Palazzo di Vetro dell’ONU dalla responsabile del dipartimento statistiche e studi dell’UNODC Angela Me, fiancheggiata sul podio dalla rappresentante della missione italiana alle Nazioni Unite, Mariangela Zappia.
L’ambasciatrice Zappia ha aperto l’incontro citando l’esperienza dell’Italia il cui nome è tristemente associato alla criminalità organizzata ma che, negli ultimi trent’anni ha saputo ridurre l’incidenza degli omicidi sul suo territorio al venti percento rispetto a quella che affliggeva il paese alla fine degli anni Ottanta.
La rilevazione statistica è stata, secondo la Zappia, uno degli strumenti principali utilizzati dalle forze dell’ordine per la compilazione di banche dati e per la coordinazione sia a livello nazionale che europeo nella lotta alla criminalità organizzata.
L’ambasciatrice ha anche voluto mettere in evidenza come le donne continuino a rappresentare una vasta percentuale delle vittime della violenza globale e i passi avanti compiuti dall’Italia anche in questo campo. Investimenti realizzati negli ultimi anni hanno consentito, stando a quanto dichiarato dalla Zappia, alle strutture sanitarie, giudiziarie e di sostegno sociale di identificare i segni premonitori di questi episodi; prevenire dove possibile, e sanzionare i crimini commessi con la massima severità.
Dopo le note introduttive dell’ambasciatrice, la parola è passata ad Angela Me che ha offerto una panoramica dello studio.
Le statistiche mostrano un’interessante concentrazione geografica del numero di omicidi perpetrati nei vari continenti, con le Americhe al primo posto della violenza globale, seguite, a breve distanza da Africa e Asia.
Più “tranquilla l’Europa che, a dispetto della sua alta densità di popolazione, è afflitta da un numero molto minore di crimini violenti.
A rendere ancora più pronunciate le differenze continentali, si aggiunge il fatto che non solo le Americhe detengono il triste primato mondiale della violenza criminale ma il numero di omicidi nel Nord e Sud America è in continuo aumento.
Situazione opposta invece per l’Europa che, oltre a vantare un numero molto inferiore di delitti, può compiacersi ulteriormente del fatto che questi episodi sono in costante diminuzione.
L’analisi inoltre, è estremamente dettagliata in quanto offre una lettura approfondita di questa mappa della violenza non solo in termini di incidenza continentale ma anche nazionale e regionale.

Apprendiamo in questo modo che, contrariamente a quanto accadeva fino a qualche anno fa, l’America rurale è attualmente molto più pericolosa delle sue aree urbane e, in particolare, che la maggior parte degli episodi di violenza si verificano in zone di frontiera, molto probabilmente in relazione ad attività illegali legate al traffico di stupefacenti e di clandestini.
Altri passaggi molto interessanti sono quelli che mostrano che, storicamente, l’Italia è stato uno dei paesi più violenti dell’Europa occidentale (pagina 27 della sintesi). Che nazioni isolane con una storia simile come Singapore e Giamaica abbiano avuto, fino alla metà del diciannovesimo secolo, esperienze parallele in termini di violenza criminale per poi divergere radicalmente grazie a diversi livelli di sviluppo di istruzione, assistenza sanitaria e aspettativa di vita conseguiti in tempi più recenti.
Che, prevedibilmente, la maggior parte degli omicidi nel mondo viene commesso da uomini nella fascia di eta’ compresa tra i quindici e i ventinove anni. E che la violenza omicida risulta endemica in quei paesi con una maggiore disponibilità di armi da fuoco. Insomma, un vero e proprio tesoro di informazioni che dovrà ora essere utilizzato per concentrare nelle aree “calde” del mondo l’azione di repressione e di prevenzione da parte delle forze dell’ordine e della politica in modo da replicare i successi di alcuni paesi in altre zone ad alto rischio.