La Russia non ha invaso di nuovo la Polonia. La Russia tuttavia punta i suoi missili su Parigi, Londra, Berlino, Francoforte, Colonia; ma non c’è nulla di scandaloso, nulla di oltraggioso in questo. Qui si ha a che fare col realismo strategico, col realismo politico: un governo che lasciasse i propri cittadini senza protezione e sottovalutasse le intenzioni non proprio amichevoli di altre Potenze, sarebbe un pessimo governo, un esecutivo dannoso, assai nocivo, composto da persone leggere, dedite all’approssimazione, incantate dal “wishful thinking”.
Così, ci risiamo: al termine della riunione del G7 svoltasi in questi giorni a Elmau, in Baviera, l’Occidente non ha retto alla tentazione di aprire ancora una volta il fuoco (verbale, dialettico, ma non per questo meno inquietante) sulla Russia, sulla Gran Madre Russia demonizzata con sommo gusto da Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna e compagnia bella. A dirigere l’orchestra è stato ancora una volta il Presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama: qualche anno fa lo credevano assai meno convenzionale di quanto invece risulta appunto da un bel pezzo.
Il Capo della Casa Bianca nel suo intervento finale ha dichiarato al mondo intero che “Vladimir Putin vuole distruggere l’economia del suo Paese, solo per ricreare i fasti dell’Impero” e che quindi l’ex-agente del Kgb è un grosso pericolo non solo per altri popoli, ma in primo luogo per il suo popolo. Ma Obama sa di condurre un giochetto alquanto vecchiotto, trito e ritrito, o non lo sa? Il giochetto risiede nel tentativo di aprire un solco fra un Capo di Stato straniero, un Primo Ministro straniero e il suo popolo; artifizio subdolo, pretestuoso. Lo stratagemma che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna usarono con Mussolini, e poi col dittatore cubano Batista che agli americani già intorno al 1955 non tornava più comodo, al punto in cui nel 1957 il New York Times assegnò a Fidel Castro la patente di “socialdemocratico”. Manovra messa poi in atto nel 1963 ai danni del Presidente del Sud Vietnam Diem (fatto fuori fisicamente dai bonzi e dagli scherani dei bonzi alleati del Vietcong e di Hanoi), trama impiegata quindici anni più tardi contro lo Scià di Persia, Rheza Palhevi (mai più ripresosi dalla violenta detronizzazione), col ‘brillantissimo’ risultato di mandare al potere l’Ayatollah Khomeini… Di favorire così l’affermazione nel mondo arabo e non solo arabo di un ‘mostro’ chiamato Integralismo Islamico.
Quindi si parla ancora una volta di sanzioni, sanzioni e sempre sanzioni, in questo caso da parte del Mondo Libero verso il “regime” moscovita. La Società delle Nazioni trova, comunque e sempre, ‘degni’ eredi…
Com’è possibile che a Washington le novelle “teste d’uovo” non facciano notare al Presidente Obama che nulla e poi nulla potrà scavare un fossato incolmabile tra il Presidente della Federazione Russa, Putin, e il popolo russo che da tempo immemorabile è in possesso di straordinarie risorse mentali e fisiche? Com’è possibile che personaggi usciti da grandi università americane, personaggi abituati al dialogo, al contatto con capi di governo, ministri, industriali, pensatori di mezzo mondo; non colgano certe sacrosante verità e, anzi, elaborino strategie come quella attuale, quella anti-russa che ci appare in tutta la sua volgarità, in tutta la sua pericolosità?
Alla Casa Bianca, al Dipartimento di Stato, al Pentagono si trova una nutrita folla di funzionari, di alti ufficiali fra i quali non sono sicuramente pochi quelli che hanno studiato, e magari continuano a studiare, Pericle, Virgilio, Cesare, Montesquieu, Voltaire (a loro consigliamo anche Cesare Beccaria!). Allora i casi sono due: o questi signori e queste signore poco hanno assimilato di quel che hanno studiato, o agiscono secondo copione per conto di individui “sena volto”, “senza nome”. Forse si tratta di entrambi i fattori. Qui, allora, delusione e disincanto risultano ciclopici… Fatto sta che l’America d’oggigiorno – almeno a nostro avviso – non è costituzionalmente, culturalmente, spiritualmente capace di affrontare le questioni mondiali che intende fronteggiare, o che, a esser con lei generosi, è stata chiamata a fronteggiare. Nelle parole, nei concetti, nelle linee d'azione di Barack Obama riscontriamo una elementarietà, una superficialità, un’approssimazione che lasciano perplessi, se non sgomenti: tono e pensiero sembrano quelli d’un ginnasiale, vale a dire d’un ragazzo fra i quattordici e i quindici anni.
Eppoi, questa pervicacia, quest’ambizione perfino un poco provinciale, di voler presentare gli Stati Uniti come i soli garanti della Democrazia nel mondo, come la società più saldamente democratica della Terra… Che, forse, la Gran Bretagna non è democratica come l’America? E’ democratica, incrollabilmente democratica la Germania stessa! Come lo è la Francia, per non parlare di Svezia, Norvegia, Danimarca, Canada, Sudafrica, Nuova Zelanda. E’ democraticissimo il Giappone, i cui soldati solo fino a settant’anni fa disprezzavano, angariavano, assassinavano i loro prigionieri di guerra.
Il discorso è “anche” intellettualmente disonesto: non ci sono prove che Vladimir Putin intenda dissanguare la Russia pur di “ricreare i fasti dell’Impero” (zarista? Sovietico?). Non ve ne sono poiché non è questo il suo intento. A differenza di Stalin, Beria, Malenkov, Kossighin, Brezhnev, Khruscev, Eltsin, Putin non è un russo ‘asiatico’: è slavo, slavo puro, nato e cresciuto a Leningrado, oggi San Pietroburgo. Non è un folle. Non è un teatrale. Non è un pittoresco. I conti lui li sa far quadrare. E’ un realista. Fu lui fra il 1999 e il 2000 a salvare la Russia dalla rovina economica, industriale, sociale verso la quale la “Grande Madre” era stata spinta dal teatrale, pittoresco Boris Eltsin, singolare miscuglio di energia e pigrizia, audacia e arrendevolezza…
Ma è proprio Putin a volere una Russia smagliante, una Russia che sappia creare, inventare, produrre; che metta a tavola tre volte al giorno i suoi figli che pochi non sono affatto e vivono in regioni alcune delle quali inospitali. E’ Putin a credere nella “alternativa” russa rispetto a un Occidente, o perlomeno a un’Europa che sprofonda in un impoverimento generale. Quindi ci domandiamo: ma Obama, la Merkel, Cameron, lo stesso Hollande, sanno, o non sanno, che cos’è la Russia, chi sono i russi?
Se si viene perciò a dire che il Presidente russo ha tendenze da satrapo, da califfo, da bey, allora non si sa quel che si dice o, se lo si sa, s’imbastisce quindi un gioco propagandistico ancora più sporco, ancora più sconcertante. Un gioco in fondo al quale si mette piede in una ‘terra incognita’ che può rappresentare il disastro per entrambe le parti, ma soprattutto per l’Occidente, che non ci sembra abbia più una vera e propria coscienza di sé.