Tre anni dopo la Rivoluzione dei Gelsomini si temeva la destabilizzazione di tutto il Magreb, oggi si teme che la Tunisia sprofondi nel disastro controrivoluzionario. Con la confinante Libia nel caos e l'Egitto strangolato da una nuova dittatura, la Tunisia vive al bordo di un abisso che potrebbe ingoiarla se non arriveranno aiuti esterni. Mentre gli attentati si susseguono.
Tra i tunisini, in molti auspicano il ritorno del passato per ricominciare quel cammino verso la democrazia che il governo di Tunisi (il primo eletto regolarmente in Nord Africa) sembra non aver mai abbandonato nonostante gli errori della sinistra. Ma è difficile il cammino di isolare gli islamisti integralisti in un paese dove i poteri sono gestiti da sindacato e partiti sempre in competizione tra loro. Così per la strada sono sempre più numerose le donne velate e la paura accompagna i tunisini verso la soluzione di problemi che sono soprattutto economici.
"Abbiamo avuto tutto il peggio e cambiamenti ciclici – dice Habib Bouhawel, vignettista e opinionista del giornale La Presse– abbiamo toccato il fondo, ma in Tunisia il vero problema è che non ci sono i mezzi intellettuali né siamo pronti per fare una vera rivoluzione. Questa volta dovremmo approfittare della situazione. La Tunisia non è la Siria, né la Libia. I tunisini hanno molti interessi e in ogni famiglia ha un lavoratore, uno studente o magari un terrorista. Ma la Tunisia è una grande famiglia che rifiuta l'estremismo".
Bouhawel che è considerato un importante intellettuale che può permettersi il lusso di prendere in giro nella sua vignetta quotidiana anche i ministri di oggi, come quelli di ieri, è certo che anche questa volta il suo paese ce la farà a risollevarsi.

Un fumetto di H. Habib Bouhawel sull’attento al museo del Bardò
Il Governo intanto sembra ripercorrere vecchie strade. Ora è entrato in vigore il nuovo stato d'emergenza, e il ripristino della pena di morte. Dopo gli attentati al museo Bardò e all'hotel di Susa che costarono la vita a 59 turisti stranieri, la Tunisia inasprisce le misure antiterrorismo, nonostante sia uno dei principali paesi esportatori di giovani yhaidisti in Siria, Irak e Libia. Tutto questo dopo la Rivoluzione dei Gelsomini del 2010 quando dopo una serie di sommosse popolari, nel contesto della Primavera Araba che scosse tutto il Magreb, la Tunisia rovesciò il vecchio regime in carica da 23 anni.
Allora, protestando per i rincari alimentari, la corruzione e le cattive condizioni di vita in 60 mila, dopo che un giovane fruttivendolo si diede fuoco, si riversarono sull'Avenue Habib Bourguiba – la principale strada della capitale che prende il nome dal precedente Presidente – e costrinsero il militare Ben Alì a rifugiarsi in Arabia Saudita dopo che anche l'Italia rifiutò di accoglierlo.
I morti e i feriti per la repressione furono decine. Il 23 ottobre 2011 nelle nuove elezioni si affermano i partiti che si erano opposti a Ben Alì, in particolare Ennahda, islamici moderati, e Congresso della Repubblica, partito laico. Quindi,l'Assemblea Costituente a dicembre elesse Moncef Marzouki, vecchio oppositore e segretario di Ennhada a Presidente della Repubblica e Hamadi Jebali, dello stesso partito, Primo Ministro.
Il nuovo governo è composto quindi da una coalizione tripartita che comprende Ennhada, Congresso per la Repubblica, moderati, e il Forum Democratico per il lavoro e la libertà schierato a sinistra.
"Pena capitale per gli assassini, i sequestratori, e per i terroristi che godono di protezione internazionale". Recita così la nuova legge che sostituisce quella già in vigore con il vecchio presidente Zine el Abidine Ben Alì che permise di reprimere l'opposizione specialmente del movimento islamista Ennhada, oggi al potere con gran parte dei vecchi funzionari.
