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November 19, 2018
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No, i bambini non hanno ancora il giusto spazio nelle agende dei Governi

Oltre alla retorica della Giornata Mondiale del fanciullo, i problemi dell’infanzia non sembrano preoccupare la politica tutti gli altri giorni dell'anno

C.Alessandro MauceribyC.Alessandro Mauceri
No, i bambini non hanno ancora il giusto spazio nelle agende dei Governi

Festeggiamenti a Juba in occasione dell'Universal Children's Day (UN Photo/JC McIlwaine).

Time: 7 mins read

Nei giorni scorsi l’UNICEF ha lanciato un invito in occasione della Giornata mondiale del fanciullo che ricorre ogni anno il 20 novembre. Una richiesta rivolta a tutti per far comprendere ai governi di tutto il pianeta quali sono le reali necessità dei bambini (intesi in senso lato come minori sino al raggiungimento della maggiore età). È questo l’invito dell’UNICEF: “Mettere i  bambini nella propria agenda” (“PUT CHILDREN BACK ON THE AGENDA”). Un invito al quale hanno aderito moltissime persone e molti soci e club del Kiwanis International Distretto Italia S.Marino.

Da anni il Kiwanis International compie sforzi immani (basti pensare che in occasione del ONE K day che quest’anno è stato il 27 ottobre sono state realizzate iniziative per un milione di ore complessive e per un valore stimato pari a 17 milioni di dollari americani!).

Purtroppo, però, questo da solo non basta: dei problemi dei bambini si parla spesso, ma quasi sempre i dati riportati sono seguiti con preoccupante indifferenza. Forse perché si pensa che si tratti di fenomeni lontani o che non riguardano l’Italia o l’Europa. E invece non è così.

Nonostante quasi tutti i Paesi che avevano firmato la Convenzione di New York sui Diritti del Fanciullo (più di 190) abbiano provveduto a ratificarla (unica eccezione gli Stati Uniti d’America), in tutto il pianeta, la situazione dell’infanzia continua a destare grosse preoccupazioni, e non solo in Africa o in Asia o nelle regioni meno sviluppate dell’America Meridionale. Problemi dell’infanzia come quelli inseriti negli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, firmati da tutti i Paesi del mondo (Italia inclusa) ma ben lontani dall’aver ottenuto i risultati previsti (e per molti di questi è già evidente che alla scadenza prevista, il 2030, si dovrà parlare di fallimento). 

“Obiettivi” come eliminare la povertà. Nonostante il tentativo di nascondere il problema alzando la soglia di povertà assoluta (da 1,5 dollari al giorno a 1,9), le misure adottate per ridurre la povertà non hanno prodotto i risultati sperati. La povertà è ancora diffusa. Anche in Europa e in Italia. Se in alcuni Paesi le politiche dell’Unione Europea pare stiano producendo qualche risultato (è diminuito il numero delle persone a rischio povertà), in molti altri paesi, tra cui l’Italia (ma anche in Grecia, in Spagna, nei Paesi Bassi, a Cipro e in Estonia), la situazione peggiora. A confermarlo è il rapporto l’Eurostat: nel Bel Paese i poveri stanno aumentando (nel 2008 erano 15,082 milioni, nel 2017 sono diventati  17,407 milioni pari al  28,9% della popolazione nazionale). Un problema che colpisce prima di tutto proprio i bambini: in Italia sono 1,2 milioni i bambini e gli adolescenti in povertà assoluta. In Sicilia il 42% dei bambini e adolescenti vive in condizioni di povertà relativa. S pesso vivono in strade scarsamente illuminate e piene di sporcizia, non respirano aria pulita e sono sottoposti ad un elevato rischio di criminalità, un dato che sale al 17,5% nelle grandi aree urbane del meridione e delle isole. Molti dei 3,6 milioni di bambini e adolescenti nelle principali aree metropolitane del Paese vivono in “periferie” non solo dal punto di vista urbanistico anche dal punto di vista sociale: sono le cosiddette “periferie funzionali” (dati Save the Children). In Sicilia il 42% dei bambini e adolescenti vive in condizioni di povertà relativa.

