Klaus von Dohnanyi, già consigliere del cancelliere tedesco Willy Brandt (1969-1974), ha affermato, a proposito dell’interesse russo a mantenere l’Ucraina nel proprio girone: "Non ci si può semplicemente rimuovere da una sfera di influenza".
Le elezioni di domenica in Polonia hanno provato una volta di più quanto von Dohnanyi avesse ragione. Il partito della destra nazionalista, cattolica e euroscettica Prawo i Sprawiedliwość (PiS, Diritto e giustizia), guidato da Jarosław Kaczyński, le ha vinte conquistando la maggioranza assoluta nelle regioni un tempo parte dell’impero russo. E rimanendo in minoranza nelle regioni un tempo parte dell’impero tedesco e di quello autro-ungarico (la cartina qui sotto si riferisce alle precedenti elezioni, ma la caratterizzazione regionale resta la stessa).
La Russia, insomma, ha una parte di responsabilità storica della vittoria di un partito che si caratterizza innanzitutto per essere antirusso. E questo, nonostante l’annessione all’URSS – grazie al patto prima con la Germania nazista nel 1939 e poi con gli Stati Uniti nel 1945 – di regioni a maggioranza polacca in Bielorussia e in Ucraina, “compensate” con l’annessione alla Polonia di regioni a maggioranza tedesca ad occidente.
La cartina elettorale della Polonia offre un’adeguata rappresentazione della schizofrenia politica del paese, arcinemico della Russia e della Germania, e, alla fine, sempre costretto a stare o con i russi o con i tedeschi. Ma sempre recalcitrante, bisognoso di una compensazione mitica (nella nostalgia della grande Confederazione polacco-lituana, 1569-1795), di una compensazione identitaria (nel cattolicesimo politico, ostile agli ortodossi dell’est, ai luterani dell’ovest e agli ebrei dell’interno), e soprattutto di una compensazione geopolitica (nel tentativo di appiglio esterno a tutte le potenze che, storicamente, hanno interesse a mettere il dito nella relazione tra la Russia e la Germania – francesi, britannici e americani, in successione).
L’esito attuale è uno stato di oscillazione permanente tra il realismo delle province ex-tedesche, più disponibili a integrare l’Unione europea, e l’idealismo delle province ex-russe, refrattarie a tutto ciò che è considerato allogeno. Antirussi per vocazione storica e antieuropei per consumata ostilità verso la Germania, i nazionalisti del PiS vorrebbero un impegno più consistente degli Stati Uniti, con l’installazione di basi permanenti della NATO sul territorio polacco, in modo da trasformare il paese da “Stato cuscinetto” (come ha detto questa estate il presidente Andrzej Duda al Financial Times) a «real eastern flank of the alliance». Dimentichi del fatto che le garanzie francesi sotto Napoleone e le garanzie inglesi dopo la Prima Guerra mondiale non impedirono al dunque le successive spartizioni della Polonia tra russi e tedeschi. In definitiva, la carambola geopolitica preconizzata da Duda non si sa quanto possa piacere a Washington, non può certamente piacere a Berlino, e ha il pregio di mandare Mosca fuori dai gangheri.
La sconfitta elettorale delle province ex-tedesche potrebbe trascinare il paese in una no man’s land geopolitica, e creare nuove seccature all’Unione europea. Il precedente tentativo di quel genere durò appena due anni, tra il 2005 e il 2007, quando il governo del PiS, diretto proprio da Jarosław Kaczyński, fu sconfitto alle elezioni dal liberale Donald Tusk, attuale presidente dell’UE. Una trovata simile di Silvio Berlusconi nel 1994, che immaginava di poter portare a piacimento l’Italia fuori dall’orbita franco-tedesca, si risolse con la caduta del suo primo governo dopo appena sei mesi. Il perché lo ha spiegato von Dohnanyi: "Non ci si può semplicemente rimuovere da una sfera di influenza".
Un’altra questione che non spianerà la strada al futuro governo di Varsavia riguarda il rapporto con la Chiesa cattolica. Tradizionalmente, la Chiesa polacca ha svolto un ruolo di punta nel dar voce e organizzazione ai sentimenti nazionalisti del paese, a costo a volte di scontrarsi con la Chiesa universale. È noto, per esempio, che dopo la Seconda Guerra mondiale, Roma attese fino al 1973 prima di accettare le nuove frontiere occidentali tra la Polonia e la Germania dell’Est, respingendo per quasi trent’anni il carattere polacco di diocesi di frontiera come, tra le altre, Danzica, Stettino e Wrocław. È altrettanto noto che, in occasione del referendum del 2003, lo stesso papa polacco dovette intervenire per convincere i suoi sottoposti in patria a sostenere l’adesione all’Unione europea.
Durante la campagna elettorale, Jarosław Kaczyński ha motivato il suo rifiuto ad accogliere una quota dei rifugiati giunti in Europa asserendo che gli immigrati hanno portato in Europa il colera, la dissenteria e "ogni sorta di parassiti e protozoi, che… non sono dannosi per il loro organismo, ma possono esserlo qui". Credendo forse di fare un dispetto di più ad Angela Merkel, Kaczyński rischia di mettersi contro anche la Chiesa cattolica universale. Rischia, quindi, di farlo soprattutto a se stesso, il dispetto. E, naturalmente, alla Polonia.