In occasione della Giornata internazionale a tolleranza zero per la mutilazione genitale femminile, indetta per il 6 febbraio, l’Unicef ha rilasciato i dati di una nuova accurata indagine sul tema mirata a dimostrare l’impegno che l’organizzazione ha preso verso la completa eliminazione del fenomeno.
La mutilazione genitale femminile rappresenta infatti un problema di portata mondiale che non è più possibile nascondere: le ricerche evidenziano che almeno 200 milioni di donne e ragazze ancora in vita hanno subito questo tipo di trattamento in 30 paesi differenti. Sebbene le modalità varino a seconda della zona e della cultura la pratica rappresenta in ogni occasione un’indiscutibile violazione dei diritti umani e mette in pericolo la salute fisica e mentale delle vittime, tra l’altro, di una chiara discriminazione sessuale.
Secondo le statistiche la metà delle donne mutilate è concentrata in Egitto, Etiopia e Indonesia e le ragazze di età inferiore a 14 anni rappresentano 44 dei 200 milioni di vittime (sebbene la maggior parte di loro subisca l’intervento nell’arco dei primi cinque anni di vita). Le ricerche mostrano che la pratica della mutilazione femminile è largamente diffusa nelle aree del corno d’Africa, in Medio Oriente e in alcune zone dell’Asia. Nonostante questo il fenomeno ha ormai un’estensione mondiale e si riscontrano casi anche in Nord America o Australia principalmente a causa dei flussi migratori che hanno portato cittadini usi a praticare la mutilazione a dislocarsi in nuovi continenti.
Il numero di vittime è cresciuto in maniera preoccupante negli ultimi anni e si è registrato un aumento di 70 milioni di casi rispetto al 2014, dovuto principalmente alla crescita consistente della popolazione e all’ampliamento dei confini della ricerca che al momento include 30 paesi. “Determinare la portata del fenomeno è fondamentale per eliminarlo. Raccogliendo e pubblicando dati sulla mutilazione genitale femminile i governi si preparano a capire meglio il fenomeno e accelerano gli sforzi verso la protezione dei diritti per milioni di donne e ragazze” afferma Geeta Rao Gupta, Vicedirettore esecutivo UNICEF.
Andrea Iacomini, portavoce UNICEF Italia, ha dichiarato subito dopo la pubblicazione delle statistiche: “Questo studio certifica ancora una volta che la mutilazione genitale femminile è un problema globale ed una grave violazione dei diritti umani. L’UNICEF si impegna a ribadire la necessità di fare tutti gli sforzi possibili al riguardo perché la pratica, come vediamo, non è ancora scomparsa”. Interrogato sui mezzi concreti con i quali l’associazione pensa di muoversi Iacomini attribuisce un ruolo fondamentale alla raccolta di dati e all’educazione nelle scuole: “Bisogna cominciare a informare le donne riguardo ai rischi che la pratica comporta. A scuola possiamo crescere una nuova generazione di bambine che potranno fermamente imporsi agli abusi”.
Anche Tommy Simmons, fondatore Amref Italia, ha condiviso con noi la sua opinione sul tema definendo la mutilazione come una “pratica devastante, che causa immediati danni fisici e sociali che contribuisce ad aumentare la disparità di genere”. Amref, cosciente del grande significato simbolico che le comunità attribuiscono alla mutilazione genitale quale cerimonia di passaggio dall’infanzia all’età adulta, cerca di introdurre l’uso di riti alternativi per permettere alle culture di continuare a rispettare le proprie tradizioni senza andare a ledere i diritti delle donne. “Le comunità che adottano questo sistema riescono a progredire più velocemente e diventano un esempio per tutte le altre” afferma Simmons. “Inoltre l’introduzione di riti alternativi viene accettata più facilmente rispetto al tentativo di completa eliminazione del fenomeno, spesso letta come presuntuoso tentativo di eliminare uno dei fondamenti della cultura locale”.
Le nuove indagini mostrano anche che il movimento verso l’eliminazione del fenomeno è cominciato. Dal 2008 ad oggi più di 5.000 comunità hanno pubblicamente dichiarato l’intenzione di abbandonare la mutilazione genitale femminile e cinque Stati hanno approvato una nuova legislazione che condanna la pratica. I dati mostrano anche il diffondersi di sentimenti di forte disapprovazione tra gli abitanti (sia uomini che donne) dei paesi dove la mutilazione è all’ordine del giorno. Il tasso di mutilazione si è fortemente ridotto negli ultimi anni passando, ad esempio, in Burkina Faso dal 89% registrato nel 1980 al 58% nel 2010, dal 72% della Liberia del 1983 al 31% del 2013 e dal 97% del 1985 in Egitto al 70% dello scorso anno. Tutto ciò non è però abbastanza se consideriamo l’imponente crescita demografica sperimentata da quelle stesse zone che porterà ad un proporzionale e irrefrenabile aumento delle donne mutilate nei prossimi 15 anni.
La mutilazione genitale femminile è una chiara forma di violazione dei diritti umani che interessa le donne di tutto il mondo. Già dal 2012 UNICEF e UNFPA (Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione) richiamano l’attenzione della comunità internazionale sul tema e nel 2015 esso è entrato ufficialmente nella lista degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (SDGs) che mira a eliminare ogni pratica dannosa per gli esseri umani entro il 2030. L’impegno dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e dei suoi partners rappresenta la volontà di lavorare congiuntamente per porre fine in modo totale e definitivo alla pratica in ogni zona del mondo.