E in molti a Tunisi credono che questo sia solo un modo di ritornare al vecchio regime.
Bobo Craxi, deputato del Pd, già sottosegretario agli Esteri e figlio dello Statista Bettino, in Tunisia va spesso e possiede un'azienda agricola che produce vino. Craxi dichiara alla VOCE: "La Tunisia dopo quattro anni dal rovesciamento del regime di Ben Alì ha completato la sua transizione politico-istituzionale ma si trova ad affrontare una doppia grave crisi economico e di sicurezza. Lo Stato è sempre stato l'architrave della Coesione nazionale e la forza del piccolo Stato cerca di reagire con energia alla multiple difficoltà che provengono sia dall'interno che dalle aree confinanti in piena destabilizzazione (Libia). La società civile reagisce, il popolo è laborioso e generoso, ma bisogna garantire alla Tunisia nuovi sostegni di natura economica anche alleggerendo il peso degli accresciuti debiti esterni, non scoraggiare il ritorno del turismo e gli investimenti. La messa in sicurezza delle aree più calde può essere garantita solo da una nuova occupazione, contrariamente può determinarsi un caos che rappresenterebbe un'occasione per i settori più equipaggiati dell'integralismo religioso. Penso che alla fine i tunisini ce la faranno ma non dobbiamo abbandonarli al loro destino".
Non si aspetta molto dal mondo economicamente avanzato Mohamed El Mensi, docente universitario e consulente per lo sviluppo. "Gli Usa hanno relazioni solo di business e non sono mai politicamente corretti – aggiunge l'economista tunisino – intervengono per interesse e per le spinte delle lobby. Per gli Usa è importante che questo paese non diventi una minaccia per Israele. L'Europa che potrebbe fare molto è in crisi. L'agricoltura tunisina ha bisogno di aiuto con l'esportazione. Bisognerebbe facilitare la delocalizzazione delle imprese in Tunisia, e aumentare gli aiuti. Ma noi non ci aspettiamo molto dal mondo".
Infatti oggi il vero problema della Tunisia è anche la disoccupazione. Con oltre 10 milioni di abitanti, questo, piccolo paradiso impiega solo 3 milioni di persone. Una disoccupazione che è in aumento per i disordini e la crisi economica che ha colpito l'Europa, principale partner economico della Tunisia. Infatti molte fabbriche italiane stanno traslocando in Marocco. Secondo l'annuario delle imprese, 150 hanno già trasferito altrove la produzione e oggi il 20% della popolazione non ha lavoro. Dopo la Rivoluzione dei Gelsomini nelle fabbriche sono saltati gli accordi che prevedevano salari bassi e niente sciopero (a Tunisi si tingono e si lavorano i jeans di ogni marca) e così molti imprenditori se ne sono andati altrove. Tremila dipendenti della italiana Jal Group che produceva calzature a Bizerte, sono stati licenziati dopo 25 anni. Lo stabilimento era stato occupato due volte in sei mesi. Daniele Ondeggia, della Jal Group ha dichiarato al giornale La Repubblica: "Non c'é maturità dal punto di vista economico e politico. Si arriva subito al muro contro muro. Senza negoziare".
L'Ugtt, il sindacato dei lavoratori tunisini è un'importante organizzazione anche nelle trattative politiche tra governo e opposizione, occupando spesso il ruolo lasciato libero dall'assenza dei partiti politici. Ma il lavoro manca anche alla luce degli ultimi attentati. L'economia tunisina fatica ad uscire dalla transizione e l'inflazione è cresciuta del 6% e per far fronte al deficit lo Stato ha chiesto un prestito di 1,7 miliardi di euro al Fondo monetario internazionale. Ma in Tunisia pochi pagano le tasse, mentre da anni si attende una riforma del sistema bancario, specie delle 3 banche pubbliche e un sistema di revisione delle compensazioni di Stato. Qui infatti pane e benzina costano pochissimo, meno di mezzo dollaro. Prezzo che vale per il povero come per il milionario. Ma la Tunisia compra il petrolio a prezzi di mercato, quindi la differenza grava sullo Stato.
