All’alba della settantesima giornata dei diritti universali dell’umanità, celebrata, come ogni anno, proprio questo 10 di Dicembre, le Nazioni Unite si sono fatte trovare, oltre che in relativa festa, abitualmente occupate nel solito lavoro di risoluzione. Tra le tante attività odierne, spicca però un pannello, tenuto dalla World Commission on Environmental Law (la commissione globale sulle leggi ambientali), mirato ad analizzare il nuovo report del Segretario Generale Guterres, uscito lo scorso 3 Dicembre.
La relazione in questione, intitolata in italiano “I buchi nella legge ambientale internazionale e negli strumenti annessi: verso un patto globale per l’ambiente” (in inglese, “Gaps in international environmental law and environment-related instruments: towards a global pact for the environment”), si aggiunge ad un crescente corpo di relazioni e documenti ambientali che, nel 2018, si è ritagliato sempre più spazio all’interno del Palazzo di Vetro. La relazione in questione, però, non è un semplice rapporto, né un’ammonizione, né una chiamata alle armi. Bensì, si tratta di un’analisi completa del corpo legislativo internazionale che riguarda l’ambiente, che spinge verso lo stabilimento di un nuovo patto globale per la salvaguardia dell’ambiente.
Thank you for your question, @AidanRGallagher, and your commitment to @UNEnvironment. Climate change is the defining issue of our time and young people are stepping up to the challenge! #ClimateAction pic.twitter.com/UXQTTaVaDn
— António Guterres (@antonioguterres) December 5, 2018
“In primis”, legge il rapporto stesso, “non esiste una struttura normativa e globale che definisce le regole e i principi dell’applicazione generale della legislatura ambientale, nonostante ciò aiuterebbe nell’unificare l’approccio settoriale che si è adottato fino ad ora”. Inoltre, come racconta Guterres stesso nella relazione presentata all’assemblea generale, la legislazione ambientale internazionale è reattiva e frammentata: ciò che esiste di legislativo si basa, in primis, su un settore preciso. In secondo luogo, si basa sulla reazione a diversi fenomeni ambientali, invece che sulla a prevenzione. Ciò crea un sistema che, a livello nazionale si sgretola per via dell’inefficienza e incapacità finanziaria di alcuni stati, e a livello internazionale non regge per mancanza di principi ambientali uniformi e ben definiti.
Ad analizzarne i contenuti, nella giornata di lunedì, si è riunito un pannello di esperti composto da membri della commissione globale per la legge ambientale (la World Commission on Environmental Law), e del consiglio internazionale per la legge ambientale (l’international council of environmental law, ICEL). Yann Aguila, Roy Lee, John Cruden, Nicholas Robinson, e Claudia De Windt tutti docenti (o ex-docenti) di legislazione ambientale, e sono chiamati a vociare le proprie opinioni sul rapporto presentato dal Segretario Generale.
Durante le due ore di meeting, i cinque, parlando a nome di tutti i firmanti (oltre 70 gli esperti interpellati), nel sostenere a gonfie vele l’idea unitaria proposta da Guterres. “Il campo della legislazione ambientale è giovane, quando noi siamo nati, non c’era ancora”, dice Robinson, mediatore dei discorsi. Non è possibile però che, nonostante i grandi passi avanti fatti negli ultimi anni, “non esista ancora un corpo legislativo unificato che fornisca quantomeno un tipo di direzione, per l’azione sia privata che pubblica”, chiarisce invece Roy Lee.

Ciò che emerge, dunque, dal meeting di lunedì, è una spinta unanime verso questo futuro patto globale. “La forza di questo rapporto, e di quest’idea, sta nel riconoscere lo spessore della crisi ambientale del momento, e nel cogliere l’attimo per sviluppare l’affinità alla cooperazione internazionale”, dice De Windt. Dopo i primi agreement del 1972 a Stoccolma, fino ad arrivare a quelli del 2015 a Parigi, questo rapporto getta le basi concettuali per lo sviluppo di un nuovo, inclusivo patto, alla conferenza che si terrà nel 2019 a Nairobi.
Abbiamo avuto l’opportunità, sempre in vista delle conferenza del prossimo anno, di scambiare qualche parola con Yann Aguila, ex membro della corte suprema Francese, e docente di legge alla Ecole De Formation Professionelle Des Barreaux De La Cour D’Appel De Paris. “Un patto globale è non solo una priorità, bensì una necessità”, racconta ai nostri microfoni, “e siamo solo agli inizi di un qualcosa che si possa veramente chiamare legge ambientale internazionale”. Essendo un brillante veicolo che ci può portare verso nuove sponde del multilateralismo, crea le fondamenta per un tipo di cooperazione avvolgente, internazionale, e, sopratutto, non esclusivo. Il rapporto, in fatti, dichiara la necessità di sodi principi sulle quali si possono gettare le fondamenta non solo per l’azione politica e internazionale, bensì anche per quella privata e/o singola.
