Il 10 novembre 1975, quarant’anni fa, l’assemblea generale delle Nazioni Unite adottò la risoluzione n. 3379, con la quale asseriva che “il sionismo è una forma di razzismo e di discriminazione razziale”. Tanto avevano potuto, contro ogni evidenza, la deriva terzomondista dell’Onu e le ideologie estreme che nutrivano troppe delegazioni dei paesi in sviluppo e dei non allineati. A quel voto contribuirono anche certe sbandate della diplomazia sovietica, in genere cauta sul Medio Oriente, per le responsabilità del condominio bipolare e per la consistente presenza ebraica in casa, ma pur sempre proclive a servirsi di ogni occasione per utilizzare il suo “pacchetto” di voti (i paesi sottomessi dall’Armata rossa, e quelli dominati dall’ideologia marxista) per condurre campagne propagandistiche antiamericane e ampliare i suoi protettorati arabi. Israele, interpretato come avamposto occidentale in Medio Oriente, non poteva che essere obiettivo da colpire, al fine di consolidare gli spazi di influenza nei paesi in sviluppo, genericamente solidali con la causa palestinese e più in generale araba, nella quale istintivamente tendevano a identificarsi.
Dopo il voto, l’ambasciatore israeliano, Chaim Herzog, salì sul podio e fece uno straordinario intervento su sionismo e odio anti-ebraico. E’ considerato, a tutt’oggi, come uno dei più importanti discorsi nella giovane storia della diplomazia israeliana. Fra l’altro Herzog definì la risoluzione “un’ulteriore manifestazione del triste odio antisemita e anti-ebraico che anima la società araba”. Memorabile la chiusa. Brandendo la risoluzione, Herzog disse: “Per noi, popolo ebraico, questa risoluzione è fondata sull’odio, sulla falsità e sull’arroganza ed è priva di qualunque valore morale o legale. Per noi, popolo ebraico, questo non è altro che un pezzo di carta e come tale noi lo tratteremo”. Pronunciando le parole, davanti agli stessi delegati che l’avevano votata, il futuro presidente d’Israele strappò in due la risoluzione. Atto gravissimo, che a molti ricordò il modo con cui la Società delle Nazioni collaborava alla propria emarginazione e distruzione: votando delibere che non avevano capacità alcuna di essere trasferite in realtà.
Nonostante lo scandalo, ebbe ragione Herzog. La risoluzione sionismo uguale razzismo sarebbe stata cancellata dal voto dell’assemblea generale neppure vent’anni dopo, il 16 dicembre 1991. Nel frattempo si era estinta l’Unione Sovietica, un milione di ebrei russi viveva in Israele, la Russia di Eltsin era divenuta partner commerciale e politico di Israele.
L’episodio si presta a due considerazioni, tutt’altro che confortanti. La prima riguarda Israele, che appare essere sempre meno lo stato laico e “sionista” degli albori. Il focolare che doveva dare rifugio e conforto agli ebrei ingiustamente perseguitati dall’idiozia del pregiudizio e dai crimini degli estremismi neri, viene spinto da anni a trasformarsi, da componenti influenti del suo spettro politico e religioso, in stato che privilegi la componente ebraica dello stato. La seconda riguarda le Nazioni Unite. L’organizzazione universale trova, nella ricordata vicenda, una delle pagine più ingloriose. Nella votazione del ’75 non seppe tutelare un suo membro, né impedire il voto “partigiano” e ideologico su un movimento e un’idea che appartengono alla storia dell’umanità non a questa o quella maggioranza del sistema onusiano. La riparazione del ’91 non contrasta, anzi conferma l’affermazione: all’assemblea generale delle Nazioni Unite, il giudizio sulla natura di un movimento, di un soggetto di politica internazionale, non dovrebbe mutare in base a come spira il vento delle maggioranze di convenienza, ma basarsi su una ferma dirittura politica e morale, che evidentemente l’Onu non ha ancora acquisito.