Nella Repubblica Centrafricana (RCA), paese ricco di uranio, diamanti e olio, da qualche anno è in corso una devastante guerra civile, che sta avendo conseguenze sempre più gravi sulla popolazione. Le recenti tensioni hanno riacceso il dibattito anche all’ONU, su un Paese diviso dal conflitto e che vede protagonisti 15 gruppi armati diversi.
L’equilibrio della RCA è instabile fin dall’indipendenza dalla Francia, nel 1960. Una delle ragioni profonde di questo sanguinoso conflitto è legato agli aspetti etnici e culturali che caratterizzano questa regione. Ma non solo. I problemi storici di questo Paese sono, in qualche misura, anche dovuti alla sua posizione geografica. Nella regione si incontrano infatti la componente araba del Nord Africa e quella subsahariana dell’Africa nera. Nel corso del tempo, però questo incontro ha avuto un impatto significativo – e sempre più spesso destabilizzante – nella regione. E nel 2013, il Paese è piombato nel caos quando un gruppo paramilitare di ribelli musulmani, Seleka, ha assunto il potere in un Paese a maggioranza cristiano. Successivamente, un’altra banda para-militare cristiana, l’anti-balaka, ha operato per contrastare Seleka. In seguito a pressioni internazionali, Seleka ha ceduto il potere a un governo di transizione nel 2014 ma nonostante ciò, il paese rimane effettivamente diviso e afflitto da una violenza dilagante, specialmente contro le minoranze e le forze di pace in missione.
Nel 2014, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato l’istituzione di una missione per il mantenimento della pace nella RCA: MINUSCA. Il mandato di MINUSCA consisteva e consiste tutt’oggi nel proteggere i civili e facilitare l’accesso umanitario nel paese dilaniato dalla guerra. Il ruolo di MINUSCA è stato essenziale nella RCA e le Nazioni Unite hanno operato per il mantenimento della stabilità: sono infatti le forze di pace che sostengono, oggi, il fragile equilibrio di questo Paese, ma come si è evinto dai recenti Consigli di Sicurezza, non può bastare: è più che mai necessaria un’operazione che includa cambiamenti strutturali, con l’obiettivo di sciogliere la crisi in modo definitivo.
Il rappresentante speciale del Segretario Generale per la RCA, Parfait Onanga-Anyanga, ha espresso preoccupazione nella seduta del 12 giugno del Consiglio di Sicurezza, sugli atteggiamenti aggressivi nei confronti dei peacekeepers e sulla posizione delle minoranze etniche, auspicando un approccio sinergico per combattere la crisi. Gli ambasciatori che sono intervenuti nel merito hanno evidenziato, nei loro statement, la necessità del Consiglio di Sicurezza di mandare un messaggio inequivocabile agli autori delle violenze e degli abusi.
Una “chiamata all’azione”, alla quale la Comunità di Sant’Egidio ha risposto da tempo presente. Non a caso venerdì 9 giugno, presso la Missione Permanente d’Italia presso le Nazioni Unite, Marco Impagliazzo, Presidente della Comunità di Sant’Egidio, ha completato lo scambio cerimoniale di lettere con il sottosegretario generale degli affari politici all’ONU, Jeffrey Feltman. Il motivo? La sottoscrizione di un’intesa strategica con il Palazzo di Vetro, per la risoluzione di situazioni di crisi. Un documento che ha confermato la stima delle Nazioni Unite nei confronti della Comunità di Sant’Egidio, come si è evinto dall’intervento di Feltman: “Saluto con soddisfazione l’operato della Comunità di Sant’Egidio per portare tutti i gruppi al tavolo negoziale: si tratta di uno dei lavori più impressionanti da loro svolti, secondo l’ONU”.
La situazione, però, è ancora in bilico nonostante gli sforzi. A margine di una conferenza stampa, La Voce di New York ha chiesto al rappresentante speciale del Segretario Generale per la RCA, Parfait Onanga-Anyanga, se il lavoro della Comunità di Sant’Egidio abbia avuto un peso specifico nell’avanzare delle trattative: “Posso confermare che la Comunità di Sant’Egidio parla con tutti i 15 gruppi armati, il che è molto impressionante. A giudizio del governo riconosciuto, la speranza è di poter trovare un punto di accordo. Ciò che viene discusso tra i gruppi armati e Sant’Egidio verrà valutato, esaminato e messo sul tavolo per vedere se si hanno fatti da parole per porre fine a questa follia”.
La speranza, dunque, è che altri Paesi ed organizzazioni possano seguire la strada tracciata sinora dalla Comunità di Sant’Egidio, la cui strategia d’azione sembra essere efficace nella sua “semplicità”: come ha spiegato Marco Impagliazzo in un’intervista concessa a La Voce di New York, la forza della Comunità di Sant’Egidio è infatti quella di aver sviluppato “una grande sapienza umana, perché come diceva papa Paolo VI bisogna essere esperti di umanità per far parlare le persone le une con le altre”. Non solo, fondamentale è anche saper rispettare la riservatezza delle parti: “Se le parti non vogliono comunicare di essersi incontrate, noi rispettiamo questo volere per il bene delle trattative” ha detto Impagliazzo. E del resto la sapienza umana, la riservatezza e l’indipendenza di un’organizzazione senza scopo di lucro ma a supporto delle istituzioni di pace, rappresentano oggi elementi fondamentali per risolvere finalmente, si spera in modo definitivo, le fragilità di un Paese afflitto da una crisi infinita, durata più di mezzo secolo.