A questo bisogna aggiungere la crisi di fiducia internazionale verso una paese che non mostra segni di speranza, né di competenza rispetto al sistema bancario internazionale.
La Tunisia è il paese mussulmano con vista verso l'Europa e guarda al mondo occidentale geograficamente e per cultura. In Sicilia, ad esempio, i tunisini sono imprenditori della pesca.
Situata nel Nord Africa ai confini con la Libia e l'Algeria, la Tunisia si affaccia sul deserto ma non è un paese africano. Misura solo 165 mila km quadrati e 240 di larghezza. Un terzo della Spagna. Terra ospitale ricca di contrasti e profumi conserva tradizioni ancestrali, riti antichi che però, fino a poco tempo fa, non velavano le donne, che pur con limitazioni di costumi, erano libere di scegliere la propria vita, lavorare, divorziare etc. Le donne tunisine sono insorte quando recentemente si voleva ripristinare la poligamia. Insomma, una Sicilia degli anni '70 perfettamente inserita nell'attuale secolo. A questo va aggiunto una infrastruttura impressionante di hotel a 5 stelle, ristoranti, aeroporti internazionali, con spiagge con sabbia dorata, quasi private e zone archeologiche magnifiche: Cartagine, Djem, Dougga, tra deserto e montagna, Oasis, moschee e bazar. A prezzi bassissimi. Tutto tra esotismo arabo e comodità alberghiera in rapporto alla qualità-prezzo.
Oggi la Tunisia lotta contro la rete di yahidisti delle regioni di frontiere con Algeria, Libia e l'instabilità politica vanno di pari passo alla questione della sicurezza che questa estate ha vuotato gli alberghi dei turisti inglesi, francesi (i rispettivi stati hanno vietato i viaggi in Tunisia ai cittadini) italiani e russi. Si vedono nei suk, e in alcuni alberghi i turisti algerini e libici: piscine piene di donne vestite e velate spesso mogli di libici rifugiati e fuggiti con il cospicuo conto in banca. Un turismo differente che ha fatto alzare i prezzi e non piace ai tunisini.
Era infatti il turismo uno dei pilastri dell'economia tunisina e ora è stato lesionato dal terrorismo. E i tunisini sono certi che proprio questo era l'obiettivo degli integralisti. Renderli ancora più poveri e lontani dalla modernità per arruolarli meglio. Anche se non sono pochi coloro che invece credono che tutto ciò sia una strategia di Ben Alì per tornare al potere.
C'è un reale pericolo di terrorismo in Tunisia? Il Governo giura di farsene carico, anche chiudendo le moschee a rischio e trascurando i diritti umani. Ma non basta. L'Europa e gli Stati Uniti devono aiutare questo piccolo paese che non ha le risorse né la capacità di uscire da un problema interno che lo accerchia e che rischia di diventare la nuova identità per moltissimi giovani disoccupati di Yenduba, El Kef, Kaserin ( paesi poverissimi ai confini) che quando non salgono su un barcone per raggiungere la vicinissima Lampedusa, possono imbottirsi di dinamite ed entrare in un supermercato moderno. O in bermuda fare una strage in spiaggia affollata di turisti.
*Marcella Smocovich, ispanista, viaggiatrice e appassionata lettrice. Ha lavorato 15 anni con lo scrittore Leonardo Sciascia con cui ha imparato a leggere; 35 anni al Messaggero come giornalista professionista. Ha collaborato a El Pais, El Mundo di Spagna, alla CBS di New York . E’ stata vice direttore del mensile Cina in Italia. Viaggia frequentemente a Cuba, su cui ha scritto due libri, un’opera teatrale e moltissimi articoli. Vive tra Tunisi, New York, Roma e La Habana. E’ laureata a Salamanca e a Chieti.