E’ un noto falso storico, ma può andar bene ugualmente. Un falso che si chiama Facite ammuina. E’ quello che viene spacciato per un comando contenuto nel “Regolamento da impiegare a bordo dei legni e dei bastimenti della Real Marina del Regno delle Due Sicilie”. Si sono anche inventati la data di nascita: 1841. Il testo, qualcuno lo ricorderà, recita così:
“All’ordine ‘Facite ammuina’: tutti chilli che stanno a prora vann’a poppa; e chilli che stann’a poppa vann’a prora: chilli che stann’a dritta vann’a sinistra, e chilli che stanno a sinistra vann’a dritta: tutti chilli che stanno abbascio vann’ ncoppa, e chilli che stanno ncoppa vann’ bascio, passann’tutti p’o stesso pertuso: chi nun tene nient’a ffà, s’aremeni a ‘cca e all’à”.
Non c’è niente da fare: in questi giorni di iper-super-allarme terrorismo, è questa specie di “ballata” che mi viene in mente. Ogni volta che sento un politico parlare; ogni volta che transito davanti a uno dei cosiddetti obiettivi “sensibili”, dove vedo schierati ragazzi ventenni, oppressi da enormi zaini, tute mimetiche e fucili mitragliatori più grandi di loro; ogni volta che vedo in TV e leggo sui giornali servizi sempre uguali sulle misure di “sicurezza” adottate. Perché a proposito di quei militari in divisa mi vien da pensare, come ai posti di blocco, che loro sono “bersagli”. Il militare, il poliziotto vede persone “normali”, non sa se sono malintenzionati, terroristi o galantuomini; mentre il terrorista, il malintenzionato, li vede da lontano; sa che sono lì. Non dico che non servono, ma preferirei una situazione tipo principato di Montecarlo: non vedi un poliziotto, ma prova a buttare una cartaccia per terra, e qualcuno entro due secondi ti becca subito…Insomma, sarebbe meglio meno schieramenti, e più discreta, “invisibile” sorveglianza. Quanto ai politici: parla chi non sa; auguriamoci che chi sa non parli (e faccia qualcosa).
Oggi, nel lessico, va poi di moda la parola “intelligence”. Tutti la invocano, tutti dicono che va potenziata. Come no? Sono i fatti a dirci che ce n’è bisogno. Gli ultimi episodi di terrorismo a Parigi dimostrano, ove ve ne fosse bisogno, che da più parti si segnalano le vistose smagliature, quando non si tratta di vere e proprie falle, nelle varie agenzie di sicurezza. Quella francese, un tempo eccellente, dopo essere stata “riformata” da François Hollande è di tutta evidenza, la riscontra anche un bambino; e non da ora. Le simultanee stragi a Parigi rivelano una sconcertante incapacità di comprendere gli allarmi che pure sono arrivati da Grecia, Turchia, Belgio.
E' una storia che si ripete. Anche all’inizio dell’anno, quando si sono consumati, sempre a Parigi, le stragi al giornale satirico "Charlie Hebdo”, e al ristorante ebraico, si è scoperto che i terroristi erano noti, qualcuno perfino controllato; eppure hanno potuto fare quello che hanno fatto. Così per i terroristi degli eccidi di una settimana fa: schedati, segnalati, lasciati liberi di andare su e giù tra Francia, Belgio, Siria, per addestrarsi in “campi” che solo ora ci si decide a bombardare (scusate, ma perché non prima?).
La situazione nelle banlieu francesi e belghe è nota: da anni sono terreno di coltura per giovani che diventano fanatici assassini, strumenti docili nelle mani di cinici burattinai che perseguono interessi molto terreni, molto concreti, altro che il Paradiso-latte-miele col contorno di decine di spose vergini a disposizione. Più che "lupi solitari", ormai agiscono in "branco": sono jihadisti "invisibili", pronti a obbedire appena viene impartito l'ordine, e possono contare su articolate filiere: che procurano loro denaro, armi, tecnologia; e garantiscono addestramento: militare e ideologico. Cose che non si improvvisano, e che i servizi segreti dovrebbero individuare per tempo. E invece…
Invece no. Forse perché molto del "lavoro", ormai, non si fa più fa sul terreno, ma dietro lo schermo di un computer; forse perché i servizi di sicurezza agiscono come giganteschi aspirapolveri, bevono una quantità di dati grezzi, e alla fine se ne ubriacano, non sanno più come gestirli. Dei terroristi si sa sempre cinque minuti dopo, raramente cinque minuti prima. Ed è il problema di un po’ tutti i servizi di sicurezza.
Altra parola d’ordine: serve un coordinamento a livello europeo delle “intelligence” dei paesi membri dell’Unione Europea. A dire il vero, dopo gli attentati del 2005 si è costituito un coordinamento antiterrorismo dell’UE; e tre anni fa si è costituito l’INTCEN, dovrebbe, appunto, raccogliere informazioni dalle varie intelligence nazionali. Sono organismi, vien da credere e pensare, dove il segreto è la regola. Tanto ben custoditi che nessuno sente mai parlare neppure della loro esistenza. Addirittura sembrano essere ignoti a tanti ministri e politici che la auspicano e invocano. Eppure ci sono, a giudicare dalla quantità di denaro pubblico che succhiano a tutti noi. Probabilmente non servono a nulla, non fanno quel lavoro che dovrebbero fare. Bisognerebbe chiedersi perché, e per responsabilità di chi.
E ancora, a proposito di “intelligence”, forse non è superfluo chiedersi cosa se ne fa mai la National Agency Security americana della possibilità e della capacità di poter "pescare" nel cyberspazio l'equivalente di almeno 600 milioni di file cabinets ogni giorno, se poi i dati non li si sa connettere; e si parla della sola NSA. O, per quel che riguarda l’Italia, a chi sono serviti i 300mila accessi alle banche dati strategiche nazionali (italiane), anche private, effettuati, apparentemente per combattere il crimine informatico, nei primi sei mesi del 2013 (del dopo, non si sa).
Forse non è superfluo ricordare quello che già una ventina d'anni fa, senza girarci troppo intorno, ci ha detto l'allora direttore del SISMI, ammiraglio Gianfranco Battelli: "Mi sembra fin troppo ovvio che i servizi debbano poter fare cose illegali". Come dire: noi dell’“intelligence” dobbiamo fare un lavoro sporco, se volete farci lavorare. Non lamentatevi, dopo, se lo facciamo. E allora, giusto per non essere ipocriti e non menar il can per l’aia: una volta messa su, questa “intelligence” di cui tanto si parla, si invoca, si auspica: che cosa ce ne vogliamo fare?