“I 26 articoli inseriti nella nostra proposta per un patto globale per ambiente”, racconta Aguila, “sono la base sia filosofica che legislativa per il futuro del pianeta, basta leggere i primi due articoli della proposta. Il primo esplicita il diritto di ogni individuo ad un ambiente ecologicamente sano. Il secondo, invece, esplicita la faccia opposta della medaglia: il dovere di ogni individuo di prendersi cura dell’ambiente”. Indubbiamente, ravanando tra i testi di altri trattati simili, questo dualismo filosofico sembra uscire per la prima volta proprio qui. “Deve partire da qui”, continua Aguila, “il nostro movimento. Deve partire dal cittadino, che si tiene responsabile dei propri diritti, ma che deve saper tenere un occhio attento anche sulle politiche che lo circondano. Ciò che vogliamo con questa proposta è che il cittadino si senta in una posizione nella quale, anche a livello legislativo, può riconoscere ed esplicitare le politiche ambientali malsane che lo circondando, sentendosi addosso un dovere sia privato che pubblico. Naturalmente, deve essere una spada a doppio taglio, nel senso che dall’altro lato della lama, gli organi politici devono mantenere gli stessi diritti, e sentire lo stesso dovere.”

La proposta, che, come ci racconta Yann Aguila, è ciò che nell’industria si definisce un “umbrella agreement”, un patto a ombrello. “La storia legislativa dell’ambiente è sempre stata estremamente settoriale, divisa tra clima, biodiversità, sostenibilità, e così via,” ci dice sorseggiando del caffè, “nessun patto internazionale è mai stato stretto in maniera tale da legare tutto ciò che a fare con il nostro ambiente sotto un unico testo legislativo: questo è quello che intendiamo fare con questa proposta. Vogliamo iniziare a compilare le legislazione internazionali per la salvaguardia dell’ambiente in un corpo solo, e questa è la via per iniziare.”
Guardando la proposta in sè, tutto ciò sembra effettivamente trovare riscontro. Il patto disegna le linee di massima degli approcci preventivi, integrativi, precauzionali, istruttivi, e innovativi. “Se guardiamo, ad esempio, l’articolo 12 e l’articolo 13, iniziamo a definire le prime vere e proprie fondamenta per lo standard internazionale sia dell’educazione del popolo, che della ricerca stessa, anche se solo in maniera relativamente astratta, per ora”. Prendendole come esempio, però, iniziano già a disegnare degli schemi precisi che una commissione può, in un futuro, verificare. “Anche questo, ovviamente, fa parte del patto,” continua Aguila, “una commissione che, come dice l’articolo 21, possa, qualora si dovesse effettivamente accettare questo patto, controllare la legislatura dei vari stati, e decidere quanto sia conforme con le basi concettuali fornite dai vari articoli del patto, in questo caso quelli riguardanti ricerca ed educazione.”
Oltre ai tecnicismi del caso, un’altra novità che troviamo all’interno della proposta, è una che, forse, alla presidenza Americana, potrebbe non piacere. “L’articolo 17, quello di non-regression, impedirebbe agli stati di ritirarsi dalle promesse fatte con la propria firma”, dice Aguila, “con questo intendiamo aggiungere un grado di contabilità verso gli stati, nonostante cambi di sentimento o smottamenti politici. Come già detto, questo è un patto che, in primis, è per il cittadino, una carta magna alla quale riferirsi nell’analisi personale ed in quella politica”. Naturalmente, ciò comporta un numero di ostacoli non indifferenti. “Certo, non sarà facile arrivare ad un patto firmato da tutti gli stati, ne sarà facile che il patto rimanga invariato”, dice sempre il legale francese, “esistono sempre conflitti d’interessi, ma con questa proposta filosofica, personale, e universale, ma dalle basi completamente legislative, possiamo fare il primo passo verso una struttura internazionale che possa, con del successo, salvaguardare il pianeta, almeno a livello legale.”
Dunque, gli esperti riunitisi al Palazzo di vetro non sembrano aver dubbi. Un nuovo patto globale, che potrebbe prendere forma definita tra qualche mese alla conferenza di Nairobi, promette nuovo spazio sia alla cooperazione internazionale, che all’attivismo ambientale, unendoli sotto un unico, fondamentale, insieme. Rimane, quindi, solo da vedere come agiranno i capi di stato, se, effettivamente, a Nairobi saranno presentati con questa sensata, necessaria proposta.