Giovedì 8 settembre la Sala 7 del Palazzo di Vetro è stata riempita da una forse inaspettata folla di giornalisti, membri della società civile, diplomatici e rappresentanti di numerose Organizzazioni non governative (NGOs) accorsi per assistere al dibattito Fighting Human Trafficking in Conflict: 10 ideas for action by the UNSC. La conferenza, mediata dall’abile parlantina del giornalista Richard Lui, è nata dalla collaborazione tra l’Università delle Nazioni Unite rappresentanta da James Cockayne con le Missioni ONU del Regno Unito e del Liechtenstein, rispettivamente rappresentante da Martin Shearman e Christian Wenaweser. In sala erano presenti tra il banco degli speaker anche Warrick Beaver, managing director per il servizio clienti e i rischi esterni della Thomson Reuters e Krishna R. Patel, consulente generale e direttrice delle iniziative per la giustizia alla Grace Farms Foundation.
La presentazione, che è proseguita per quasi due ore, ha toccato le delicate tematiche della schiavitù moderna e del traffico di esseri umani facendo riferimento in particolare all’ultimo report rilasciato a settembre 2016. I dati riportati nel documento sono estremamente preoccupanti: 45,8 milioni di persone vivono tutt’oggi in condizioni di schiavitù, e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro stima che i profitti globali provenienti dal lavoro forzato superino i 150 miliardi di dollari all’anno. Ciò rende il business della schiavitù, del lavoro forzato e del traffico di esseri umani ancora più redditizio del mercato di armi. Lo sanno bene gruppi terroristici quali ISIS o Boko Haram, che ogni giorno promuovono attivamente la schiavitù sia come mezzo per finanziare i propri obiettivi che come tattica di guerra.

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha discusso di questa delicata tematica per la prima volta in una riunione del dicembre 2015, durante la quale la comunità internazionale si è impegnata a portare a termine iniziative concrete ed ha richiesto al Segretario Generale ONU Ban Ki-moon di rilasciare, entro un anno, un report sui miglioramenti avvenuti sotto la supervisione delle Nazioni Unite.
Intanto, nel presentare il report Fighting Human Trafficking in Conflict: 10 ideas for action by the UNSC alla conferenza di giovedì 8 settembre James Cockayne ha commentato la scelta di inserirvi dieci punti precisando che “il numero è solo indicativo, in realtà ogni punto studiato presenta al suo interno molte sfaccettature e possibilità”. Egli ha poi evidenziato i tre principali temi riguardo ai quali ci si è confrontati durante la stesura del documento: l’effettiva capacità che il Consiglio di Sicurezza ha di denunciare i rischi e i problemi, l’abilità del Consiglio di implementare i meccanismi sanzionatori a sua disposizione e, infine, come sarà possibile migliorare la protezione offerta alle fasce più vulnerabili della popolazione mondiale (tra le quali, ad esempio, i migranti).
In seguito l’ambasciatore del Liechtenstein Christian Wenaweser ha fatto notare che nonostante la commissione abbia fatto fino ad ora un ottimo lavoro ci sono ancora moltissimi dati e informazioni da processare. “La schiavitù e il traffico di esseri umani sono protetti dalle più salde leggi internazionali, ma c’è ancora un livello troppo alto di impunità. Per questo, gli organi di giustizia internazionale devono intervenire quando i sistemi nazionali non riescono a svolgere correttamente i loro doveri” ha affermato Wenaweser, puntando l’attenzione anche sull’importanza di collaborare e condividere le informazioni perchè “anche se l’impegno preso in dicembre dal CdS è un’opportunità che non dobbiamo sprecare, è fondamentale anche ricordare che queste non sono problematiche relative soltanto al Consiglio di Sicurezza e devono essere fatti sforzi maggiori da parte di tutti i settori”.
