Il premier Giuseppe Conte, dopo due intense giornate di Assemblea Generale e incontri bilaterali, ha ormai lasciato New York, ma la delegazione italiana si trova in queste ore ancora al Palazzo di Vetro per partecipare agli ultimi eventi di alto livello strategici per il nostro Paese. All’indomani del discorso del presidente del Consiglio di fronte ai leader mondiali, abbiamo incontrato, proprio davanti alla “Sfera con sfera” di Arnoldo Pomodoro donata dall’Italia alle Nazioni Unite, il Sottosegretario di Stato al Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Manlio Di Stefano. Con lui abbiamo fatto il punto della finora ricca agenda italiana al Palazzo di Vetro, abbiamo parlato di multilateralismo e sovranità – entrambe parole chiave dell’intervento di Conte in Assemblea -, ma anche di migrazione e diritti, del decreto Salvini, di Iran e Libia.
Sottosegretario, un bilancio dell’Italia all’ONU per l’Assemblea Generale. Come è andata?
“Molto positivamente, credo. Gli incontri tenuti da me e dal ministro Moavero sono stati tutti di alto profilo e con un ottimo standing italiano su tutti i capitoli più importanti. Ovviamente, l’attenzione in generale dell’ONU e in particolare dell’Italia – che ha interessi diretti su questi capitoli – si è concentrata su Iran e su Libia. Noi abbiamo cercato di portare una novità, puntando su aspetti legati alla sostenibilità, anche per quanto riguarda la riforma di Guterres sulle operazioni di peacekeeping. Abbiamo puntato molto sull’environmental sustainability e sui Development Goals, cercando di farli diventare qualcosa di concreto – che poi è il grande limite delle Nazioni Unite -.”
Com’è stato accolto questo “Governo del Cambiamento” all’ONU?
“Molto bene. Il presidente Conte sta dimostrando in ogni occasione che il nostro Governo identifica il cambiamento come una reale attuazione delle migliori decisioni prese a questi organismi. Si sbaglia a volte a pensare che cambiare voglia dire buttare tutto quello che si è fatto, e invece vuol dire prendere quello che di buono si è deciso di fare e farlo davvero: anche questo è un cambiamento. Penso che, in questi organismi, molto di già deciso sia buono, ma bisogna provare a realizzarlo davvero. Poi, naturalmente, ci sono anche le cose che vanno buttate e rifatte ex novo”.
Trump nel suo discorso all’Assemblea Generale ha parlato di sovranità, il presidente Conte ha parlato sia di sovranità che di multilateralismo. Secondo voi è possibile tenere insieme questi due valori, e come?
“È fondamentale, non solo possibile. L’Italia ha una storia di multilateralismo, magari a volte un po’ velato, ma è sempre stato un Paese campione in questo, anche per la sua connotazione storica e geografica: non possiamo farne a meno. E poi i nostri interessi, non solo economici ma anche sociali, politici e culturali, si estendono su tutto il Mediterraneo, e dall’Oriente più estremo fino agli Stati Uniti. È evidente che in una situazione globale in cui il sovranismo viene sovrapposto al nazionalismo – e in realtà non sono la stessa cosa -, noi stiamo cercando di dare questo imprinting: vogliamo che ogni scelta fatta dagli organismi internazionali rispetti la volontà del popolo che elegge il proprio rappresentante, ma che questo avvenga in un’ottica di dibattito multilaterale, soprattutto scevro dai condizionamenti politici che ci sono storicamente. Noi riteniamo di poter pretendere di avere un dialogo aperto e franco con i Paesi mediorientali, con l’Iran, gli Stati Uniti e la Russia, rispettando le partnership storiche che abbiamo. Ed è un argomento spinoso in questi giorni: basti sentire i discorsi di Trump, Rohani, Macron stesso. È stata la più aspra Assemblea Generale a cui abbiamo partecipato fino ad oggi. L’Italia ha questa tradizione di cultura diplomatica, e la stiamo portando avanti anche in questa occasione”.
A volte è però difficile rendere compatibili queste due visioni. Pensiamo ad Orban: il campione del sovranismo d’Europa, in ottimi rapporti con il ministro Salvini, è il primo a rifiutare le quote di migranti che aiuterebbero l’Italia a non affrontare la questione da sola.
“Io credo che la necessità di una condivisione concreta – sui migranti, sui fondi strutturali e su tutti gli ambiti inerenti all’UE in particolare – sia una necessità. A meno che non si voglia pensare a un sovranismo che tenda a chiudere il Paese. È evidente che la linea di Orban per noi sia profondamente sbagliata. Non a caso il presidente Conte, come il ministro degli Esteri Moavero, non ha mai sposato quel tipo di atteggiamento. Crediamo comunque che Orban, scelto dal suo popolo, abbia tutto il diritto di portare avanti la sua linea. D’altronde, condivisa con i Paesi di Visegrad, quindi anche per loro esiste un multilateralismo regionale. Noi crediamo che l’Italia abbia necessità, capacità e storia per avere uno standing più alto rispetto a questi Paesi. Non è un caso che siamo un Paese fondatore dell’UE, e che alle Nazioni Unite siamo su tutti i capitoli più importanti con ruoli di prestigio. Andare allo scontro oggi alla “Orban maniera”, con l’UE, anche a livello tecnico – bloccando i percorsi condivisi – è deleterio, perché per l’Italia porterebbe dei danni sul lungo periodo”.
