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All’ONU l’appello di Rondine: “Con i soldi per la difesa, educate i giovani alla pace”

Conversazione con il fondatore e presidente Franco Vaccari sulla missione dell’Ong e sulla campagna, giunta al Palazzo di Vetro, "Leaders for Peace”

Giulia PozzibyGiulia Pozzi
Time: 5 mins read

“Il concetto di nemico è un inganno”. Non usa giri di parole Franco Vaccari, psicologo fondatore e presidente di Rondine Cittadella della Pace, quando, con un accorato discorso, introduce al Palazzo di Vetro l’appello “Leaders for Peace” che l’organizzazione ha presentato alla comunità internazionale, nelle sue stanze più prestigiose, in occasione del Settantesimo anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani. Un appuntamento promosso dalla Missione Italiana all’ONU, nella convinzione che, ha affermato l’ambasciatrice Mariangela Zappia, “come ha di recente dichiarato il Segretario Generale, alla luce delle acute e prolungate crisi a cui assistiamo, è chiaro che la reazione alle crisi da sola non basta”. Al contrario, come evidenziato anche dalla risoluzione 2250 del Consiglio di Sicurezza, vi è necessità “di un approccio integrato”, incentrato sulla “rilevanza dei diritti umani”, per “la prevenzione dei conflitti e il consolidamento della pace”.

L’ambasciatrice Mariangela Zappia (UN Photo/Manuel Elias).

E come ha rilevato la stessa Rappresentante Permanente dell’Italia all’ONU, Rondine, in questo, può insegnare un metodo. Un metodo ultimamente anche studiato dal punto di vista scientifico, un metodo finalizzato alla messa a punto di soluzioni inclusive politico-diplomatiche, che passa attraverso l’educazione di giovani provenienti da aree di conflitto. Un percorso che insegna loro ad essere i leader, per la pace, di domani. Non a caso, Giorgio La Pira (uno degli ispiratori ideali, insieme a don Lorenzo Milani, dell’iniziativa) diceva che i giovani sono come le rondini, perché vanno verso la primavera.

Nei suoi 20 anni di storia, tanti giovani donne e uomini provenienti da oltre 25 Paesi del mondo hanno vissuto questa incredibile esperienza, nel piccolo e prezioso borgo il cui nome è tutto un programma, frazione di Arezzo scenograficamente incastonata su un’ansa del fiume Arno. Questi ragazzi, coraggiosi abbastanza – ha riconosciuto il fondatore Vaccari – da lasciare la loro casa e il loro popolo segnato dall’esperienza della guerra, nei due anni di formazione si trovano a dividere il banco con quello che il mondo aveva insegnato loro a considerare proprio nemico. E imparano a guardarsi semplicemente “come persone, depositarie di diritti inalienabili”, esperienza da cui nasce un dovere comune: farsi attori di cambiamento e promotori di pace. Leader, appunto. E dopo aver completato quel percorso di formazione, entrano a far parte del Rondine International Peace Lab, che oggi riunisce più di 200 nuovi leader in tutto il mondo, pronti ad applicare il metodo imparato nei vari contesti di conflitto. “Che cos’è il patriottismo per voi?”, ha chiesto alla platea, in apertura del suo intervento, Agharahim Poladov, presidente dell’associazione. “Sono più patriota se uccido un essere umano che mi è stato fatto percepire come mio nemico?”, ha proseguito, provocatoriamente. Per poi sottolineare: “Il diritto alla vita è essenziale, il diritto alla pace insostituibile”.

Un percorso, quello di Rondine, che ha già avuto riconoscimenti illustri: tre anni fa, il borgo aretino è stato infatti candidato a Premio Nobel per la Pace proprio in virtù dell’autorevole esperimento di pace che ospita tra i suoi confini, e in queste ore l’organizzazione ha avuto l’opportunità di lanciare un appello, dalla sede delle Nazioni Unite di New York, ai leader dei 193 Paesi rappresentati all’ONU. La richiesta è quella di assumersi un impegno concreto a favore dell’educazione di nuovi leader globali per la pace, e per la promozione di relazioni sociali, economiche e politiche pacifiche. Un obiettivo da perseguire anche integrando nei programmi scolastici una corretta educazione sui diritti umani, e adottando, possibilmente, il Metodo Rondine. Come simbolo ed emblema di tale impegno, Rondine ha chiesto agli Stati di attingere al proprio budget per la difesa per finanziare delle scholarship per formare i leader del futuro. 

L’appello dei giovani leader formati da Rondine.