La tesi dell’ambasciatore è stata poi rafforzata dalle parole del managing director della Thomson Reuters. Beaver, infatti, ha sottolineato quanto anche il settore privato sia profondamente coinvolto nel traffico di esseri umani affermando: “Crediamo che il settore privato abbia un grande ruolo in questo processo, che può essere affrontato da numerosi punti di vista. Ogni sforzo di combattere il traffico illegale di esseri umani senza coinvolgere il settore privato è destinato a fallire”. Inoltre, ha fatto notare Beaver, sia la clientela che gli investitori stanno iniziando a pretendere un sempre maggior livello di trasparenza da parte delle multinazionali, chiedendo per esempio di conoscere esattamente da dove un prodotto arriva e come viene fabbricato. “Per questo, il settore privato può contribuire notevolmente nella trasmissione di informazioni rilevanti”. Ormai, infatti, i problemi correlati alla schiavitù moderna non si verificano più solo in zone di conflitto. L’ambasciatore inglese Shearman ha affermato durante il suo intervento che “anche nel Regno Unito si verificano traffici illegali ed è fondamentale coinvolgere il settore privato e commerciale nella lotta. Tramite lo UK Modern Slavery Act, diventato legge nel marzo 2015, le attività commerciali e industriali inglesi sono tenute a consegnare ogni anno un resoconto delle azioni intraprese per combattere la schiavitù”.
Un altro strumento fondamentale che può contribuire in maniera sostanziale all’eliminazione delle problematiche trattate nel corso del dibattito è la tecnologia. Krishna Patel ha infatti affermato: “La tecnologia gioca oggi un ruolo di primo piano, ma presenta sia lati positivi che negativi e non bisogna abusarne. Come, però le organizzazioni terroristiche sfruttano le nuove possibilità telematiche per migliorare i propri disegni di morte, è arrivato il momento anche per noi di sfruttare al meglio ogni strumento per combatterli perchè una prevenzione efficacie può nascere soltanto da una corretta analisi dei dati a nostra disposizione”. Patel, inoltre, ha sottolineato l’importanza della solidarietà dichiarando che “è importante che le migliaia di persone coinvolte nei traffici siano consapevoli che stiamo lavorando per aiutarle e che riconosciamo le ingiustizie che stanno subendo”.
Dopo la presentazione fatta da ciascuno dei partecipanti il dibattito è stato aperto al pubblico presente in sala. Una delle questioni che è stata così sollevata riguarda la discriminazione di genere: nel report, infatti, si legge che una grossa percentuale delle persone coinvolte nel traffico di esseri umani e sottoposte a forme di schiavitù moderna sono donne e ragazze, la maggior parte delle quali vittime di sfruttamento sessuale. Sia Beaver che Shearman, nel rispondere all’intervento, hanno fatto riferimento al ruolo fondamentale giocato da UN Women nella lotta a questi delicati problemi, mentre Patel ha fatto notare come sia possibile imparare moltissimo e raccogliere informazioni fondamentali dialogando con le vittime, in particolare con le donne.
Un’altra questione emersa dal pubblico ha riguardato la stretta connessione esistente tra il traffico di droga e di esseri umani, specialmente in America Latina e in Asia centrale e sudorientale dove, come ha dichiarato Patel, “i criminali sono disposti a tutto pur di aumentare i loro guadagni”. In questo caso è fondamentale quindi il coinvolgimento e la partecipazione dell’Ufficio delle Nazioni Unite sui Crimini e le Droghe (UNODC). Shearman, però, ha precisato: “Non è importante che le Nazioni Unite facciano di più, ma che lo facciano meglio”.
I problemi della schiavitù e del traffico illegale di esseri umani affliggono ogni giorno milioni di uomini, donne e bambini in tutto il mondo e per risolvere la questione il Consiglio di Sicurezza ha bisogno di potersi appoggiare ad una grande varietà di organizzazioni e strumenti normativi, finanziari e tecnologici. Come si legge nel report, infatti, siamo davanti ad un “cubo di Rubik; se vogliamo risolverlo dobbiamo attaccarlo da ogni angolo”.