Alcune osservazioni, ancora molto superficiali, sui risultati del primo turno delle elezioni regionali in Francia di domenica 6 dicembre.
La prima è che i dati sulla partecipazione al voto sono quasi introvabili sui giornali di lunedì. Il Fronte nazionale stravince le elezioni, certo; ma è inesatto dire che un francese su tre lo ha votato. In realtà – data una percentuale di astenuti intorno al 50% – è un francese su sei che ha sostenuto il partito di Marine Le Pen.
Un francese su sei è molto, tanto più che, con lo stesso calcolo, si scopre che i “partiti repubblicani” sono sostenuti da poco più di un francese su dieci, e l’estrema sinistra da uno su venti. Un francese su due, invece, non si riconosce in nessuno di quei partiti.
La vittoria relativa del Front national fa parte di un’onda lunga, che si è formata ben prima degli attentati del 13 novembre. A corto di soluzioni immediate di fronte alla minaccia terrorista, una parte degli elettori ha imboccato la scorciatoia xenofoba e anti-immigrazione. Ma solo una piccola parte: tutti i sondaggi prevedevano la vague bleue Marine ben prima degli attentati.
Quella vague nasce dalla miscela esplosiva tra la nebbia identitaria che è calata sui francesi dopo la perdita della loro supremazia in Europa (conseguenza della riunificazione tedesca) e il declino economico relativo del paese. Se è vero che, per prendere voti, bisogna spiegare agli elettori le cose nel modo più semplice possibile (che corrisponda o meno alla realtà è secondario, anzi: inutile), alle elezioni ha vinto chi ha scaricato le cause della crisi economica sulle spalle dell’Europa, dell’euro, e dei migranti che l’Europa si è detta pronta ad accettare.
Tutti i partiti si sono messi su quel sentiero. Le differenze stanno nei toni. Ma siccome il partito di Marine Le Pen non ha responsabilità politiche a nessun livello – salvo in qualche comune – può permettersi di usare i toni più aspri e rumorosi: per questo vince le elezioni.
Su due punti esiste una quasi unanimità tra le forze politiche in Francia: che “la gente” è “disperata”; e che per combattere la disperazione occorre più spesa pubblica. È uno strano scherzo del destino che proprio il giorno in cui il Front national ha trionfato in Francia, i “bolivaristi” di Maduro sono crollati in Venezuela, trascinati da una crisi – quella, sì, vera – provocata da una politica economica simile a quella che vorrebbe realizzare il Front national in Francia.
Come detto, tutti, in Francia, dall’estrema destra all’estrema sinistra passando per il “fronte repubblicano”, sono “bolivaristi” nel cuore. Ma non tutti possono applicare la politica di Chavez; e la colpa, dice Marine, è dell’Europa. Senza l’Europa, si potrebbe rinazionalizzare tutto, dalle frontiere all’economia, e vivere felici e contenti finché morte non ci separi. Il suo ragionamento presenta due elementi di coerenza in più, rispetto a quello dei “partiti repubblicani”, e un elemento di coerenza in più rispetto all’estrema sinistra. Rispetto ai “partiti repubblicani”, la coerenza viene dal fatto che il FN non governa, e non ha plausibilmente alcuna speranza di governare per i prossimi anni; e quindi non rischia poi di trovarsi nei tristi panni di Tsipras (non a caso sostenuto da Marine Le Pen), costretto ad andare alla Canossa di Bruxelles dopo aver tuonato contro l’Europa e la sua moneta in tutte le campagne elettorali.
Rispetto ai “partiti repubblicani” e all’estrema sinistra, il Front national ha effettivamente una strategia economica alternativa che molti, nel campo “repubblicano” gli invidiano, e tentano, timidamente, di imitare. Ed è la strategia del containment antimusulmano e, più in generale, antistranieri. È una strategia in sei punti applicata con successo in molte città del Lombardo-Veneto: 1) isolare e intimidire gli immigrati, 2) costringendoli ad accettare salari più bassi, 3) che trascinano una riduzione media dei salari, 4) che si ripercuote sui salari degli autoctoni, 5) i quali individuano negli immigrati la ragione delle loro difficoltà, 6) e finiscono per votare per i partiti anti-immigrati. Come si dice in Francia: la boucle est bouclée.
Se questo è il calcolo, esso presenta tre difetti. Il primo è che la crisi economica francese è relativa: la Francia è in realtà prospera, ma soprattutto grazie agli investimenti all’estero; le "delocalizzazioni" hanno sfilacciato il tessuto industriale, ma i profitti che provengono dall’estero sono enormemente più alti di quelli che si realizzano in patria, e in parte tornano sotto forma di imposta. Da qui l’idea che la spesa pubblica – cioè assistenze di varia natura – possa tenere insieme un tessuto sociale in cui la massa di produttori è progressivamente sostituita dalla massa dei consumatori. Da qui, anche, l’idea che se i salari in patria diminuiscono, le ragioni delle delocalizzazioni vengono meno.
La seconda è che abbassamento dei salari e aumento dei consumi possono andare d’accordo solo se la politica di elargizioni si spinge al classico punto dei soldi gettati dall’elicottero; ma per poterli gettare, bisogna continuare ad investire all’estero, cioè a delocalizzare: il serpente si morde la coda.
La terza, e la più importante, è che la Francia non è Treviso. Mentre a Treviso si trovano immigrati recenti, provenienti da diversi paesi, divisi tra di loro per origini, abitudini, lingua, religione etc., in Francia, le campagne antimusulmane si rovesciano su una popolazione di vari milioni di persone, perlopiù presente da decine d’anni – e da decine d’anni in posizione subalterna, socialmente, culturalmente e politicamente – di origini diverse, certo, ma unite da lingua e religione. A Treviso, il risultato possono essere i salari più bassi per tutti; in Francia, il risultato può essere la guerra civile.
Ma, anche in questo caso, il partito di Marine Le Pen ne uscirebbe vincitore.
Problema lessicale: fino a qualche mese fa, i “partiti repubblicani” erano il Partito socialista, il Partito comunista, il partito gollista, sotto le sue varie denominazioni, e il centro, ad esclusione quindi dell’estrema destra e dell’estrema sinistra; oggi, il partito gollista di Nicolas Sarkozy ha assunto il nome di Partito repubblicano, il che confonde le cose. Tanto più che, annunciando la sua vittoria il 6 novembre, Marine Le Pen ha detto: “Il vero partito repubblicano siamo noi”.
Questo articolo è stato già pubblicato sulla rivista Limes