A questa povertà se ne associa spesso un’altra, ugualmente grave: la povertà educativa. L’istruzione e l’educazione di base fanno parte anche loro dei SDGs. E anche in questo caso, se da un lato è pur vero che la piaga dell’educazione primaria si sta lentamente riducendo in molti paesi dell’Africa e dell’Asia, è altrettanto vero che la qualità di questa educazione spesso lascia molto a desiderare e che molti minori rimangono tagliati fuori da qualsiasi tipo di scolarizzazione sin dalla nascita (diversi Club Kiwanis stanno cercando di colmare questo gap aiutando centri in Africa – in Uganda ad esempio – a educare i bambini meno fortunati). Ancora una volta si tratta di problemi che toccano da vicino anche l’Italia e l’Europa: nel vecchio continente, sono molti i bambini ai quali viene negata la possibilità di costruirsi un futuro. Un problema che tocca da vicino anche il Bel Paese: secondo Tullio De Mauro, linguista nonché ex ministro della pubblica istruzione, meno di un terzo della popolazione italiana avrebbe i livelli di comprensione della scrittura e del calcolo necessari per orientarsi nella vita di una società moderna. Riferendosi all’indagine è chiamata PIAAC, Programme for International Assessment of Adult Competencies), che riporta per decine di paesi del mondo i livelli di alfabetizzazione in cinque gruppi, in Italia il 70% della popolazione si colloca sotto i due livelli più bassi. Talvolta, anche all’interno di una stessa città, emergono notevoli differenze  nell’acquisizione delle competenze scolastiche da parte dei minori. A Napoli, ad esempio, i 15-52enni senza diploma di scuola secondaria di primo grado sono il 2% al Vomero ma se ci si sposta a Scampia questa percentuale diventa del 20%. Anche nella capitale, nei quartieri dove risiedono le famiglie più benestanti, a nord di Roma, i laureati (più del 42%) sono 4 volte di più di quelli che vivono in periferia o nelle aree orientali della città (dove sono meno del 10%). Lo stesso avviene a Milano, dove a Pagano e Magenta-San Vittore (51,2%) i laureati sono 7 volte quelli di Quarto Oggiaro (7,6%). E a Palermo (il 2,3% a Malaspina-Palagonia e il 23% a Palazzo Reale-Monte di Pietà).

Povertà e livello di istruzione spesso sono  fortemente legati: in Italia (come nel resto del mondo), è difficile pretendere un elevato livello culturale quando c’è “fame”. Eppure anche “eliminare la fame nel mondo”, un altro degli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile delle NU rivela numeri impressionanti: secondo Save the Children, ogni giorno, nel mondo, sono 7.000 i bambini sotto i cinque anni che muoiono per cause legate alla malnutrizione. CINQUE OGNI MINUTO! Bambine e bambini che vivono in paesi colpiti da carestie e siccità, afflitti dalla povertà estrema o dilaniati da guerre e conflitti, e che non ricevono cibo adeguato, acqua pulita e cure mediche. E questo il vero problema per molti di loro: mentre a Ginevra e New York ci si trastulla sui dati statistici e si litiga per decisioni geopolitiche difficilmente realizzabili, per loro l’infanzia è il vero obiettivo mancato.

Ma se, da un lato, si stanno registrando piccoli miglioramenti sul tema della lotta alla fame, dall’altro, peggiorano i numeri legati al fenomeno opposto: l’obesità. Anche nei Paesi più ricchi del pianeta (come negli USA e in Europa). Da anni il Kiwanis International continua ripeterlo: la situazione sta peggiorando. Anche in Italia, dove in alcune regioni le percentuali stanno raggiungendo livelli preoccupanti. Secondo un’indagine promossa dal Ministero della Salute, in alcune città campione in Lombardia, Campania, Toscana, Emilia Romagna, Puglia e Calabria, oltre il 23% dei bambini è in sovrappeso e oltre il 13% è obeso. Dati impressionanti che evidenziano stili di vita sbagliati e troppo sedentarie la diffusione tra i bambini di abitudini alimentari errate. L’obesità infantile ormai è diventata un problema a livello globale e un fattore di rischio non trascurabile per diverse malattie croniche, con gravi ripercussioni in età adulta. Basti pensare che negli ultimi 40 anni il numero di bambini in età scolare obesi è più che decuplicato passando da 11 milioni a 124 milioni. Se a loro si aggiungono gli oltre 216 milioni di bambini sovrappeso ma non (ancora) obesi si comprende che si tratta di un problema di cui tutti i paesi dovrebbero prendersi seriamente.

