Intervistata dal New York Times, una 32 anni che sabato mattina non aveva smesso la sua routine di fare jogging nel parco vicino al Musée d’Orsay di Parigi, ha detto che non avrebbe ceduto alla paura perché "This is not Iraq or Afghanistan. We are not at war here. We need to stay confident and hopeful.”
Non siamo in guerra? Si spera, ma come lo stesso articolo sul NYT faceva notare, la Francia negli ultimi mesi aveva intensificato i suoi attacchi allo "Stato" Islamico, colpendo anche la sua "capitale", Raqqa. Lo stesso presidente Francois Hollande, che era presente allo stadio dove si disputava Francia Germania mentre fuori tre kamikaze "dell'esercito" dell'ISIS si facevano saltare in aria, riparlando alla Francia in diretta TV sabato mattina, aveva detto: "È un atto di guerra pianificato dall'esterno con complicità interne, un atto di guerra compiuto dall'esercito dell'IS".
La Francia sarebbe quindi in guerra contro l'ISIS, perché lo bombarda sia in Iraq che in Siria. La Francia fa parte di quei paesi della coalizione, guidata dagli Stati Uniti, che bombarda l'ISIS dal settembre del 2014 (l'Italia ne fa parte ma non bombarda). Chiamare "terroristi" chi ci "terrorizza" in nome di quello che gli stessi paesi occidentali si ostinano a chiamare "Stato islamico" (addirittura gli Stati Uniti lo fanno più grande di quello che è, chiamandolo ISIL, Stato Islamico di Iraq e Levante), allora diventa "deviante" e crea false aspettative, come la jogger parigina che a 12 ore dalle stragi correva accanto alla Senna dicendo: "Questo non è l'Iraq, non c'e' la guerra qui".
La guerra tra l'ISIS e l'Occidente + Russia + Iran sarebbe in corso da tempo e ora viene combattuta ovunque (pochi giorni prima di Parigi, attentato a Beirut con più di 40 morti e prima ancora l' aero passeggeri russo fatto esplodere in volo nel Sinai egiziano)
Ma questa guerra che sarebbe ormai uscita – e non certo da venerdì – dai confini del Medio Oriente, chi l'ha iniziata? Chi l'ha provocata? Per cercare di rispondere si dovrebbe almeno partire dall'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq di Saddam e poi la Prima Guerra del Golfo con l'arrivo dei soldati americani in Arabia Saudita. Qui fa capire tanto una semplice frase detta dal Prof. Luigi Troiani, columnist della VOCE, proprio sabato al convegno sul Mediterraneo che si teneva alla SUNY di Stony Brook: "Al Qaeda, ISIS non sono la causa del disordine, ma vengono fuori e crescono dal disordine".
Ora, dato che ormai il disordine sta diventando caos, bisogna scegliere come chiamare ciò che ci sta accadendo per cominciare a ripensare come affrontarlo: se l'ISIS per noi rappresenta un vero e propri stato, che ci ha dichiarato guerra (o gli abbiamo dichiarato guerra), allora inutile chiamare i suoi "soldati" terroristi, e prepariamoci a combattere e soprattutto evitare di fare jogging pensando che la guerra sia soltanto in Iraq o Siria.
Se invece pensiamo che siano terroristi, assassini malati di una ideologia perfida e criminale spacciata per religione, allora diamo la caccia ai terroristi ovunque essi siano, ma senza annunciare la dichiarazione di "stato di guerra" che si riconosce solo agli stati. Se pensiamo che il califfo e i suoi proseliti sono solo dei terroristi assassini, andiamoli a prendere, ma non lanciando solo dall'alto missili che uccidono anche vite innocenti, ma anche con "boots on the ground" di squadre speciali capaci di eliminare chi tira le fila di burattini kamikaze.
Ma sono "solo" terroristi?
Papa Francesco, durante un'intervista ad una rivista dei vescovi italiani all'indomani dell'attento a Parigi, ha detto che l'attacco a Parigi è un altro "pezzo della Terza Guerra Mondiale". Una espressione, questa "terza guerra mondiale" che il papa aveva già usato in passato. Ci sarebbe molto da ragionare su quali messaggi stia cercando di lanciare il pontefice: forse che quello che sta avvenendo non può essere "solo" causa del fondamentalismo islamico?
La confusione è durata abbastanza: o si accetta che chi attacca sono dei malati pazzi scatenati da altri psicopatici, che con la maggior parte dei musulmani del mondo non hanno nulla a che fare, e quindi serve subito eliminarne la leadership e quel territorio che gli è stato lasciato conquistare troppo facilmente, oppure prepariamoci al peggio. Perché dal momento che decidiamo di entrare "in guerra", la preoccupazione non sarà soltanto su come vincerlo questo conflitto, ma soprattutto su come salvare le nostre istituzioni da chi sta cercando di scatenare ciò che sacrificherebbe le nostre libertà, i nostri valori, le nostre democrazie.