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Il dilemma di milioni: vivere malati o morire di fame sani

Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, devono affrontarlo, ogni anno, circa cento milioni di persone

C.Alessandro MauceribyC.Alessandro Mauceri
Il dilemma di milioni: vivere malati o morire di fame sani

Una bambina in un campo d'emergenza dell'ONU a Bentiu, South Sudan. (Foto: UNICEF/Holt)

Time: 5 mins read

Nonostante il pacchiano tentativo di nascondere la realtà, elevando il limite di povertà da 1,2 dollari a 1,5 dollari a persona al giorno, nel mondo 1,2 miliardi di persone vive in condizioni di povertà estrema (con meno di un dollaro al giorno). Una condizione che per loro come per altre face della popolazione mondiale, nel momento in cui per loro è necessario ricorrere a cure mediche e acquistare farmaci o alimenti, mette di fronte alla scelta se utilizzare le poche risorse a disposizione per curarsi o per procurarsi il cibo per sopravvivere.

A lanciare l’allarme è il rapporto “Tracking Universal Health Coverage: 2017 Global Monitoring Report” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità  e della Banca Mondiale. Si tratta di un rapporto che viene pubblicato in un momento storico particolarmente delicato: mai come ora l’attenzione di tutto il mondo è stata rivolta alla salute a livello globale. E mai come ora sono emergono lacune nel modo in cui è stata gestito il settore in tutto il pianeta: circa metà della popolazione mondiale manca di servizi sanitari essenziali e 800 milioni spendono oltre il 10 per cento delle proprie entrate in medicine, interventi medici o simili. Una montagna di denaro che genera, ogni anno, cento milioni di nuovi poveri. Persone che diventano povere per aver cercato di curarsi.  È vero che per alcuni paesi (pochi) questo può sembrare strano, ma la verità è che nel mondo il gap tra ricchi, benestanti e poveri sta aumentando. E le conseguenze cominciano a farsi notare.

Lo studio ha evidenziato come, stando così le cose, sarà impossibile raggiungere l’obiettivo 3.8 dei Sustainable Development Goals, SDGs lanciati dalle Nazioni Unite a settembre 2015 (dopo che ci si era resi conto del fallimento della maggior parte dei Millenium Goals lanciati nel 2000).

La misura 3.8 dei SDGs ha come fine la tutela della salute a tutte le età e a livello globale, l’accesso a servizi medici di base così come a medicine e vaccinazioni per tutti (“achieving universal health coverage (UHC), including financial risk protection, access to quality essential health-care services and access to safe, effective, quality and affordable essential medicines and vaccines for all”).

Due gli indicatori in cui è suddiviso: il 3.8.1 (copertura dei servizi essenziali per la salute), e il 3.8.2 (percentuale della popolazione di un paese che spende somme “catastrofiche” per la salute, furono pensati, nel 2015, proprio per evidenziare il divario esistente tra chi non ha accesso ai servizi di base e chi invece spende somme esagerate per le cure mediche).

Obiettivo promesso dai SDGs è “leave no one behind” (non lasciare indietro nessuno). Un risultato che dopo aver letto i dati di OMS e BM appare impossibile da raggiungere. Secondo il rapporto, per molti importanti servizi, non sarebbero nemmeno disponibili dati affidabili trasmessi dalle autorità competenti (a causa della mancanza di investimenti di alcuni paesi nella raccolta dei dati o di difficoltà a definire un indicatore operativo per una particolare servizio).

E anche quando i dati sono disponibili, la situazione che emerge è drammatica. È vero che, come riportato nel rapporto, il livello medio globale di copertura di UHC è 66, ma mentre in alcuni paesi europei e in Nord America raggiunge il valore di 77 o superiore, nell’Africa  sub sahariana non va oltre 42, e in molte regioni africane non supera i 53. Tradotto in numeri assoluti  questo significa che nel mondo oltre un miliardo di persone non ha accesso ai servizi sanitari di base, poco più di un miliardo non ha assistenza per problemi come ipertensione e malattie cardiache, altrettanti non hanno alcuna assistenza per le malattie legate al tabagismo. Stessa cosa per quanto riguarda l’assistenza pre e post parto.

