“Non sono Cassandra, ma la violenza nelle periferie di Tripoli è soltanto l’inizio di una lunga e sanguinosa guerra nelle sponde sud del Mediterraneo, che minaccia la sicurezza dei principali vicini della Libia e della più ampia regione mediterranea”. Con queste parole Ghassan Salame, inviato speciale ONU in Libia, si è rivolto al Consiglio di Sicurezza, partecipando a una riunione sulla complicata situazione nel Paese nordafricano. Parole dure, che sembrano lanciare un grido di allarme a una comunità internazionale che, da quando il 4 aprile il generale Khalifa Haftar ha lanciato la sua offensiva verso Tripoli mandando a monte il processo di pace sotto l’egida delle Nazioni Unite, ha mostrato soltanto immobilismo e divisione. E il senso ultimo dell’intervento di Salame, in effetti, è proprio questo: non c’è più tempo per le esitazioni. La situazione umanitaria si aggrava di ora in ora: l’ultimo bollettino di guerra riporta 460 morti, di cui 29 civili; più di 2400 feriti, la maggior parte dei quali civili; più di 75mila persone rimaste senza casa, tutti civili; e oltre 100mila uomini, donne e bambini rimasti intrappolati nelle zone più pericolose, dove il conflitto imperversa.
Salame ha esplicitato l’amarezza che prova nel constatare come l’ultima scintilla di questo interminabile conflitto sia stata rinfocolata a pochi giorni dalla conferenza di Gadames, che avrebbe dovuto coinvolgere tutte le parti libiche e dare inizio a una roadmap per le elezioni. Solo un mese prima, aveva fatto ben sperare l’incontro tra Fayez al Sarraj e Haftar ad Abu Dhabi, “dove era emersa la reale possibilità di rimpiazzare il Governo di Unità Nazionale e l’esecutivo parallelo, e creare un governo nazionale inclusivo e unitario, che avrebbe condotto il Paese attraverso il processo elettorale”. E invece, oggi assistiamo a un nuovo “vuoto di sicurezza”, peggiorato dal ritiro di molti uomini di Haftar dal Sud del Paese. Un vuoto, ha denunciato Salame, che Daes e Al Qaeda stanno già riempiendo. Finora, la parte meridionale della Libia ha visto ben 4 attacchi terroristici attribuibili a queste organizzazioni.
“Sono sconvolto dall’apparente indifferenza per la dovuta protezione del personale che si occupa di garantire cure mediche di prima necessità, e ricordo che gli attacchi contro il presonale medico costituiscono una seria violazione della legge umanitaria internazionale”, ha detto Salame. L’inviato speciale ha anche espresso preoccupazione per l’aumento di casi di rapimento, scomparse e arresti arbitrari (anche di giornalisti) dall’inizio del nuovo conflitto, e per l’uso distorto dei social media come vera e propria arma di guerra.
Altre “vittime” del conflitto, le più comuni infrastrutture che sorreggono il Paese, come acqua ed elettricità. Le forniture idriche dirette nella capitale e in tutta la parte nord-occidentale del Paese sono state utilizzate, anch’esse, come arma di guerra dai gruppi armati, che hanno bloccato quelle provenienti dal Grande Fiume Artificiale per estorcerne le concessioni. Una mossa che ha messo a rischio migliaia di persone e che, ha sottolineato Salame, potrebbe configurarsi come crimine di guerra. “Ci sono indizi secondo cui la branca orientale della National Oil Company stia nuovamente cercando di esportare petrolio in violazione al regime di sanzioni”, ha poi denunciato Salame. L’inviato speciale del Segretario Generale in Libia ha ribadito che “non c’è soluzione militare per la Libia. Non è un cliché, è un fatto, ed è tempo che coloro che hanno alimentato questa illusione aprano gli occhi e si adattino a questa realtà”. Quindi, ha rivolto un appello agli Stati membri: “I libici hanno bisogno che la comunità internazionale, invece che fare da specchio che amplifica le loro divisioni, lavori all’unisono per mitigare ed alleviare queste divisioni”.
SRSG: I therefore request this esteemed body to take up its responsibility to urge the silencing of the guns and for the warring parties to engage with the Mission to ensure a full and comprehensive cessation of hostilities and a return an inclusive UN-led political process. pic.twitter.com/D5alIJLHex
— UNSMIL (@UNSMILibya) May 21, 2019
Un intervento duro, volto a inchiodare alle proprie responsabilità il Consiglio di Sicurezza, che fino ad oggi, al di là di un press statement che chiedeva un cessate il fuoco, non è riuscito a intervenire attivamente ed efficacemente sulla questione. I nostri lettori ricorderanno che, a fine aprile, la bozza di risoluzione “anti-Haftar” della Gran Bretagna si è arenata davanti alla ferma opposizione di Russia e Stati Uniti, segnando un repentino cambio di direzione dell’amministrazione Trump nella questione libica.