Quando chiediamo a Franco Vaccari quale risposta globale si attenda a questo appello, lui sottolinea: “Credo che la comunità internazionale abbia innanzitutto bisogno di trovare l’anima”.  E spiega: “Le migliori intenzioni hanno bisogno dell’anima, ma le due cose, spesso, non vanno di pari passo. E quando giovani, dal basso, creano con coraggio queste situazioni, hanno bisogno delle istituzioni, se no resta puro volontariato”. L’appello, specifica Vaccari, durerà tre anni: “Oggi si inizia un cammino lungo, e abbiamo bisogno di tutti”. Il fondatore di Rondine ricorda ai nostri microfoni il primo ispiratore della sua attività, suo padre: “Era un generale dell’esercito, ma non era un militarista”, racconta. “Durante la Seconda Guerra Mondiale è stato prigioniero degli inglesi per sei anni, in India”. Un’esperienza terribile, attentamente filtrata, alle orecchie del Franco bambino, dalla delicatezza del suo genitore: “Mi ha sempre colpito perché mi ha fatto un racconto mite della prigionia. Gli inglesi erano coloro che lo tennero in prigione per sei anni, eppure ne ebbe sempre grande rispetto: ed era il rispetto e l’ammirazione che lui ha sempre nutrito per loro, nonostante tutto”. Del padre, il fondatore di Rondine ricorda “questa capacità di raccontare quell’esperienza in modo mite, a me che ero bambino”. E sintetizza: “Non mi ha mai passato il veleno della guerra, e di questo gli sono profondamente grato”.

La presenza di Rondine all’ONU in occasione del 70esimo anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani si deve al prestigioso invito arrivato dalla Missione Italiana, che da sempre, alle Nazioni Unite, si distingue per un’attenzione speciale alle battaglie legate alla difesa dei diritti umani. Nel frattempo, però, l’Italia è mancata all’appuntamento di Marrakech per la firma del Global Compact for Migration, e, di pari passo con una retorica fortemente divisiva che sembra aver profondamente attecchito nel Paese, il decreto sicurezza voluto da Matteo Salvini impedirà di fatto a tanti migranti sul nostro territorio di proseguire il proprio percorso di integrazione. Per sciogliere questa contraddizione, secondo Vaccari, “ci sarebbe bisogno del metodo Rondine. La conflittualità sociale e politica in ogni tempo conosce dei momenti storici in cui diventa più acuta”, ci spiega. “Quando questo accade, diventa molto pericolosa se non disponiamo dell’alfabeto dei conflitti, perché si cominciano a creare i nemici”. Quello, secondo il fondatore di Rondine, è il vero punto di caduta. “L’incontro, la dialettica, ma anche lo scontro forte, purché sia ben gestito, possono portare a soluzioni nuove”. Per Vaccari, “quello che succede in Italia e nel mondo è come i dolori del parto di una nuova società mondiale di cui nessuno conosce ancora il volto. Ora son dolori, ma poi la creatura sarà bellissima”.

In effetti, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stato il primo capo di Stato ad accogliere idealmente l’appello di Rondine. Dopo di lui, pochi giorni fa, anche Papa Francesco ha aderito all’iniziativa, con le parole: “Io, da parte mia, lo farò”. Come si comporteranno Governo e Parlamento italiano? “Intanto, siamo qui con il sostegno del ministero degli Esteri. Prossimamente, credo che incontreremo anche il presidente del Consiglio italiano. Al di là del nome che porta, un premier non può che dialogare con la concretezza portata avanti da questi giovani meravigliosi”. Vaccari, insomma, è ottimista: “Mi aspetto ci sia un bellissimo dialogo. Io poi sono sempre aperto alle buone sorprese”.

Ma qual è, insomma, la ricetta di Rondine per dare seguito ad una missione da cui nascono frutti concreti, ma in sé tanto ambiziosa? “Il nostro Metodo consiste nel far incontrare i nemici. E, così facendo, si scopre che di qua e di là dai muri non ci sono relazioni, ma solo veleno”. Odio senza conoscere, insomma. A cui Rondine pensa di rispondere favorendo l’incontro. “Il conflitto non va necessariamente evitato. Il punto”, sintetizza Vaccari, “è che il dolore e la sofferenza delle persone vanno ascoltati. Il dolore, quando viene comunicato, fa male a chi lo esprime e a chi lo ascolta. Fa la differenza poter disporre di un alfabeto del conflitto che sappia trasformarlo in qualcosa d’altro”.

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Giulia Pozzi

Giulia Pozzi

Classe 1989, lombarda, dopo la laurea magistrale in Filologia Moderna all'Università Cattolica di Milano si è specializzata alla Scuola di Giornalismo Lelio Basso di Roma e ha conseguito un master in Comunicazione e Media nelle Relazioni Internazionali presso la Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale (SIOI). Ha lavorato come giornalista a Roma occupandosi di politica e affari esteri. Per la Voce di New York, è stata corrispondente dalle Nazioni Unite a New York. Collabora anche con "7-Corriere della Sera", "L'Espresso", "Linkiesta.it". Considera la grande letteratura di ogni tempo il "rumore di fondo" di calviniana memoria, e la lente attraverso cui osservare la realtà.

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