Global Compact on Refugees e Global Compact for Migration: in questi giorni ha partecipato a eventi su questo argomento. Pensa che, come ha anche detto l’Alto Commissario per i Diritti Umani Michelle Bachelet, la strada per Marrakech porterà a passi avanti sulla questione dei rifugiati e dei migranti? Sembra però che alcuni dei Paesi – anche europei – che partecipano a questo percorso, poi, di fatto, non si orientino alla via della solidarietà. Lei ci crede?
“Io ci credo, se, come Unione Europea, si mette al centro l’idea che questi organismi vivono di credibilità. Abbiamo l’esigenza di crederci e di lavorare perché si ottengano dei risultati. Poi, la questione migratoria è un argomento da campagna elettorale permanente in tutti i Paesi: purtroppo, ci sono situazioni in cui, e lo si è visto anche nei dibattiti durante il Global Forum, mentre si porta avanti una pratica alle Nazioni Unite, in patria si dice tutt’altro. Noi su questo siamo coerenti: nel mio speech ho ribadito la necessità di una maggiore condivisione, e che il Global Compact sulle migrazioni punti a questo. Ora stiamo a vedere cosa succede: noi ci mettiamo il nostro contributo, ma sono 193 Paesi…”.
Secondo lei l’Italia del Global Compact, l’Italia che, come ha detto il premier Conte, ha sempre messo i diritti umani al primo posto, è compatibile con il decreto Salvini sulla sicurezza?
“Credo che sia compatibile nel momento in cui il Parlamento avrà tutto il modo di modificare quel decreto, tutto il modo di renderlo più a misura d’Italia: credo che non lo sia ancora appieno, però questa è la bellezza della democrazia. Storicamente, fino ad oggi non abbiamo mai blindato decreti: di conseguenza, chi vorrà modificarlo lo potrà fare, i nostri parlamentari del Movimento Cinque Stelle tenteranno di modificarlo. Comunque, credo che come tutto ciò che viene fatto da questo Governo, sia più il racconto catastrofico di quel decreto che quello che davvero c’è. Noi abbiamo una evidente esigenza di standardizzare il percorso di accoglienza in Italia, perché oggi è un dato di fatto che, di tutti i richiedenti asilo, solo una quota inferiore al 9% ha davvero diritto di essere riconosciuto come rifugiato: gli altri li teniamo perché – diciamolo chiaramente – non sappiamo come fare altrimenti. Per questo, gli concediamo un visto di assistenza umanitaria. Gli si riconosce un titolo quando non lo avrebbero. Credo quindi che l’intento di Salvini sia giusto; poi però mi aspetto che, in un Paese come l’Italia, ed è quello su cui stiamo lavorando, il risvolto sia immediato: chi ha diritto rimane e viene integrato, chi non ha diritto, tramite un percorso di accordi bilaterali o di quote Paese, viene allontanato in modo dignitoso e rispettoso”.
Molti giuristi hanno criticato anche la contrazione del sistema Sprar, una delle eccellenze del nostro Paese in questo campo. Cosa ne pensa?
“Sono d’accordo. Credo che il sistema Sprar sia l’eccellenza del nostro Paese in materia di integrazione, ma non credo sia immodificabile. Ho sempre trovato sbagliato che lo Sprar fosse totalmente affidato all’opera privata. Lo Stato deve avere contezza di quello che succede anche perché esistono casi lodevoli, ma esistono anche casi in cui lo Sprar non erogava i servizi che erano invece dovuti dal contratto. Una stretta sul sistema Sprar può avere senso, ma solo nell’ottica di una riforma migliorativa, non di abolizione: altrimenti andiamo contro i nostri interessi, non favorendo l’integrazione di chi ha diritto di restare. Credo che la logica però sia coerente: per far funzionare gli Sprar bisogna avere dei numeri accettabili, e quindi la riduzione del sistema dei visti e dei sistemi di ingresso può portare a un miglioramento”.
Lei ha parlato in questa settimana di lotta al traffico degli esseri umani, uno degli obiettivi della comunità internazionale in questo momento. Eppure, per combattere le vie illegali di immigrazione bisognerebbe innanzitutto aprire vie legali. Pensa che questo Governo possa fare qualcosa in proposito, e crede che il ministro Salvini sarà d’accordo?
