Il nuovo ministro degli Esteri italiano, Angelino Alfano, è venuto a dirlo proprio davanti alle telecamere dell’ONU: il traffico di esseri umani nel Mediterraneo e l’instabilità della Libia rappresentano per l’Italia la crisi più pericolosa e urgente da affrontare. Dopo essere intervenuto martedì 10 gennaio ad una riunione del Consiglio di Sicurezza in cui partecipava per la prima volta anche il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres, allo stake out con i giornalisti i toni di Alfano sono stati quelli da ultima spiaggia: “Nessuno potrà negare oggi che la questione mediterranea è una questione centrale per la sicurezza globale. Su quel mare, che se paragonato agli oceani sembra un piccolo lago, si giocano i destini del mondo”. Per poi avvertire: “Credo che quest’anno che ci vede protagonisti al Consiglio di Sicurezza e alla presidenza del G7, l’Italia possa orientare in parte l’agenda internazionale favorendo la risalita in classifica di alcune questioni che avvolte nello scenario globale sembrano scendere”.
Nello stesso giorno in cui Alfano pronunciava queste parole all’interno del Palazzo di Vetro (al Consiglio di Sicurezza ha parlato, leggendo bene, in inglese, ma poi davanti ai giornalisti in italiano e senza traduzione), a Tripoli si riapriva l’ambasciata italiana, la prima occidentale nella Libia martoriata dalla guerra civile. L’Italia non è l’unico paese occidentale ad avere un ambasciatore presso il governo di coalizione riconosciuto dall’ONU, quello di Fayez al Sarraj, ma è l’unica da questa settimana ad averlo a Tripoli, dato che per ragioni di sicurezza Francia e Gran Bretagna prudentemente continuano a tenere i loro diplomatici distaccati in Tunisia. Forse la situazione degli ultimi giorni in Libia è migliorata?
Per nulla, semmai il contrario. Il giorno dopo la venuta di Alfano a New York, le agenzie mandavano lanci su atti intimidatori e violenti nei confronti di impiegati ministeriali del debolissimo governo libico inscenati da una delle tante fazioni che Tripoli non riesce a controllare e che fa ben capire come la situazione resti drammatica.
Almeno dal tempo che gli ha dedicato, al ministro italiano deve essergli piaciuta la nostra domanda che chiedeva se l’Italia oggi non si sentisse isolata dal resto del mondo in questo suo grido di allarme per la Libia. Infatti, abbiamo ricordato ad Alfano, la presidenza svedese di turno del Consiglio di Sicurezza non l’aveva messa neanche nell’agenda dei lavori per gennaio. Ecco la riposta di Alfano, che vi riportiamo per intero:
“L’Europa ha un interesse enorme a dare stabilità alla Libia. Per noi la questione dei migranti gli equivale. Oltre il 90% degli arrivi dall’Italia sono in partenza dalla Libia. L’agenda mondiale si fa riguardo la pace, la sicurezza, i diritti umani e lo sviluppo del mondo. Qui occorre essere molto chiari e dire che la Libia deve essere in cima all’elenco delle priorità, non può restare in coda. Poi c’è la vicenda europea. Che è essenzialmente fatta di un lavoro per evitare le partenze. Perché una volta che son partiti, hai due strade: o la gestisci all’arrivo o li fai morire in mare. Per chi ha scelto, come noi, di non far morire in mare nessuno e se non si vuol far aumentare il numero di migranti presenti nel territorio, occorre agire prima. E noi abbiamo una strategia con un attacco a tre punte. La prima punta attacca la questione Libia. Li abbiamo mandato il nostro ambasciatore Giuseppe Perrone a lavorare con l’obiettivo di far diminuire le partenze. La seconda il rapporto col Niger. Il Niger è uno stato in parte di origine e in parte di transito di migliaia e migliaia di migranti. Siamo al lavoro per chiudere un accordo col Niger per avere migliaia e miglia di emigranti in meno. Infine la Tunisia, perché pensiamo che possa avere un interesse comune a stroncare il traffico di essere umani nel Mediterraneo e io il 19 sarò lì esattamente per affrontare questa questione. Noi abbiamo un’agenda molto chiara e molto concreta su questi argomenti e speriamo di indurre tutta l’Europa a rendersi conto che come l’UE ha messo sul tavolo della Turchia un bel pacchetto di risorse per fermare il traffico di migranti sulla rotta balcanica, si dovrà fare la stessa cosa sulla rotta del Mediterraneo centrale. Per farlo e chiaro che serve la stabilità della Libia. Certo, la differenza con la Turchia, è che in Libia ci vuole qualcuno che ti firmi l’accordo e abbiamo lavorato esattamente in questa direzione proprio con le scelte delle ultime ore”.
Già le scelte delle ultime ore. Rafforzare Sarraj e costringere quindi l’UE e caricarlo di altri soldi per poter fermare i migranti. A parte che su questa strategia del fermare i migranti e rifugiati che fuggono da persecuzioni e guerre prima che si imbarchino, cioè nell’ultimo paese che li divide dallo sbarco in Europa, proprio l’ONU continui a nutrire grandi perplessità sul rispetto dei diritti umani e anche del diritto internazionale, ma la strategia a “tre punte” dell’Italia, almeno per quella che attacca sulla Libia, di colpo ci appare in ritardo e compromessa.