Altra questione fondamentale, le tante violazioni, da entrambe le parti, dell’embargo sulle armi che grava sul Paese: “Senza un solido meccanismo di applicazione, l’embargo in Libia diventerà uno scherzo cinico”, ha avvertito Salame. Tra i principali accusati di continuare a fornire armi ad Haftar, gli Emirati Arabi Uniti, mentre l’Egitto continuerebbe ad assicurare supporto militare all’uomo forte della Cirenaica. Non solo: le forze di Sarraj hanno di recente dichiarato di aver ricevuto una fornitura di armi straniere, alcune settimane dopo aver annunciato il supporto militare della Turchia nel rispondere all’offensiva di Haftar. Dal canto suo, il generale nemico di Sarraj ha minacciato di attaccare qualsiasi nave turca che attracchi nella Libia occidentale per rifornire di armi il Governo di Unità Nazionale.
Durante il meeting al Palazzo di Vetro – a cui ha partecipato anche il Commissario per la Pace e la Sicurezza dell’Unione Africana Smaïl Chergui in videoconferenza e l’ambasciatore tedesco Jürgen Schulz, che presiede la Libya Sanctions Committee – si è inoltre parlato del caso di Moncef Kartas, membro del Panel di esperti che supporta la Commissione sulle Sanzioni, e detenuto dallo scorso 26 marzo dalle autorità tunisine perché accusato di spionaggio. Proprio in queste ore, diverse testate hanno riportato la notizia del suo rilascio, notizia però smentita da fonti giornalistiche in Nord Africa.
UN expert Moncef Kartas is not out of prison yet despite the news being spread by AFP #Kartas #Libya
— Mirco Keilberth (@MircoKeilberth) 21 maggio 2019
“Una lunga guerra civile in Libia non è una prospettiva inevitabile”, ha detto Salame. “Ma potrebbe avere luogo per il volere di alcune parti, e l’inazione di altre”, ha puntualizzato. Ma il punto è proprio questo: i membri del Consiglio di Sicurezza sembrano essere paralizzati dalle divisioni e dai contrapposti interessi di diversi Stati nel Paese nordafricano. Ne abbiamo già parlato più volte: tra i tradizionali sponsor di Haftar, Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Quanto alla Francia, in passato non ha disdegnato di garantirgli supporto, e, nel corso delle ultime settimane, ha mantenuto una posizione a tratti ambigua. In un’intervista rilasciata a Le Figaro, il ministro degli Esteri di Parigi Jean-Yves Le Drian aveva infatti riconosciuto il ruolo cruciale di Haftar nel “combattere il terrorismo”, ma, alla successiva minaccia di Sarraj di bloccare le concessioni a diverse compagnie petrolifere straniere, tra cui la francese Total, l’ambasciatore francese all’ONU aveva esplicitato il sostegno del nostro vicino d’oltralpe al Governo d’Unità Nazionale di Sarraj. A questo quadro, si aggiunga la telefonata intercorsa il 19 aprile tra Donald Trump e l’uomo forte della Cirenaica, che sembra abbia avuto il ruolo di esplicitare un cambio di posizione da parte della stessa amministrazione a stelle e a strisce. Non solo: secondo Politico, l’Esercito Nazionale Libico di Haftar avrebbe assunto una società di lobbying a Washington: la scelta sarebbe caduta su Stephen Payne e Brian Ettinger della Linden Government Solutions, che lavoreranno alla “costruzione di una coalizione internazionale” e si occuperanno di pubbliche relazioni, per un contratto di un anno del valore di 2 milioni di dollari.
Difficile, insomma, leggere tra le righe di quelle dichiarazioni di “supporto incondizionato” al lavoro di Salame, puntualmente giunte dai membri del Consiglio di Sicurezza intervenuti dopo i briefing. Un supporto espresso, tra gli altri, proprio dalla Francia, dalla Russia e dagli Stati Uniti, ma che lascia alcune domande senza risposta. Perché la linea tracciata da Salame era chiara: un processo politico che avrebbe dovuto sì portare a nuove elezioni, e dunque ad un nuovo governo unitario, ma anche prendere le mosse da una rinnovata stabilità politica nella Capitale, e dalla tenuta del Governo di Unità Nazionale sostenuto dall’ONU. Autorità contro cui Haftar ha imbracciato le armi, portando alla disintegrazione degli sforzi diplomatici dello stesso Salame.