E non sono solo questi i problemi dei bambini che andrebbero portati all’attenzione dei governi.

Solo raramente, quando si usa un cellulare o si indossa un capo di abbigliamento o si mangia un prodotto alimentare proveniente da Paesi lontani, si pensa ai minori che lavorano nelle miniere di coltan (minerale comunemente utilizzato proprio per la produzione delle batterie di molti cellulari) o allo sfruttamento minorile di molte multinazionali del tessile o e nel settore agricolo. Secondo l’UNICEF, nel mondo sono più di 150 milioni i bambini costretti a svolgere lavori che mettono a rischio la loro salute mentale e fisica e che li condannano ad una vita senza svago né istruzione. Di questi 76 milioni sono giovanissimi: hanno tra i 5 e gli 11 anni. E 73 milioni di loro sono costretti a compiere lavori pericolosi, come in miniera o trasportando pesi eccessivi (19 milioni di questi di età pari o inferiore a 12 anni). Se è pur vero che il fenomeno del lavoro minorile è concentrato soprattutto nelle aree più povere del pianeta, anche in questo caso non mancano casi di bambini lavoratori anche in molti paesi non così sottosviluppati.

Ma non basta. Un altro aspetto di cui non si parla mai abbastanza (e per il quale si fa ancora meno) è lo sfruttamento sessuale dei minori a fini commerciali: eppure è un problema che riguarda circa un milione di bambini.

E ancora. In molti Paesi africani o in alcune guerre di “pace” in medio oriente i bambini vengono usati come scudi umani. Altri vengono costretti ad imbracciare le armi e combattere in scontri tribali che non capiscono e non conoscono. Scontri che causano milioni di morti e un numero ancora maggiore di migranti che fuggono dal proprio territorio per spostarsi altrove. A volte senza varcare i confini nazionali; altre volte oltre frontiera. E molti di quelli nati e cresciuti spesso rimangono non registrati, “apolidi” nei campi per i rifugiati in Libano o in altri paesi.

Queste sono solo alcune delle mille sfaccettature che riguardano la vita dei bambini. Aspetti di cui da anni, singolarmente (i singoli Club o le Divisioni) o sinergicamente (a livello nazionale o internazionale) il Kiwanis International si occupa e per i quali spesso è riuscito a trovare risposte concrete. Problemi però che per essere completamente risolti richiederebbero l’aiuto di tutti e la condivisione di certe priorità. 

Purtroppo di molti aspetti legati all’infanzia si parla troppo poco e spesso i governi, finite le celebrazioni per la Giornata Mondiale del Fanciullo, continuano a fingere di non vedere qual’è la situazione di milioni di bambini sotto i loro occhi. Problemi che non si verificano solo un giorno il 20 novembre. E che hanno bisogno dell’attenzione di tutti tutti i giorni dell’anno. Per questo è importante “Mettere nella propria agenda” i problemi dei bambini.

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C.Alessandro Mauceri

C.Alessandro Mauceri

Sono nato a Palermo, città al centro del Mediterraneo, e la cultura mediterranea è da sempre parte di me. Amo viaggiare, esplorare la natura e capire il punto di vista della gente e il loro modus vivendi (anche quando è diverso dal mio). Quello che vedo, mi piace raccontarlo con la macchina fotografica o con la penna. Per questo scrivo, da sempre: lo facevo da ragazzino (i miei primi “articoli” risalgono a quando ero ancora scolaro e dei giornalisti de L’Ora mi chiesero di raccontare qualcosa). Che si tratti di un libro, uno studio di settore o un articolo, raramente mi limito a riportare una notizia: preferisco scavare a fondo e cercare, supportato da numeri e fatti, quello che c’è dietro. Poi, raccontarlo.

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