Se dal primo sotto obiettivo si passa al secondo, la situazione, invece di migliorare, peggiora. Secondo i ricercatori le spese sanitarie hanno conseguenze “catastrofiche” quando superano una determinata percentuale del reddito (10% o 25%).

A questo punto le fasce più deboli della popolazione si trovano di fronte al bivio se acquistare i farmaci per curarsi da malattie o se destinare le poche risorse disponibili ad alimenti e beni di primissima necessità. Una scelta tra la sanità e le altre necessità per la famiglia, compreso il cibo e l’istruzione, difficile per 90 milioni di persone sotto la soglia di povertà di 1,9 dollari a persona al giorno (PPP). Anche per gli oltre 122 milioni persone in tutto il mondo sono costretti a vivere con 3,10 dollari al giorno, la cosiddetta “povertà moderata”, le spese sanitarie rappresentano un serio problema.

Il risultato è che, in barba alle promesse fatte nel 2000, prima, e nel 2015, poi, il numero di persone che si trova di fronte al dilemma se mangiare o curarsi sta aumentando dell’ 1,5 % l’anno. Oggi a causa di politiche senza senso adottate dai governi di tutto il mondo spinti dalle case farmaceutiche, 800 milioni persone spendono più del 10% dei loro bilanci di famiglia per spese sanitarie, non coperte da alcuna assicurazione, le cosiddette “out-of-Pocket”.

Una situazione che alcuni analisti hanno notato nei paesi “sviluppati”, ma che nei paesi più poveri ha raggiunto livello preoccupanti. “Solo il 17% delle donne nel quinto più povero delle famiglie hanno accesso adeguato ai servizi sanitari per maternità e infanzia  rispetto al 74% delle donne nel più ricco quinto delle famiglie”, ha detto Timothy Evans, Senior Director di salute, nutrizione e popolazione presso la Banca mondiale Gruppo.

“Ogni paese ha le risorse a disposizione per raggiungere questo obiettivo. Questo è il motivo per cui vogliamo vedere una maggiore attenzione per l’assistenza sanitaria primaria”, ha detto Anna Marriott consigliera per le politiche sanitarie di Oxfam. “Abbiamo assoluto bisogno di un impegno per affrontare la disuguaglianza in salute. Una persona benestante ha una probabilità quattro volte maggiore di ottenere servizi sanitari essenziali”.

Ma non basta, destinare somme rilevanti delle proprie entrate a servizi sanitari “out-of-pocket” sta provocando una crescita inattesa della percentuale di famiglie che finiscono sotto della soglia di povertà. Il numero più elevato di questi casi si verifica in Asia: è qui che vive il 72% di coloro che spendono il 25% dei loro bilanci domestici sulla sanità.

Il problema dell’accessibilità sanitaria non si limita ai paesi in via di sviluppo. In Europa e in America Latina un numero sempre crescente di persone spendendo almeno il 10% dei propri bilanci familiari sulle spese sanitarie.

L’obiettivo di fornire una copertura sanitaria universale è fondamentale per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite. E senza un drastico cambiamento di rotta e un solido impegno da parte dei governi raggiungere questo obiettivo sarà impossibile. Con conseguenze drammatiche per la salute e la vita di un numero sempre maggior di persone costrette a scegliere se vivere malati o morire di fame sani.

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C.Alessandro Mauceri

C.Alessandro Mauceri

Sono nato a Palermo, città al centro del Mediterraneo, e la cultura mediterranea è da sempre parte di me. Amo viaggiare, esplorare la natura e capire il punto di vista della gente e il loro modus vivendi (anche quando è diverso dal mio). Quello che vedo, mi piace raccontarlo con la macchina fotografica o con la penna. Per questo scrivo, da sempre: lo facevo da ragazzino (i miei primi “articoli” risalgono a quando ero ancora scolaro e dei giornalisti de L’Ora mi chiesero di raccontare qualcosa). Che si tratti di un libro, uno studio di settore o un articolo, raramente mi limito a riportare una notizia: preferisco scavare a fondo e cercare, supportato da numeri e fatti, quello che c’è dietro. Poi, raccontarlo.

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