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March 26, 2015
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L’ONU e la protezione delle vittime più giovani dei conflitti armati

Stefano De CupisbyStefano De Cupis
Bambini in Sud Sudan. Foto: UNMISS/Ilya Medvedev

Bambini in Sud Sudan. Foto: UNMISS/Ilya Medvedev

Time: 5 mins read

 

Il 25 marzo al Palazzo di Vetro, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha aperto un Open Debate sui Bambini e i Conflitti Armati, al fine di trovare una rapida soluzione congiunta per contrastare il crescente numero di bambini coinvolti nella miriade di conflitti armati. Il Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-moon ha aperto il dibattito evidenziando l’urgenza di agire “collettivamente e rapidamente” per salvare i bambini da questi orrori quotidiani, affermando: “Siamo d'accordo che non possiamo tollerare un mondo in cui i bambini vengono uccisi e mutilati, dove vengono rapiti e diventano oggetto di violenza sessuale, costretti a diventare soldati, e dove le scuole e gli ospedali vengono attaccati".

Ban Ki-moon ha poi osservato che complessivamente, si stima che 230 milioni di bambini risiedono in paesi e aree in cui gruppi armati combattono e ben 15 milioni di bambini sono stati influenzati pertanto dalla violenza. “I bambini sono sempre più minacciati nei vari teatri di guerra”, ha detto Ban, aggiungendo che “l'anno scorso è stato considerato uno dei peggiori di sempre per i bambini nelle zone colpite dai conflitti”.

Un rapporto pubblicato alla fine dell’anno scorso dall’Agenzia dell’ONU per l’Infanzia – meglio nota con il suo acronimo, UNICEF – ha confermato questo trend “devastante”, sottolineando che conflitti violenti proliferano in tutto il mondo. In paesi come ad esempio: Repubblica Centrafricana, Iraq, Sud Sudan, Siria, Ucraina e nei territori palestinesi occupati, i bambini venivano rapiti dalle loro scuole o mentre camminavano per raggiungerle e successivamente reclutati o utilizzati dalle forze e dai gruppi armati ormai sempre più numerosi in questi sopracitati paesi.

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Nonostante ci sia da riflettere molto su tutto ciò, tuttavia, il numero uno dell’ONU ha affermato che c'è un barlume di speranza, poiché le Nazioni Unite sono oggi più che mai impegnate con attori statali e non statali a porre fine e a prevenire le violazioni contro i bambini. “Abbiamo visto dei risultati concreti che si sono tradotti in migliaia di bambini che ora sono a scuola invece che in battaglia e a giocare nei campi invece di combattere sui campi”, ha affermato Ban.

Presente all’Open Debate vi era anche Leila Zerrougui, rappresentante speciale del Segretario Generale per i bambini e i conflitti armati, la quale ha esordito dicendo: “In questo inizio 2015, la nostra sfida principale è la violenza dei gruppi armati e la brutalità con cui trattano i bambini. Questo è il caso in Siria, Iraq, Nigeria, ma anche in altri paesi. Conflitti ricorrenti si sono intensificati e l'espansione dei gruppi armati sta assumendo proporzioni allarmanti”. La rappresentante speciale ha rilevato che dei 59 soggetti accusati di violazioni commesse contro i bambini, ben 51 erano attori non statali. A tal proposito, ha continuato Zerrougui, è fondamentale e necessario stabilire un “dialogo costruttivo” con i gruppi armati oltre a dissuaderli dal continuare nelle loro pratiche distruttive.

A far eco suo questo punto, ci ha pensato anche Yoka Brandt, Vice Direttore Esecutivo dell'UNICEF, la quale ha sottolineato che esprimere indignazione “non è abbastanza”, ma che le parole della comunità internazionale “devono essere accompagnate da misure per prevenire le violazioni dei diritti dei bambini”.

La numero uno dell’UNICEF ha infine elencato alcuni successi, come i bambini soldato liberati in Sud Sudan  e i bambini yazidi che sono stati recentemente salvati dalle grinfie dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL) per esempio.

