Il Museo del Bardo si trova nella stessa area all'interno della quale ha sede il Parlamento Tunisino. Nel grande parcheggio interno a quest'area, di fronte all'entrata del museo, dove sostano ogni giorno decine di pullman pieni di turisti, per lo più provenienti da paesi europei, in particolar modo dalla Francia e dall'Italia, oggi intorno alle 11 un commando terroristico formato da tre individui, sulla cui identità non si sa, mentre scrivo, ancora nulla, salvo le dichiarazioni di una guida turistica tunisina secondo la quale si tratterebbe di "stranieri", ha sparato su un gruppo di turisti che si stavano dirigendo verso l'entrata del museo.
I turisti in visita al museo del Bardo sono stati fatti uscire da una porta secondaria retrostante mentre il commando, rimasto nel parcheggio, è stato neutralizzato da un blitz delle forse speciali di polizia.
Mentre scrivo questo breve resoconto dei fatti sono le 16 e questo è quanto ci è dato sapere fino ad ora.
Resta da capire chi sono gli attentatori, se si tratta di un nucleo indipendente di terroristi collegabile direttamente o indirettamente all'ISIS o ad altre formazioni jihadiste, oppure si se tratta di qualcosa di diverso.
Analogamente a quanto accaduto nel 2013, quando il 6 febbraio fu ucciso Chokri Belaïd, un esponente della sinistra e il 25 luglio Mohamed Brahmi, parlamentare, sempre di sinistra, dell'Assemblea Costituente, entrambi freddati da colpi di pistola sparati a bruciapelo da un killer sceso dal motorino guidato da un complice, ci troviamo di fronte ad un attacco che si presenta anomalo rispetto alla scena dell'attacco terroristico portato a segno e rivendicato da organizzazioni facenti capo a sigle di matrice religiosa: in questi casi, infatti, è di rigore la scena del "martirio" con l'attentatore, o gli attentatori, suicida.
Quella di oggi, così come quella degli attacchi omicidi del 2013, appare un'operazione più "occidentale", analoga a quella del massacro di Parigi del gennaio scorso consumato nella redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo.
E' opinione diffusa -in seno ad una popolazione più preoccupata, indignata e dispiaciuta che impaurita- che la Tunisia, unico paese arabo musulmano retto da un regime democratico in una repubblica parlamentare caratterizzata da un effettivo pluralismo politico, sia il bersaglio di chi vede come il fumo negli occhi questa situazione.
Monarchie saudite ed emirati da una parte, dittature vecchie e nuove dall'altra, e repubbliche islamiche temono fortemente che questo paese, così com'è stato il detonatore delle rivolte seguite al 14 Gennaio 2011, giorno in cui fu cacciato Zine El Abidine Ben Alì dal sontuoso palazzo di Cartagine, possa diventare il focolaio di una transizione democratica che disturberebbe il sonno non soltanto a loro, ma anche ai notabili di quei paesi occidentali che con loro facevano e fanno tuttora ottimi e proficui affari.