Osservando dal Palazzo dell’ONU infatti, si resta molto preoccupati dell’isolamento (anche se nella riunione del Consiglio di Sicurezza almeno da parte di Francia e Gran Bretagna ci sono stati segnali confortanti) in cui l’Italia in questo momento si trova nel cercare di risolvere l’incandescente crisi libica, che vede diversi centri di potere in competizione per controllare un immenso territorio. E’ ormai evidente da quasi un anno, che il governo riconosciuto e appoggiato dall’Italia e “formalmente” dagli altri paesi dall’ONU, quello appunto di Al Sarraj a Tripoli, è sempre più debole. Invece al contrario la forza militare del generale Khalifa Haftar, che controlla non solo più territorio del governo riconosciuto dall’ONU, ma anche quello con dentro i più importanti e funzionanti pozzi di petrolio, si rafforza.
Mentre infatti Alfano era all’ONU per ribadire come l’eventuale accordo per migranti e rifugiati “alla turca” tra l’Europa e la Libia servisse anche per rafforzare il governo riconosciuto dall’ONU, ecco che Haftar veniva ospitato da una portaerei russa, la Kuznetsov, al largo del suo regno in Cirenaica. Un caso? In realtà da tempo la Russia di Putin, come del resto, dal giorno della caduta di Gheddafi, anche l’Egitto di Al Sisi, stanno rafforzando Haftar e il suo esercito convenientemente “fedele” a quel che resta dell’altro centro di potere “legittimo”, quel Parlamento di Tobruk diviso tra tribù nemiche e che non è mai riuscito a ratificare la fiducia al governo Sarraj come prevedeva l’accordo voluto e ottenuto dall’inviato speciale ONU per la Libia Martin Kobler nella conferenza in Marocco di un anno fa. In questo groviglio di guerra tribale, ecco che l’Italia ora si trova a sostenere un governo debolissimo a Tripoli, con i suoi nemici sostenuti addirittura dalla grande potenza regionale egiziana e quella globale della Russia.
A parte le metafore usate da Alfano delle “tre punte”, quale sarà quindi una concreta strategia di emergenza dell’Italia per la Libia, paese giustamente ritenuto di vitale importanza non solo per far fronte alla crisi dei migranti, ma soprattutto per gli strategici bisogni energetici italiani?
Ciliegina nella torta che sta andando a male per gli interessi di Roma in Libia, bisogna aggiungere l’arrivo dell’amministrazione di Donald Trump alla Casa Bianca. Il governo di Al SArray, già traballante di suo, si è ulteriormente indebolito dopo la sconfitta di Hillary Clinton, sulla quale amministrazione contava per rafforzare l’appoggio al governo di Tripoli riconosciuto dall’ONU. Invece Trump ora che farà? Di come in bassa considerazione sia tenuta l’ONU e le sue risoluzioni, se ne è avuto un assaggio non solo dal presidente eletto, ma soprattutto dal Congresso a maggioranza repubblicana…
Le mosse di Trump per la Libia restano avvolte nel mistero, ma qualcuno sospetta già che, nella nuova linea di sviluppo della Casa Bianca nei rapporti con la Russia, ci sarebbe anche quello di un eventuale intesa con Putin sulla scelta (già imposta dal Cremlino) “dell’uomo forte” Haftar, che darebbe più assicurazioni nel poter sgominare di quel che resta delle forze islamiste dell’ISIS e non solo in Libia. Uno scenario da brividi: l’Italia da un parte (con forse timidi appoggi dell’anatra zoppa Francia e meno probabili della Gran Bretagna) che si schiera con Tripoli, mentre Al Haftar si prepara alla grande offensiva per prendere il definitivo controllo della Libia appoggiato dagli egiziani e dai russi, e con l’America di Trump che, nella migliore delle ipotesi, resta a guardare. Uno scenario che porterebbe ad una situazione a pochi chilometri dalla Sicilia veramente da far tremare le vene ai polsi a chi, dalla Farnesina, sta cercando in queste ore di salvare il salvabile. Perchè, a parte gli aiuti militari all’esercito del generale Haftar, un altra arma a disposizione di Mosca che farebbe saltare qualunque strategia italiana a tre, quattro o cinque punte, potrebbe essere quella di lasciare che continue ondate di migranti e rifugiati dalla Cirenaica non controllata da Tripoli si riversino verso l’Italia….
A questo punto uno dovrebbe chiedersi e chiedere ancora alla Presidenza svedese del Consiglio di Sicurezza, quindi di un paese dell’Unione Europea, e come La Voce ha fatto già: ma per quale ragione la Libia non era stata inclusa nella fitta agenda preparata per il mese di gennaio al Consiglio di Sicurezza? Forse perché quel groviglio, con accordi che andranno contro una risoluzione già approvata dal UNSC, non saranno stabiliti all’ONU ma altrove?
Hanno sicuramente ragione Paolo Gentiloni e Angelino Alfano a ritenere in questo momento il Mediterraneo e la Libia il nodo centrale delle preoccupazioni della politica estera italiana. Temiamo però che certe ultime mosse d’attacco, come sostenere ancora con più forza il governo di Al Sarraj, siano arrivate a tempo ormai quasi scaduto. Sapere che nel deserto libico, potremmo di colpo ritrovarci di fronte anche ad un orso senza aver l’aiuto dell’aquila, è uno scenario terrorizzante.
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