Avvenire, quotidiano italiano della Conferenza Episcopale dei Vescovi italiani è giornale che esplicitamente si rivolge alla comunità dei cattolici credenti; ma è lettura istruttiva anche per chi non è credente, o diversamente credente. E’ infatti uno dei pochi quotidiani italiani ad avere un respiro internazionale, a prestare attenzione a quello che accade al di fuori dell’Italia; e le pagine dedicate agli “esteri” non si risolvono nei tradizionali resoconti e corrispondenze su fatti e notizie del giorno. Anzi: spesso “offre” inchieste e reportage su questioni e fatti da altri giornali ignorati, o a cui prestano scarsa attenzione. Insomma, se si può dire: è un’ottima lettura di “complemento”.
Qualche giorno fa si è lungamente intrattenuto su quelli che possiamo definire gli “effetti collaterali” delle guerre. Di solito con questa espressione si intende l’uccisione di persone estranee al conflitto: civili, vecchi, donne, bambini… C’è anche altro. Per esempio: una delle sottovalutate conseguenze del conflitto in Afghanistan è il ritorno dell’eroina a buon mercato. In quel paese si produce l’85 per cento dell’oppio a livello mondiale. Coltivazione che, anni fa, aveva registrato una contrazione; è poi “rifiorita” in coincidenza con la guerra contro il regime instaurato dai Talebani. Lo scenario di estrema incertezza che domina il Paese, favorisce un’impennata della produzione di oppio (e dunque di eroina), che inevitabilmente invade i “mercati” dell’Occidente. Tra il 2002 e il 2014 gli ettari destinati alla coltivazione di oppio sono aumentati da 74.000 a 224.000. Nell’ultimo rapporto Afghanistan Opium Survey 2015 dell’Ufficio per le droghe e il crimine dell’ONU (UNODC) si legge che il valore di oppiacei afgani esportati in quell’anno viene stimato intorno ai 1,5 miliardi di dollari. Il reddito netto derivante dall’oppio, per ettaro, è valutato tre volte superiore a quello che deriva dalla coltivazione del grano: 3.100 dollari, contro 1.000. L’aumento della disponibilità di eroina dipende non solo dall’incremento della produzione, ma dall’aumento delle “rotte” possibili per il traffico: le guerre e l’instabilità politica influenzano l’economia e la struttura produttiva dei Paesi; ma comportano anche una dilatazione di traffici illeciti attraverso i labili, praticamente inesistenti controlli ai confini, dove scorrazzano liberamente milizie e gruppi armati di ogni tipo.
Le tradizionali rotte del traffico internazionale di eroina sono quella “balcanica” e quella definita “settentrionale”. La prima attraversa Iran, Turchia, Grecia e Bulgaria. La “settentrionale” attraversa Tagikistan, Kyrgyzstan, Kazakhstan, e “approda” alla Federazione Russa. C’è poi quello che viene definito un fenomeno quasi del tutto nuovo, evidenziato nel recente rapporto The Afghan opiate trade and Africa, curato dall’Ufficio sulle droghe e il crimine dell’ONU (UNODC). Diversi paesi africani sono diventati i principali punti di transito e approdo dell’eroina afghana, attraverso la penisola arabica. Anche in Africa cominciano a farsi sentire le conseguenze sociali provocate dal significativo aumento del numero di tossicodipendenti. Secondo le stime disponibili l’11 per cento dei tossicodipendenti a livello mondiale sono in Africa; di questo 11 per cento, il 55 per cento risiede nei paesi dell’area orientale. Il tutto di pari passo con l’espansione di attività di gruppi armati criminali e terroristici. Uno dei gruppi più organizzati e ramificati è quello dei nigeriani. In Pakistan, per fare un esempio, nel 2013 il 46 per cento degli arrestati per traffico di eroina era di nazionalità nigeriana. Il coinvolgimento dei nigeriani lo si può far risalire alla diaspora dell’etnia Igbo seguita alla guerra civile che ha insanguinato il Biafra. Spostandosi nell’area orientale del continente africano, risulta che milizie e gruppi somali legati al gruppo estremista “Al Shabaab” siano coinvolte nel traffico di stupefacenti.
La conferma di come i conflitti armati creino nuove “opportunità” per settori altamente lucrativi come sono quelli del traffico di droga e di armi. Per tanti, vale il cinico: “Finché c’è guerra, c’è speranza”; e come sempre, per capire quel che ci accade intorno vale il vecchio detto: “Follow the money”.