“Questa è una materia più complicata. Io personalmente e il M5S ne parliamo da 5 anni. Non parliamo di corridoi umanitari, che sono comunque vie emergenziali. La logica che chi ha diritto deve poter arrivare nel nostro Paese deve necessariamente portare ad arrivarci con un volo, non con un barcone della morte. Il problema è che questo si incastra in un meccanismo globale molto più complesso: noi dovremmo garantire, come succede a un europeo che vuole venire a vivere a New York, di poter andare in ambasciata e richiedere un visto lavorativo. Ad oggi abbiamo pochissimi accordi di questo tipo con i Paesi maggiormente di origine dei flussi migratori. Dovremmo aumentare questi accordi, e uscire dall’ipocrisia di definire aventi diritto una quota minima dei migranti: aprire, quindi, anche a quote di migranti economici. Oggettivamente, però, lo si può fare solo se c’è un accordo a livello di Unione Europea, sostenuto da tutti i 27. A quel punto arriveremmo a un problema enorme, che è quello dell’eccessiva integrazione europea dal 2004 in avanti. Abbiamo un blocco di Paesi, di Visegrad, che non ha nessuna intenzione di andare in quella direzione. La grande ipocrisia è che mentre si dice “sbarchi zero” e “aiutiamoli a casa loro”, in realtà non si fa nulla per garantire questo. Credo però che non sia Salvini il problema. Salvini, intanto, è il ministro di un Governo fortemente democratico; secondo, è molto chiaro il concetto che per aiutarli sia necessario combattere il traffico di uomini in modo concreto, tagliando anche le fonti di finanziamento, ma soprattutto con accordi bilaterali che sono già in discussione: non puoi andare a chiedere possibilità di respingimento senza dare qualcosa sull’accoglienza”.
L’Iran: ne avete parlato, in questi giorni, anche a livello ministeriale. L’accordo sul nucleare come si pone l’Italia? Resterà salda in Europa, nonostante l’amicizia con Trump?
“Sì. Si tratta di un accordo, intanto, che funziona. Ho incontrato recentemente il direttore dell’AIEA, che mi raccontava che soltanto in Iran sono state fatte oltre tremila giornate di controlli negli ultimi 5 anni, e non c’è nulla che lasci pensare a una nuova implementazione del programma missilistico: o sono troppo bravi, o lo stanno rispettando. Dall’altra parte è un accordo che ha una diretta convenienza a livello globale: è l’unico modo per avere garanzie che non ci sia un programma missilistico. Inoltre, diamo anche una possibilità di empowerment alla società civile iraniana, che vede in quest’accordo la dimensione europea: con questo trattato, abbiamo raccontato agli iraniani che era il modo più facile per avvicinarsi alle democrazie europee; ora Trump gli sta dicendo che qualunque cosa facciano non saranno mai vicini ai nostri ideali. Questo chiude le società: guardiamo l’Afghanistan, dal pre-2011 a oggi. Soprattutto, indebolisce la leadership di Rohani, che oggettivamente è la più moderata che ricordiamo in Iran. Quindi, il nostro interesse è quello di mantenere l’accordo e sostenerlo in modo chiaro. Lo stiamo facendo, e, nonostante gli ottimi rapporti tra Conte e Trump, lo abbiamo ribadito in occasione dell’incontro che c’è stato in questi giorni. Il punto principale è far capire al Presidente Trump che non ci può essere un accordo “differente”: un accordo è un accordo, siglato tra tre grandi partner. Quindi, va rispettato”.
Parliamo di Libia: sappiamo che con la Francia ci sono rapporti problematici anche per la roadmap francese sulle elezioni. Avete affrontato questo argomento in questi giorni?
“Io credo che la Francia sia totalmente isolata sulla questione libica. Anche per una questione di credibilità: chi ha creato un problema non credo debba avere voce in capitolo nel suggerire una soluzione, peraltro in controtendenza rispetto agli altri. E poi l’UE è compatta insieme all’Italia, alla quale riconoscono tutti una leadership sulla gestione della crisi. Lo capirebbe anche un bambini: se non si hanno le condizioni sociali per andare al voto, non ha senso andarci. Un esempio potrebbe essere l’Iraq. Noi crediamo che le elezioni siano l’obiettivo fondamentale, ma che ci si debba arrivare quando a livello sociale si è pronti: quando tutte le milizie che comandano sul territorio hanno concordato una roadmap per arrivarci, quando tutte le forze politiche e meno politiche, come Haftar, sono d’accordo, e quindi c’è la prospettiva che, il giorno dopo le elezioni, si formi il governo e possa durare e fare delle riforme. Credo che l’Italia, da questo punto di vista, abbia imboccato la strada giusta, con tutte le difficoltà del caso. Dipende dai libici, soprattutto, e questo è bene ricordarlo e capirlo. Secondo me la conferenza si farà, e sarà un passaggio fondamentale per la stabilizzazione, e l’obiettivo sarà stabilire quale potrebbe essere una data possibile per le elezioni”.