Proprio su questa scia, fondamentale è stato l’intervento di Junior Nzita Nzuami, che era stato rapito e costretto a combattere come soldato bambino con le forze ribelli nella Repubblica Democratica del Congo (RDC). Junior ha raccontato in dettaglio i tanti momenti di orrore durante i suoi tre anni di combattimenti, mentre lui e altri bambini “sparavano e uccidevano tutto ciò che si muoveva”. Tuttavia, questo orribile capitolo della sua infanzia lo ha spinto a sue parole a “dedicare la sua vita ad aiutare il suo paese a ricostruire un futuro migliore e far si che ciò ha passato non accada mai più”.

Tra i vari interventi, uno di spessore è stato come sempre quello di Samantha Power, rappresentante permanente USA all’ONU,  la quale ha plaudito alla campagna lanciata dalla rappresentante speciale, Leila Zerrougui,  “Bambini, non soldati”, riconoscendo tuttavia che si tratta di una responsabilità collettiva ed è una sfida che può essere affrontata solo attraverso scelte difficili verso i colpevoli. Gli Stati Uniti stanno facendo la loro parte. Nel 2008, il Child Soldiers Prevention Act è diventato legge negli USA, e questa legge richiede la pubblicazione di un elenco annuale dei paesi i cui governi illegalmente reclutano e utilizzano i bambini soldato, o governi che sostengono i gruppi armati che lo fanno. La legge va oltre il semplice fatto di nominare pubblicamente tali paesi perché quelli presenti sulla lista possono anche essere sottoposti a talune restrizioni in materia di assistenza fornite dal governo degli Stati Uniti. “Sappiamo che questi strumenti possono funzionare” ha detto Samantha Power, evidenziando che elenchi pubblici e restrizioni di assistenza, in coordinamento con l'impegno concertato di altri Stati membri e di attori internazionali, sono strumenti utili e che hanno contribuito ad incoraggiare i governi a prendere provvedimenti importanti. In risposta a questo tipo di impegno multilaterale, il governo della Repubblica Democratica del Congo (RDC) ha firmato un piano d'azione con le Nazioni Unite per porre fine all'uso illecito e al reclutamento di bambini soldato nelle loro forze armate, alla violenza sessuale e altre violazioni e abusi ai danni di bambini da parte delle forze armate e dei servizi di sicurezza. Infine la rappresentante USA ha posto l’accento sull’importanza di programmi DDR – disarmament, demobilization, and reintegration – ovvero  disarmo, smobilitazione e reintegrazione, come quello di otto milioni di dollari attuato in RDC, finanziato dagli Stati Uniti, in collaborazione con l'UNICEF, che ha come obiettivo quello di separare e reintegrare i bambini di gruppi armati in comunità sicure e stabili – oltre 1.000 bambini sono stati separati dai gruppi armati fino ad oggi.

Quanto all’Italia, appoggiando la Francia, ha suggerito 5 proposte per salvaguardare i bambini durante i conflitti armati: 1) Responsabilità a livello nazionale e internazionale per garantire che i responsabili siano assicurati alla giustizia, riconoscendo ed espandendo la risoluzione 1612 anche inserendo il sequestro tra i criteri di responsabilità; 2) Mandati di mantenimento della pace che considerino il grado di protezione data ai bambini. In qualità di membro non permanente del Consiglio di sicurezza durante il periodo 2007-2008, l'Italia ha sostenuto con forza l'inserimento di disposizioni specifiche sulla protezione dei bambini nel mandato delle operazioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite, che oggi è diventato una pratica standard; 3) Formazione. Fin dalla sua nascita, l'Italia ha fortemente sostenuto il lavoro del DPKO per sviluppare un programma di formazione sistematica sulla protezione dei minori per il personale di peacekeeping; 4) Accesso ai soccorsi umanitari. Se un attore armato non statale dimostra di essere disposto a impegnarsi in modo costruttivo su tale punto con le Nazioni Unite, non ci dovrebbe essere alcun ostacolo a tale impegno; 5) Reintegrazione dei bambini nelle loro comunità. Se i bambini non sono adeguatamente curati dopo il loro rilascio, possono incorrere nel rischio di essere ri-inseriti o possono essere disposti a unirsi di nuovo ai gruppi armati.

Infine, durante l'intervento al Consiglio di Sicurezza della consigliera d'ambasciata Emilia Gatto, l'Italia ha rimarcato che la prevenzione riveste un ruolo di primo piano nel salvaguardare e proteggere i bambini. “Non è solo una responsabilità morale, ma anche un investimento strategico per il nostro futuro”.

 

 

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